Elezioni europee, queste sconosciute


Progetto Socrates, Leonardo, Comenius. Tutti noi ci sentiamo cittadini europei anche grazie ai diversi progetti e alle varie tipologie di borse di studio che l’Unione offre a giovani e non con l’obiettivo di incentivarne la mobilità. Ma quanti conoscono realmente il funzionamento delle istituzioni europee? E quanti vanno a votare alle elezioni del Parlamento europeo? Nell’ultima tornata elettorale (quella del giugno 2009) meno del 44% degli aventi diritto (388 milioni) si è recata alle urne per eleggere i 736 membri del Parlamento europeo.

La crisi economica che i Paesi membri stanno affrontando sta mettendo in serio dubbio la stabilità dell’Unione, e fa pensare che nelle prossime elezioni (2014) la situazione non sarà migliore, a meno di significativi cambiamenti all’interno della struttura.

Il sostegno popolare all’Ue è sempre più basso, i cittadini si sentono lontani dal processo decisionale e lamentano la mancanza di democrazia in Europa.

Se infatti l’Unione europea ha spinto molti Stati verso la democrazia, sono gli organi sovranazionali che non riescono a diventare veramente rappresentativi.

Il Parlamento europeo è ancor oggi l’unico organo elettivo dell’Unione, mentre la Commissione costituisce, assieme ad altre istituzioni come la Bce e il Consiglio d’Europa, il vero centro decisionale dell’Ue.

L’elezione del Parlamento è a suffragio universale diretto (art. 190 trattato Ce), e sebbene inizialmente si volesse stabilire una procedura di votazione uniforme per tutti gli Stati membri, il Consiglio non è mai riuscito a trovare un accordo al riguardo. Il trattato di Amsterdam ha semplicemente introdotto dei principi ai quali gli Stati devono attenersi per l’emanazione della propria legge elettorale per il Parlamento europeo. Quasi tutti gli Stati applicano attualmente un sistema di tipo proporzionale, con o senza soglia di sbarramento.

L’Italia elegge 73 membri del Parlamento (72 prima dell’approvazione del Trattato di Lisbona), con una legge elettorale proporzionale del 1979 (l. n. 18, 2401/79), modificata nel 2009 con l’introduzione di una soglia di sbarramento al 4%.

Il territorio è diviso in 5 circoscrizioni – Italia nord-occidentale, Italia nord-orientale, Italia centrale, Italia meridionale e Italia insulare – nelle quali si vota con preferenza variabile a seconda della circoscrizione (non più di 3 preferenze per la prima, non più di 2 per la seconda, terza e quarta, e solo 1 nella quinta).

A differenza di quanto avviene negli Stati membri, il Parlamento europeo non ha un potere legislativo esclusivo, bensì condiviso con la Commissione europea, che di fatto lo detiene totalmente.

Tuttavia le sue funzioni principali hanno una loro importanza intrinseca. Il Parlamento europeo, infatti:
– esercita il controllo politico sull’operato della Commissione, attraverso interrogazioni scritte e orali, e con lo strumento della mozione di censura;
– esamina le proposte legislative della Commissione;
– approva il bilancio insieme al Consiglio dell’Unione;
– nomina il mediatore europeo;
– istituisce commissioni d’inchiesta.

Mary Kaldor, docente di governance globale alla London School of economics e direttrice del centro studi per la governance globale, in un intervento lo scorso settembre ha sottolineato l’urgenza di «rinvigorire la democrazia sia a livello locale sia a livello europeo» e di conferire nuovi poteri al Parlamento, per dare credibilità all’Unione Europea.

«Una maggiore collaborazione tra i parlamentari europei è d’importanza cruciale – ha proseguito – per garantire che la cooperazione intergovernativa sulle questioni di sicurezza interna possa avere un impatto sulle libertà civili. Di tutte le istituzioni della Ue, il Parlamento europeo è quello la cui influenza politica è cresciuta di più e sembra destinato ad assumere un ruolo sempre più importante grazie al trattato di Lisbona. Il Parlamento europeo eleggerà i futuri presidenti della Commissione e dovrebbe arrivare a condividere con la Commissione il diritto a legiferare per l’Unione europea».

Per questo la scarsa affluenza alle urne per le elezioni europee è un serio problema. Secondo alcuni è un segno che la ricerca di un demos europeo è destinata al fallimento, per cui si dovrebbe rimettere tutto in mano ai parlamenti nazionali.

Il punto è che oggi le elezioni europee si giocano su temi puramente nazionali. I candidati non riescono a proporre agli elettori alternative serie riguardo al tipo di società europea che vogliono costruire. I partiti europei non sono che l’unione di partiti nazionali, che hanno scelto i loro candidati eletti alle elezioni europee, aggregati per affinità ideologica in gruppi a cui si affiancano le cosiddette federazioni transnazionali. Queste ultime, pur avendo ricevuto a partire dal Trattato di Maastricht il suggello legale dell’Unione, conseguendo lo status di ‘partiti politici europei’, nei fatti mantengono una intrinseca debolezza organizzativa, tanto che si fatica a inquadrarli come veri e propri partiti.

Forse invece i partiti europei dovrebbero entrare nella battaglia elettorale con programmi specificamente europei, offrendo agli elettori significative possibilità di scelta, e dunque maggiori incentivi al voto.

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