Agorà a Bologna – Alternativi si diventa


Ferdinando Pozzati Piva da Comacchio, 56 anni, scarponi pesanti e cappello di lana, afferra lo sgabello e me lo lancia vicino. Il piccolo oggetto di plastica ballonzola sulle gambette ritte prima di fermarsi definitivamente davanti ai miei piedi.

Mi guarda, bianco e scalfito e io guardo lui. Attorno a me un gruppetto di sconosciuti aspetta in silenzio che dica qualcosa.

Biascico qualche parola di scusa. Non so cosa dire. Sono impreparata. Non sull’argomento ma perché sono stata presa di sorpresa, la situazione in cui mi trovo è nuova, mai sperimentata prima.

«Salga sullo sgabello ed esprima la sua opinione. Non e’ un diritto, e’ un dovere» m’incita Ferdinando con tono intransigente.

Il dovere in questione è la volontà di esprimere la propria opinione riguardo alla situazione politica, religiosa e culturale nostrana. Ogni giovedì e sabato fra le 11 e le 17 in Piazza Maggiore, prende vita un’Agorà. L’assemblea conta una manciata di fidelizzati, il resto prende forma col passare delle ore mentre Ferdinando, rivolto all’intera piazza, lancia il tema della discussione e relative provocazioni.

I passanti sono restii a fermarsi a lungo, giusto il tempo di osservare cosa succede. Il timore di essere interpellati sotto l’attenzione generale fa allontanare molte persone.

«Passate lo sgabello, questa è un’assemblea, tutti devono dire la propria» ricorda costantemente Ferdinando, trascinando lo sgabellino davanti ai nuovi presenti.

Il tema è solo un punto di riferimento generico.

Chiunque può dire quello che vuole.

Dagli anni 80’ fino ad oggi Ferdinando ha svolto questo genere di attività civica:

Favorire le assemblee cittadine spontanee.

In trent’anni il panorama politico italiano ha suggerito pesanti temi di discussione trascinatisi fino ad oggi. Tutto ciò che si poteva dire, fare, suggerire all’interno dell’assemblea sarà stato ripetuto come minimo un centinaio di volte.

Opinioni, esperienze personali, ideologie, prese di posizione, soluzioni varie, tutto ciò à già fatto la sua apparizione sullo sgabello bianco in piazza.

Ma è proprio questo il punto.

Una signora si ferma con i sacchetti della spesa e lancia un’accusa:

«Basta star qui a parlare! Sono anni che discutete! E alla fine non combinate mai niente! A quando la rivoluzione?!»

La rivoluzione cui probabilmente si riferisce la signora è quella materiale, fisica, che permette di ribaltare i poteri consolidati e cambiare la classe dirigente. Ma il presupposto per una rivoluzione di questo calibro è un altro tipo di rivoluzione, quella intellettuale. Ed è per questo che Ferdinando torna in piazza ogni settimana da anni.

Lo sgabello è il surrogato del bastone che un tempo si utilizzava per assegnare il turno di parola nella pratica dell’assemblea all’interno dell’agorà. L’agorà era il luogo della democrazia per antonomasia, perché era sede delle assemblee dei cittadini che vi si riunivano per discutere i problemi della comunità e decidere collegialmente sulle leggi. Ad ogni partecipante era concessa uguale libertà di parola e di argomento. Ognuno aveva il diritto di assumere il ruolo attivo dell’oratore.

«Dobbiamo tornare in Piazza!» Esclama Ferdinando. «Dobbiamo riappropriarci del nostro ruolo di cittadinanza attiva! La responsabilità della classe dirigente che abbiamo al potere è solo ed esclusivamente nostra. Dobbiamo ricominciare a sorvegliare i nostri delegati al governo. Chiusi dentro casa, isolati dagli altri non si prende coscienza della situazione».

L’obbiettivo di Ferdinando è “tornare in piazza” perché ci si riappropri della consapevolezza di essere ingranaggi essenziali nella macchina della politica, dotati di reale potere decisionale e sovranità. Un ritorno alla piazza che deve trasformarsi in abitudine, in un appuntamento fisso, non rimanere un’alternativa poco popolare.

Quando cortei di manifestanti intercettano l’assemblea, Ferdinando chiede la loro partecipazione, per dare il via ad una tavola rotonda più ampia ed articolata. Ma questa richiesta è stata spesso palesemente ignorata. Nonostante provochi l’interesse e la partecipazione di persone di diverso orientamento politico, sesso e nazionalità, permane comunque la sensazione che questo genere di assemblea sia un modo di riunirsi non ordinario al contesto tradizionale: occuparsi di politica significa schierarsi e le principali fonti da cui attingere informazioni rimangono la televisione e i giornali.

«Basta delegare ai partiti ma rimettetevi in gioco. Spegnete la televisione ed evitate di comprare giornali. Tornate in piazza a raccogliere informazioni e a discutere».

Con queste parole si conclude un altro pomeriggio in Piazza Maggiore.

L’assemblea si scioglie e si torna a casa. Con la speranza che riunirsi pacificamente nell’interesse della collettività smetta di essere un’alternativa trascurabile, ma torni a rappresentare una necessità.

9 Commenti

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  1. Giovanni C

    Ottimo articolo. Anche io attraversando Piazza Maggiore non ho potuto fare a meno di fermarmi, ed ascoltare le parole che uscivano dalle bocche di oratori occasionali e non.
    I gesti, le espressioni, gli sguardi, il panico da prestazione, la paura di dover salire sopra un pezzo di plastica alto 20 cm e dire la propria opinione! Tutte sensazioni che vanno scomparendo in quest’epoca di intasamento sociale e mentale.

    Effettivamente, il fatto che non ci sia un tema di dibattito stabilito a priori, rende l’incontro un po’ dispersivo. Dall’altro lato viene immessa una certa quantità di input, che portano i presenti a nuove riflessioni e nuove idee.

    Come spiega perfettamente l’autrice dell’articolo, si vuole favorire la rivoluzione intellettuale, perché quell’altro tipo di rivoluzione, quella con le armi, il sangue e le urla, porta solo a sconfitte e cambiamenti apparenti.

    L’appuntamento di Ferdinando è un grande esempio di partecipazione e responsabilità.

    • Lara

      Grazie per la tua riflessione! E’ vero, l’appuntamento di Ferdinando non è una situazione che sperimenti una volta e basta. Non è e non deve essere considerata fine a se stessa. Altrimenti non si può parlare a priori di “rivoluzione intellettuale”. Cito le parole di Ferdinando in risposta ad una persona che optava per una rivoluzione fatta con le rivoltelle in mano e la legalizzazione della pena di morte per i corrotti al potere:«E’ paradossale pensare di sostituire una politica corrotta con una politica del terrore».

  2. Selene Belingheri

    Bell’articolo davvero. L’agorà a Bologna mi ha colpito da sempre, purtroppo come Giovanni anche io ho trovato che il fatto che non vi sia un tema neppure vagamente rende gli incontri un po’ ripetitivi (in 4-5 volte che mi son fermata ad ascoltare anche in periodi molto differenti i temi erano sempre quelli e anche le storie). Però quello che mi colpisce è che ci sia ancora gente che ha voglia di parlare dire quel che pensa!

    • Anonimo

      La prima volta che sono “inciampata” nell’assemblea in piazza sono rimasta molto colpita dalle persone.
      Le persone presenti che si esprimevano o che ascoltavano perdevano una sorta di maschera che i miei occhi vedevano nel quotidiano. Si incontra – scontra una moltitudine infinita di persone ogni giorno in citta’. E riconoscerle (anche un semplice scambio di sguardi) significa averle gia’ giudicate. Ognuna sembrava incarnare uno stereotipo da cui poter risalire a una sorta di biografia/modo di vivere mai abbastanza orginale (a causa delle apparenze). Mentre quando le ho viste esporsi in piazza, la maschera e’ crollata e mi sono resa conto di essere circondata -anche nel caos- da persone e non da sconosciuti.
      La frase : “Gli italiani sono un popolo di anestetizzati” mi fa davvero inca…volare!

  3. Anonimo

    Anch’io mi sono fermata incuriosita mentre passeggiavo per Piazza Maggiore, una iniziativa tutto sommato stimolante…. complmenti a Ferdinando e a tutti quelli che salgono sullo sgabellino! Un bell’esempio di civiltà.

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