Sensori [in]coscienti
Oggi più che mai il cittadino è escluso dalla progettazione della propria città, con il rischio di sentirsi estraneo a quel nucleo urbano che un tempo gli apparteneva e nel quale si riconosceva. Abbiamo intervistato gli architetti dello studio Ciclostile Architettura di Bologna per parlare di progettazione partecipata, un approccio che implica il coinvolgimento attivo del cittadino nelle diverse fasi del piano urbano. Le informazioni, le percezioni, le esigenze dei singoli vengono condivise e diventano patrimonio di progetto. Un nuovo modo per educare all’architettura e per partecipare attivamente alla costruzione della nostra città.
Ecco cosa ci hanno detto.
Nell’ultimo decennio la consapevolezza delle trasformazioni del territorio da parte delle persone che lo abitano è aumentata a dismisura e in maniera proporzionale, ed è aumentata la possibilità di espressione critica riguardo alle scelte intraprese dalle Amministrazioni. In Italia (ed in particolar modo in Emilia-Romagna) questo fenomeno ha portato due grossi cambiamenti nella gestione del territorio urbano e non: una notevole sfiducia nell’urbanistica tradizionale, che si è tradotta in un assoluto rigetto delle scelte imposte dall’alto, e la conseguente nascita dell’urbanistica partecipata che, coinvolgendo i cittadini, rende più comprensibili e condivise le decisioni.
Questo nuovo approccio si basa sul presupposto del consensus-building (Gestione Creativa dei Conflitti): una comunità che partecipa direttamente alla gestione del territorio è più propensa ad affrontare i costi economici e sociali che ne conseguono. Dopo una prima fase di sperimentazione nelle città principali, lo strumento della progettazione partecipata è stato assimilato anche dai Comuni e dai paesi più piccoli.
In questo contesto Ciclostile Architettura è stato chiamato ad affrontare due laboratori di urbanistica partecipata entrambi nella provincia di Bologna. Il primo laboratorio ha avuto come oggetto la riqualificazione di San Lorenzo di Panico, un piccolo paese situato alle pendici degli Apennini di grande rilevanza storica e paesaggistica per la presenza della chiesa Romanica, una delle più antiche testimonianze in Emilia ancora presenti, per la vicinanza col parco di Monte Sole, luogo della memoria della Seconda Guerra Mondiale e per i molteplici sentieri che lo attraversano e portano a godere delle bellezze della valle. Il secondo laboratorio ha analizzato le possibili trasformazioni future di un’area soggetta a POC (Piano Operativo Comunale) nel centro del Comune di Calderara di Reno. Calderara sta affrontando una fase complessa della sua crescita, la gestione dell’aeroporto e delle zone industriali limitrofe è la sfida fondamentale per questo Comune che deve nel contempo migliorare le strutture a servizio dei cittadini. Il carattere rurale o periurbano di questi progetti ci ha portato a relazionarci con dinamiche e sensibilità differenti da quella cittadina. Il concetto di comunità assume un valore di relazione più diretto e costante.
Il presupposto concettuale con cui sono stati affrontati questi progetti è stato quello di utilizzare i partecipanti al workshop come sensori, in quanto hub in diretta interazione con l’ambiente circostante. Questi sensori scambiano informazioni continuamente con l’esterno, in maniera consapevole ed inconsapevole, attraverso assemblee, reclami, suggerimenti, ma anche semplicemente utilizzando i social network e tutti i media di cui disponiamo. I cittadini/sensori diventano così uno strumento semplice ed efficace per conoscere la realtà. Funzionando con una logica di gamification, nella quale si sentono coinvolti in azioni che li stimolano ma delle quali non sempre comprendono a fondo il significato, sono incentivati a scambiare sempre più informazioni per entrare a fondo nelle dinamiche progettuali. Questo percorso li porta ad una consapevolezza sempre maggiore che gli consente di essere più precisi e quindi più utili nei messaggi che scambiano.
I progetti realizzati sono la sintesi di queste informazioni. In questi laboratori il nostro ruolo, oltre a quello tecnico, è stato quello di ricettori e traduttori di idee.
Uno dei problemi che abbiamo rilevato durante queste esperienze è che nell’ambito delle piccole realtà le soluzioni individuate spesso rimangono isolate e non vengono divulgate e messe a sistema; date le limitate dimensioni e l’importanza dell’intervento questi progetti vengono dimenticati e non possono essere uno spunto per altre realtà. Le piccole realtà faticano a creare reti stabili di connessione e scambio di esperienze poiché nonostante siano in possesso degli strumenti, non sanno come utilizzarli al meglio. Manca un vocabolario comune che renda semplice il confronto di realtà diverse e mancano piattaforme adeguate alla catalogazione. Questo crea una enorme diseconomia ed impone di ricominciare sempre dal punto di partenza.
I dati sono spalmati su una serie enorme di siti, indagini statistiche, pubblicazioni e banche dati di tutti i tipi e in molte discipline come quella economica, scientifica, demografica, etc.. vengono già utilizzati in modo incrociato (mash up) per ottenere risposte fino a pochi anni fa inimmaginabili. Il mash up consente di sfruttare appieno queste banche dati e di generare gli ulteriori dati che servono in maniera veloce ed automatica aiutando il professionista e i partecipanti ai laboratori a non disperdere energie ed informazioni importanti.
La ricerca informatica si sta muovendo già da alcuni anni in questa direzione per soddisfare una sempre crescente richiesta del mercato che utilizza strumenti evoluti come il mash up per una moltitudine di applicazioni. Perchè non utilizzarli allora anche nel disegno urbano e nella progettazione del territorio?
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