Dove se ne va l’Europa? Intervista all’Onorevole Gozi sul processo di unificazione politica in corso
In collaborazione con Lorenzo Lazzarini
In anni in cui si tende a ricercare spasmodicamente il risultato nel breve periodo, da parte di governanti e governati, forse un buon modo per rimanere lucidi è capire verso quali orizzonti gli stati europei si stanno muovendo, e dove vogliono arrivare. È questo che in fondo getta le condizioni per molto altro: la scelta di come le cose dovranno essere (compito politico per eccellenza) preclude e apre molte vie future. Abbiamo perciò intervistato l’Onorevole Sandro Gozi, capogruppo del Partito Democratico per la Commisione per le politiche dell’Unione Europea, su alcuni temi che ci sembrano centrali per il futuro politico dell’Europa, nel tentativo di capire, nei limiti di una breve chiacchierata, quale prospettiva si può delineare in questo senso.
«Sandro, vorremmo domandarti la tua opinione, in quanto esperto di questioni europee, riguardo all’Europa come entità politica, concentrandoci quindi su aspetti trattati in maniera imprecisa e scarsa dalla comunicazione di massa, che privilegia invece l’economia e la finanza. Secondo quale principio ispiratore le istituzioni europee attualmente presenti potranno modificarsi in un futuro prossimo al fine del raggiungimento di una qualche forma di unità? Forse tale processo potrà ricalcare quello dell’unificazione statunitense, o sarà qualcosa di diverso?»
«Io credo che sarà necessariamente qualcosa di diverso dagli Stati Uniti, qualcosa di originale come è sempre stata la costituzione europea sino ad oggi. Credo che un possibile federalismo europeo sarà diverso per un motivo: un domani o dopodomani i possibili Stati Uniti d’Europa dovranno occuparsi di una questione molto più importante, quella di distinguere ancora di più il concetto di stato dal concetto di sovranità.
Già oggi, di fatto, gli stati nazionali europei hanno perso la propria sovranità, non sono capaci di affrontare con efficacia la crisi economica globale perché non hanno più la forza né gli strumenti per farlo, ma nello stesso tempo non possiamo pensare adesso a uno “spazio” unificato, la gente non lo vuole e sarebbe molto difficile costruire uno stato-nazione europeo vero e proprio. E allora, cosa fare? Bisogna separare quello che è stato storicamente legato allo Stato, cioè la sovranità, e mettere insieme dei “pezzi” di questa sovranità a livello europeo, mantenendo tuttavia gli stati nazionali. Affrontando insieme, con nuove istituzioni e una nuova politica, quelle questioni che oramai sfuggono a livello nazionale: crisi economica e finanziaria, immigrazione, terrorismo, ambiente, grandi sfide commerciali nei confronti di colossi come Cina e India, alcuni aspetti della sicurezza. Queste questioni vanno affrontate in quella che io chiamo la “Federazione Cooperativa Europea”.
Perché federazione cooperativa? Perché deve mantenersi in una cooperazione fra stati, ma ha bisogno di nuove istituzioni, di una nuova politica e di una nuova classe dirigente centrale. Il problema delle attuali classi dirigenti nazionali è doppio: da una parte le grandi questioni sfuggono alla politica nazionale perché hanno bisogno di uno spazio d’intervento e di regolazione più ampio rispetto al singolo stato; dall’altra le classi dirigenti nazionali sono del tutto inadeguate perché provinciali, formate unicamente nelle capitali nazionali e senza grandi rapporti fra loro. Non sanno neppure esprimersi in una lingua diversa dalla propria. Per queste ragioni le future classi dirigenti europee, dunque sovranazionali, non potranno essere miopi nello stesso modo, ma dovranno indossare degli “occhiali correttivi” per mettere a fuoco l’Europa e il mondo».
«In secondo luogo, ci siamo chiesti se una volta fatta l’Europa non rimanga ancora da fare gli europei. La sensazione che abbiamo, perlomeno in ambito universitario, è che vi sia una repulsione di fondo nei confronti della nazione di appartenenza, che si esprime anche con una esterofilia di rimbalzo. Piuttosto che spendersi nel migliorarla i giovani italiani auspicano di potersene andare dalla nazione al più presto, vedendo negli altri stati europei maggiori possibilità di realizzazione. Se questo legame è già in crisi, come si può immaginarne uno futuro con questa federazione europea?»
«Questo è un punto molto importante. La democrazia sovranazionale di cui parlavamo prima si rivolge prima di tutto alle giovani generazioni, perché di fatto esse già vivono le conseguenze di passi fondamentali dell’unificazione europea: perché parlano una o più lingue straniere, viaggiano low cost, partecipano al programma ERASMUS. Dunque il terreno è fertile. Ma spesso non sono consapevoli pienamente che tutto questo è stato possibile finora perché i loro stati hanno deciso di costruire qualcosa che si chiama Europa. Danno l’Europa per scontata quando questa scontata non è, ma è il prodotto cosciente dei vari stati membri. È chiaro quindi che essere cittadino europeo dev’essere visto come un arricchimento rispetto all’essere italiano, spagnolo o francese, ma non come qualcosa che porta a respingere la propria nazionalità. In sostanza, pare non esserci consapevolezza della lungimiranza delle generazioni precedenti – mi riferisco per esempio a personaggi come De Gasperi, Spinelli, Adenauer – che nel secondo dopoguerra hanno reso possibile la nascita di un progetto unico europeo. A ciò dovuto il disimpegno a migliorare le cose a “casa propria”».
«Motivo di coesione può essere ad esempio l’aspetto puramente economico? Oppure la crisi economico-finanziaria, come accade oggi, spinge piuttosto alla divisione? »
“Dal punto di vista puramente politico questa crisi dovrebbe rivelarsi una grandissima occasione, perché mette a nudo le debolezze delle politiche nazionali, rendendo quindi evidente che manca qualcosa, e cioè una dimensione europea, o addirittura globale. Come è avvenuto storicamente in Europa questa crisi può provocare un passo in avanti politico e democratico dell’Europa stessa. Potrebbe essere quindi la “crisi perfetta”. Utile per poter avanzare come si sarebbe dovuto avanzare da tempo. Tuttavia a causa della durezza della crisi e delle scelte sbagliate che l’Europa sta facendo in tema di politica economica e sociale – vale a dire un totale schiacciamento sui tagli e sulla politica di austerità e di rigore – si sta verificando l’effetto opposto: il rigetto di tutto ciò che è Europa. Essa è vista come parte del problema e non come parte della soluzione.
I nuovi populismi stanno avendo successo in Europa, sia a destra che a sinistra, perché l’antieuropeismo conviene elettoralmente. Hanno capito che attaccare l’Europa porta voti. Al contrario gli europeisti non si sono mai impegnati fino in fondo in una battaglia aperta, pubblica, in favore dell’Europa. Quindi, da una parte vi è l’insufficienza dell’azione della classe dirigente europea e dall’altra la timidezza eccessiva e l’inadeguatezza degli europeisti, che stanno lasciando spazio a partiti come Lega Nord, Partito Nazionale Britannico, Jean-Marie Le Pen in Francia.»
«Ci porti l’esempio di un particolare provvedimento o risoluzione a livello europeo che secondo te è stato miope in questo senso?»
«Innanzi tutto il vizio di fondo è avere dato come risposta alla crisi solo maggiore stabilità e sorveglianza dei conti: abbiamo un fiscal compact con impegni molto rigorosi in materia di bilancio, ma non abbiamo un economic compact, cioè un patto economico comune per la crescita. È evidente che vi è un’incompletezza.»
«Il dibattito attuale si è molto appiattito sui temi economici in Europa. Vorremmo sapere come si svolge il dibattito fra le istituzioni europee e i parlamenti nazionali e come si può compattare dal punto di vista sociale la nuova democrazia europea. C’è un’attenzione per l’asimmetria esistente fra temi economici e sociali o ci si preoccupa solo dei primi, lasciando gli ultimi in secondo piano?»
«No. C’è ancora uno scarto notevole tra temi economici, specie economico- finanziari, e temi sociali. Solo adesso si incomincia a comprendere che occorre anche proporre una nuova politica sociale europea. La commissione ha fatto le prime proposte sul tema sociale la scorsa settimana: si incominciano ad ipotizzare programmi di apprendistato europei, a porre il problema della mobilità dei lavoratori nel mercato interno, a trattare temi come quelli del salario minimo europeo garantito, dei diritti sociali nel mercato interno. Ma l’Europa è dominata dalle destre conservative e dalle estreme destre, ovviamente meno sensibili al tema sociale, mentre eventuali futuri governi di centro sinistra si rivelerebbero sicuramente più attenti rispetto a temi come questi, che sono imprescindibili. Le situazioni di stati come Grecia e Spagna mostrano che abbiamo raggiunto oramai la soglia massima di accettabilità sociale. Spingere ancora potrebbe dare vita a delle reazioni sociali fortissime, persino violente».
+ There are no comments
Aggiungi