Lars Von Trier: la trilogia europea



È un regista danese tra i più famosi e discussi. Sempre controcorrente, ribelle, provocatore, continuamente pronto a stupire. È Lars Von Trier: una scossa alla cinematografia mondiale e un director dallo spirito controverso, che
 si compiace del trionfo del male a discapito del buonismo della morale cattolica di fine Novecento.
 Nascono dai suoi eccessi alcuni dei più 
grandi capolavori contemporanei della settima arte, che riescono veramente a emozionare e a disturbare l’animo umano.

Con L’elemento del crimine (1984), Epidemic (1987) ed Europa (1991), Lars von Trier compone la sua prima grande opera, un’intera trilogia incentrata sull’Europa post-bellica e decadente. Tre film radicali e pessimisti, legati dal tema del collasso sociale e politico: impostazione teatrale, colori profondi e dialoghi nevrotici sono totalmente in antitesi allo sperimentalismo con cui il danese si è imposto sulla scena internazionale.

Il regista prova così a fare un sol boccone di un intero continente in decomposizione. Il suo cinema si snoda nelle vie “crepuscolari” dell’Elemento del crimine, si mostra nella carne malata di Epidemic e nell’irrazionalità di un secolo di guerre raccontato in Europa. Le pellicole, non facilmente comprensibili per chi ama il genere d’intrattenimento, rappresentano comunque un’opera avvincente dal primo all’ultimo fotogramma. La loro complessità si fa perdonare dalla regia astuta e vivace.

Ognuno dei tre film può essere considerato indipendente anche se alla base delle pellicole, per ammissione dello stesso regista, c’è il noir americano per L’elemento del crimine, il cinema di zombie, vampiri e maledizioni per Epidemic e Orson Welles su tutti per Europa.

L’Elemento del Crimine è un film complesso e duro da seguire. L’Europa è devastata, dominata da una sorta di dittatura che non ci viene mai spiegata. Opera anti-narrativa e anti-spettacolare per eccellenza, è una storia gialla: tanto gialla che anche la fotografia vira verso questo colore. Ciò rende difficile la visione e altera così la percezione e la concentrazione, buttando lo spettatore in una sorta di confusione e sottilissimo senso di fastidio.

Il soggetto di Epidemic racconta invece del veloce diffondersi di un’epidemia nell’intero pianeta e del tentativo del dottor Mesmer di combatterla. Si tratta di un film inclassificabile e sfuggente, rimasto sconosciuto ai più, che pone però le basi per un nuovo affascinante linguaggio cinematografico. È come se, guardandolo, si fosse in qualche modo contaminati dalle immagini virali del regista e dalle sue atmosfere ossessive.

Europa è un piccolo oggettino di culto che non può mancare in una collezione che si rispetti. Ultimo capitolo della trilogia, è girato in bianco e nero, con sprazzi di colore che anticipano ciò che Spielberg avrebbe fatto per la bambina del cappotto rosso di Schindler’s List. Il film ha come protagonista un conduttore di treni e non racconta la seconda guerra mondiale o l’olocausto, ma narra ciò che avvenne alla fine: la resistenza, l’occupazione americana, gli ultimi fuochi del conflitto.

Von Trier comprova, fin da questi anni, il suo talento: un genio che si dimostrerà tale in numerose opere future. Tutto l’immaginario proposto in questa trilogia è inedito rispetto al suo cinema più recente, con un’impostazione più simbolica. Non manca il senso di crisi tipico del secolo scorso: i personaggi spesso sono al limite, privi di punti di riferimento, mentre le trame sembrano irrilevanti.
L’obiettivo finale del regista è una ricerca: non ricerca di cose impossibili, ma di un tipo di cinema che sia fuori dagli schemi consueti. Come lui stesso ha sempre ammesso: «Non sono che un semplice masturbatore dello schermo».

 

Per saperne di più www.larsvontrier.it

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