Ricostruire o rievocare?


L’Italia è un paese particolarmente segnato dalla storia. Ogni giorno, spesso inconsciamente, viviamo camminando sopra ciò che resta delle epoche passate, reperti silenziosi e modesti che ogni tanto emergono per ricordarci da dove proveniamo.

Il tema della memoria, soprattutto nell’architettura legata all’archeologia, è stato argomento di forte dibattito negli ultimi secoli. Prima della presa di coscienza dell’importanza di ciò che rappresenta il passato, i resti fungevano da cave a cielo aperto: ne è un esempio Roma, dove il materiale più pregiato veniva “cavato” per costruire le nuove architetture, annullando perciò il ricordo, forse volontariamente.

Ci sono diversi metodi di approccio alla scoperta di un resto archeologico. Quello apparentemente più facile è ricostruire in maniera scientifica il reperto “dov’era e com’era”, dando al visitatore un impatto originale del passato, ma con la possibilità di cadere in un falso storico fuorviante e molto pericoloso dal punto di vista archeologico.

Questo sistema viene adottato soprattutto nei paesi del nord Europa, per valorizzare quelle civiltà che utilizzavano materiali non duraturi (come legno e fango) per le loro architetture, tra cui ad esempio le case su palafitte. Ciò che ci rimane di quelle costruzioni spesso esili, oltre agli oggetti da museo, sono le travi infilate nel terreno, se non sono completamente sbriciolate: nel caso più sfortunato resta solo il vuoto lasciato dalle fondamenta.

In casi come questi è molto difficile costruire qualcosa attorno al nulla per rendere il reperto interessante. Si sceglie perciò il metodo, che determina uno studio molto approfondito dei costumi della civiltà considerata, di ricostruire il piccolo edificio per dare un’idea di come poteva essere la vita all’interno di una palafitta.

Il rischio è quello di produrre una specie di parco divertimenti che può sicuramente piacere ai bambini ma che non appartiene alla nostra epoca e difficilmente si potrà integrare con la città contemporanea.

Di altro impatto invece è un approccio più contemporaneo e che in tempi relativamente recenti si è affermato come metodo: i reperti ritrovati, dopo un attendo studio e catalogazione, vengono inseriti in un progetto che cerchi di fondere il presente con il passato, rievocando solo in parte le sensazioni originali senza mai perdere di vista la collocazione temporale del visitatore.

Nel migliore dei casi è possibile addirittura contestualizzare i resti archeologici nella città che li circonda, arricchendo il sito con un surplus di interesse per incuriosire ancora di più il visitatore attento, che non sia interessato soltanto ad esibizioni in stile Disneyland.

Il tuffo nel passato che questa architettura ci permette di fare, isolandoci in parte dalla contemporaneità ma facendo leva anche sul presente, è una valorizzazione a 360 gradi di entrambe le epoche storiche che s’incontrano tra loro, dando vita ad una fantastica continuità temporale.

Un esempio in tal senso lo è la Domus del Chirurgo a Rimini, sita in piazza Ferrari e quindi in pieno centro città. In questo caso sono stati adoperati materiali e tecnologie distanti dall’originale residenza romana (ad esempio il
vetro portante e una sorta di tetto verde), ma allo stesso tempo viene data dignità a quei resti che rappresentano un importante ritrovamento per il territorio.

Al suo interno il visitatore ha la possibilità di ripercorrere gli ambienti appartenuti al dentista latino e capirne l’utilizzo nella sua pienezza. Tra l’altro, come accade per tutti i fabbricati storici, le funzioni dell’edificio sono cambiate con il trascorrere e delle epoche, ma un intelligente utilizzo della passerella “sospesa” permette di apprezzare le differenti fasi dello sviluppo del sito.

Valorizzando un’opera di grande rilevanza archeologica, allo stesso tempo la città di Rimini ha ottenuto un luogo adatto all’aggregazione, ricco di storia e spazi aperti, un tesoro per il centro storico. Passeggiare nei pressi della Domus diventa così non solo un piacere, ma anche un incoraggiamento per i più curiosi ad approfondire il tema della storia romana nel vicino museo cittadino.

In una società in continua evoluzione, guidata sempre più dalle nuove tecnologie, se ripresentato con metodi adeguati l’antico può essere la chiave di volta per rafforzare la cultura del passato nella popolazione.

Bellissimo esempio di rievocazione, con un’architettura molto chiara nella sua semplicità, è quello del tempio etrusco di Portonaccio, nel Parco regionale di Veio. Poco resta della sua immagine del passato, maestosa e imponente, ridotta dal tempo all’estrema modestia di una rovina archeologica.

Per rievocare il tempio agli occhi del visitatore si è scelto quindi di ricrearne lo scheletro, che consente di leggerne l’antico splendore. In questo modo è possibile ammirare altezza e lunghezza originali dell’edificio, lasciando però allo sguardo del visitatore un impatto esile e leggero grazie alla struttura sottile in ferro che lo compone, sormontata da una lieve ripresa del tetto e del frontone.

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