Lavoratori dimenticati: come muore la piccola impresa


Si spara con un fucile. Si impicca. Si dà fuoco. Sono morti efferate quelle con cui imprenditori, artigiani e commercianti italiani decidono di uscire di scena in tempi di crisi, morti sanguinose e dure da vedere, da sentire, da digerire. Ma forse è proprio questo il loro ultimo pensiero: guardate cosa sono costretto a fare, ascoltate come mi sono ridotto, capite come muore un italiano oggi. Parenti e amici, vi chiedo scusa, ma il modo in cui lo faccio deve dirvi qualcosa sul perché, sul come sono arrivato a farlo. Sulla paura, sulla disperazione. “Dire qualcosa di qualcosa“, per usare una formula dell’antropologo C. Geertz: simboli cruenti per i significati cruenti pensati da un mondo cruento, che non lascia più scampo.

La crisi da gennaio a metà aprile ha portato 23 imprenditori al suicidio, afferma la Cgia di Mestre. Per il segretario Bortolussi «Questi suicidi sono un vero grido di allarme lanciato da chi non ce la fa piu. Le tasse, la burocrazia, la stretta creditizia e i ritardi nei pagamenti hanno creato un clima ostile che penalizza chi fa impresa. Per molti, il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo ed insensibile che non riesce a cogliere la gravità della situazione».

I liberi professionisti affiancano gli imprenditori sul podio delle categorie a rischio suicidio, per lo meno secondo il rapporto Eures Il suicidio in Italia al tempo della crisi. Più di loro solo i disoccupati, a ulteriore conferma di come «il lavoro costituisca un vero e proprio discrimine nella lettura del fenomeno suicidario». Lavoro che si lega intimamente alle condizioni economiche: solo dal 2008 al 2009, i suicidi per ragioni economiche aumentano del 32%, portando il fenomeno al 10,3% del totale, un’enormità rispetto al 2,9% registrato nel 2000. Ma la morte di un piccolo imprenditore è considerata una morte bianca, una morte del lavoro?

Sebbene la figura del piccolo professionista che si dedica anima e corpo alla sua attività ogni mattina dopo il caffè sia un’immagine fedele di quello che senza dubbio è il cuore aziendale italiano, essa è stata finora poco considerata, quasi soffocata dalla classica diatriba tra le uniche parti sociali considerate seriamente dal governo e dai media: sindacati e confindustria. I primi si rifanno all’immagine del pensionato o lavoratore operaio e dipendente come autentico lavoratore bisognoso di tutela, mentre i secondi ripetono come un mantra l’importanza della competitività del marchio finale Made in Italy: quello della grande industria naturalmente, che non deve temere i licenziamenti facili ma che nel frattempo tarda a pagare i fornitori, spesso proprio quei piccoli privati sull’orlo del collasso.

In mezzo a una tale arena bipartitica delle parti sociali, che si scorda di dare spazio al piccolo imprenditore come al contadino, un governo tecnico deputato alla sola crescita economica dell’intero Paese si gioca tutto sulla riforma del lavoro e sull’articolo 18. Guarda caso una riforma che riguarda l’immagine del lavoro contesa dal bipartitismo sopra citato. Peccato infatti che al piccolo imprenditore non interessi affatto l’articolo 18: il suo è un problema di fisco, di burocrazia e conseguentemente di credito.

Questo è il punto: il governo cavalca il fronte mediatico dell’articolo 18, favorito dalla complicità quand’anche passiva delle parti sociali (che su questa questione ritrovano il proprio centralismo), proprio per la reale incapacità di farsi valere in modo efficace sul fronte del fisco e della burocrazia. Fronti cioè che per primi riguarderebbero la piccola impresa ma che rimangono sordi a ogni riforma.

Così come rimangono incomprensibili i toni freddi e distaccati di staliniana memoria con cui Monti parla dei suicidi degli imprenditori, irrispettosi per le interpretazioni che se ne possono dare: se in Grecia ci sono stati più suicidi questo non implica che in Italia la situazione sia meno grave e in via di peggioramento, visto che le riforme da fare – fisco e burocrazia – non sono neanche arrivate in cantiere. E queste riforme vanno fatte accettando il forte peso del piccolo imprenditore nell’arena delle parti sociali.

Nel frattempo a Bologna il 4 maggio sfilano le mogli degli imprenditori morti e Confartigianato apre un numero verde per gli imprenditori e artigiani a rischio, offrendo supporto legale, contabile e psicologico. Il Veneto vara un piano regionale di credito anti-suicidi per le piccole imprese in difficoltà. A Reggio Emilia la Cna espone manifesti choc sui suicidi degli imprenditori, ed è prevista una manifestazione durante le celebrazioni del Primo Maggio. «Le imprese facciano come i sindacati: alzare la voce, pretendere. La difesa del lavoro non è solo della Cgil».

Il piccolo imprenditore in difficoltà è un lavoratore in difficoltà e il Primo Maggio è anche la sua festa. E come lui dei precari e dei contadini. Articolo 1 della Costituzione Italiana: un governo che non è in grado di ascoltarli deve farsi da parte.

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