I male educati


Un proverbio africano recita: ci vuole un villaggio per educare un bambino. E qualche decennio fa era così anche da noi. L’irreprensibile sguardo di tuo padre al quale avresti dato del voi, il polso di tua madre che aveva tanti figlioli da tirar su. Nonni, zii e parenti coi quali ti toccava condividere il tetto. E poi il maestro a scuola che ti trasmetteva il suo sapere, il prete all’oratorio ti parlava di anima, la suora ti dava i pizzicotti se ridevi troppo. Il cugino più grande  ti consigliava sulle ragazze, il datore di lavoro ti parlava di esperienza, il leader del partito che scuoteva la coscienza. Un intero villaggio avrebbe fatto di tutto per darti una buona educazione, stile catena di montaggio.

Oggi quel villaggio si chiama mondo. Sempre di più gli stimoli coi quali confrontarsi per costruire e costruirsi un’identità – il macro – ma sempre più deboli le forze che agiscono nella quotidianità – il micro.

Un giovane tedesco su cinque non sa cos’è Auschwitz mentre in tutta Europa rifioriscono gli estremismi violenti. La MTV generation sa tutto delle mamme sedicenni e delle migliaia di dollari che i genitori spendono per i compleanni dei propri figli. Si inizia sempre prima a bere, a fumare, a scopare. Parole come cortesia e gentilezza sono pezzi d’antiquariato. Non si chiede più ai bambini cosa vogliono fare da grandi: forse non si ha più il tempo di ascoltare la risposta o forse è una domanda che spaventa perfino i genitori. Ma come siamo arrivati a questo?

Attraverso tanti modi di fare, frasi fatte e scelte che gli adulti compiono ogni giorno, nelle coscienze dei giovani continua a tramandarsi il pilastro dell’avidità. Un’avidità che lascia ben poco spazio alla collaborazione disinteressata al bene della collettività.

E i cosiddetti educatori di cui parlavamo prima, cosa hanno fatto per impedire che l’avidità attecchisse nel tuo cuore? Niente, sei sempre stato libero di fare ciò che ritenevi più giusto. Non c’è da sorprendersi se come metro di giudizio fra giusto e sbagliato hai scelto il “così-fan-tutti”.

C’è un equilibrio da recuperare fra il macro – il mondo, con le sue mille proposte alternative – e il micro – la famiglia, la scuola e gli affetti. E se alla base lasciamo il mattone dell’avidità non ci sarà alcun interesse a creare relazioni forti. E chi verrà dopo di noi resterà in balia del tutto-e-subito , del tutto-e-niente e del e-poi-perché.

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