La difficile nascita delle lingue romanze
Il lungo lavoro iniziato nel 1957 con la nascita della CEE ha portato alla nascita dell’Unione Europea.
Ma come si sono evolute le lingue europee, quelle che utilizziamo per comunicare tra noi all’interno dell’Unione, in particolare le lingue romanze?
Fin dall’epoca repubblicana e verosimilmente assai prima, il latino parlato (di cui ad oggi non è rimasta praticamente traccia) differiva da quello scritto. Cicerone parlava di plebeius sermo, “quando vuol designare costrutti e parole di lingua usuale consapevolmente impiegati nelle sue lettere, ma tassativamente escluse dai trattati maggiori” (R. TESI, Storia dell’italiano. La formazione della lingua comune dalle fasi iniziali al Rinascimento, Zanichelli, 2007). Il latino usuale e corrente all’epoca è il punto d’origine delle lingue appartenenti al ceppo romanzo o neolatino. Non era importante quindi lo status sociale ma il contesto d’uso in cui veniva adoperato il latino parlato. Le fonti che ci documentano l’esistenza di questo “secondo latino” sono varie: è adoperato dai commediografi, da autori classici, ad esempio Cicerone epistolografo, da Petronio nel Satyricon, era usato nei trattati tecnici, da autori cristiani.
Il latino parlato e i suoi volgarismi scompaiono poi a causa del fenomeno detto “carsismo dei fenomeni linguistici”, ovvero è come se i volgarismi, cioè lessemi e strutture grammaticali del latino arcaico, scomparendo dalle opere dell’età classica, scorressero sottoterra, all’oscuro, per poi riapparire al termine di tale età. Ciò fa presupporre che i volgarismi del parlato fossero esclusi dalle opere scritte ma adoperati a quotidianamente e che ogni zona della Romània parlasse un proprio latino. Invece, a differenza del parlato, in continua evoluzione, il latino scritto veniva conservato il più possibile somigliante a quello classico; un grande ruolo in questo processo ebbe la Chiesa, grazie alle scuole, gli unici luoghi in cui all’epoca si trasmetteva la cultura.
Le lingue romanze, prima di diventare tali, hanno trascorso un lungo periodo d’incubazione. Si tratta del latino “circa romançum”, ovvero una lingua particolarmente adatta, nell’Alto Medioevo, a parlare con gli incolti, la quale si rivelò utilissima per la Chiesa, dopo il Concilio di Tours nell’813. Obiettivo di questa “rustica romana lingua” era quello di convertire le popolazioni al Cattolicesimo. Alcuni preziosi documenti sono importantissimi per comprendere il passaggio dal latino tardo-classico alle lingue volgari, soprattutto perché all’epoca per la prima volta si poneva il problema di mettere in forma scritta una lingua esclusivamente orale. Uno è il graffito scoperto nella catacomba di Commodilla, recante l’iscrizione “NON DICE REIL LESE CRITA ABBOCE”, cioè dividendo le parole secondo l’uso moderno: “Non dicere ille secrita a bboce”. Rispetto al latino scritto classico, le differenze sono evidenti: La formula per esprimere l’imperativo negativo non + infinito sostituisce quella ne + congiuntivo perfetto, e ille perde molto probabilmente la sua valenza di aggettivo (in questo caso) dimostrativo per assumere quella di articolo determinativo, il nostro le. Infine, “molto interessante la forma a bboce, con pronuncia [b] di v (betacismo) segnalata dalla grafia e raddoppiamento fono sintattico” (Op. cit., p.22). Dunque la traduzione è “Non dire le preghiere ad alta voce”, ergo un persecutore di cristiani potrebbe ucciderti.
Il secondo testo è chiamato Indovinello Veronese, una filastrocca databile tra VIII° e IX° secolo. “Se pareva boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba.”, in cui convivono forme volgari e latine. I primi tentativi, finora conosciuti, in assoluto consapevoli al fine della riproduzione del volgare in forma scritta provengono dall’Italia centrale e meridionale, tra XI° e XII° secolo. Sono i placiti cassinesi “Sao ko kelle terre”, quattro formule di giuramento conservate nell’abbazia di Montecassino ma provenienti da Capua, Sessa Aurunca e Teano, la formula di confessione umbra “Miserere. Accusome” e la testimonianza di Travale, “Guàita, guàita male”.
Il momento più alto nella formazione delle lingue romanze però, avvenne in Francia, quando intorno all’XI secolo la sua cultura medievale mediterranea-meridionale cominciò a produrre una letteratura differenziata rispetto a quella del Nord, la quale nacque e ciò avvenne solo dopo il collasso dell’esperienza imperiale carolingia.
La langue d’oc francese, ovvero il provenzale, diede un contributo importantissimo alla letteratura europea del Medioevo. Il fatto che la produzione letteraria in tale lingua sia così ingente significa che la formazione delle odierne lingue ha affrontato diversi fasi di convivenze diverse e ha dispiegato un processo di selezione, ovvero, nel nostro caso, è avvenuta dopo tre secoli di splendore la soppressione di una lingua importante parlata nel sud della Francia e da molti letterati. Il perché della diversità di langue d’oil e langue d’oc, sta nel fatto che la Francia, particolarmente nelle sue regioni nordiche, fu più soggetta all’azione del superstrato linguistico germanico, mentre le regioni meridionali avevano ricevuto molto prima la romanizzazione, efficace grazie alla ricchezza di scuole latine e di una rete stradale efficiente. “Le invasioni barbariche hanno portato in tutte le regioni occidentali del vecchio impero romano un superstrato germanico; ma la sua azione risulta diversa da regione a regione” (A. RONCAGLIA, La lingua dei trovatori, Edizioni dell’ateneo S.p.A.). Vanno però considerati a parte i germanismi penetrati in tutto il mondo neolatino già a partire dall’età tardo-imperiale (l’esempio più classico, nel lessico militare, è werra che sostituisce bellum).
Vari fattori contribuirono alla differenziazione linguistica francese: prima di tutto, Visigoti e Burgundi, che invasero il sud, appartenevano al ceppo orientale del ramo germanico, mentre i Franchi a quello occidentale. Inoltre, il Mezzogiorno, pur conquistato dai Franchi nel 536, era meno esposto a correnti migratorie dal Nord, in quanto protetto dal Massiccio Centrale. In seguito le regioni meridionali, pur sottomesse ai Franchi, continuarono a godere di ampia autonomia, alimentata dal dislivello culturale. Con la caduta della dinastia carolingia, il contrasto politico tra Nord e Sud si acuì e il feudalesimo non fece che radicalizzare queste pulsioni territoriali, con i nobili delle varie regioni in competizione tra loro. La lingua d’oc, la lingua dei trovatori, fu la più grande espressione di poesia e di erudizione dai tempi dell’impero. Peccato che alla fine, a prevalere, fu la lingua d’oil.
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