Il Pigneto ricorda. Il Pigneto dimentica
«Alcuni lo ricordano ancora
mentre accende una sigaretta,
altri ne hanno fatto un monumento
per dimenticare un pò più in fretta»
Francesco De Gregori, Festival (1976)
Uno Stato è una nazione quando ha dei luoghi della memoria e delle date simbolo nelle quali si ricordano eventi che hanno marcato la vita del Paese – avete mai provato a pensare alla Germania senza legarla alla caduta del Muro di Berlino?
L’Italia in questo è un late comer: dovrebbe avere più cura nel ricordare gli aspetti simbolici legati alla propria storia. Ma le celebrazioni una tantum e i monumenti alla memoria sono davvero utili?
Nel 2010, il VI Municipio del comune di Roma Capitale, in collaborazione con una serie di associazioni territoriali all’interno del progetto Percorsi della Memoria, ha istallato nel quartiere del Pigneto alcuni pannelli che raccontano la storia dei personaggi che si sono distinti durante la Resistenza per il loro coraggio e per il loro attivismo antifascita.
Il Pigneto, insieme a San Lorenzo, Torpignattara, Marranella, Quadraro, Villa Certosa, Centocelle e Quarticciolo, è uno dei quartieri di Roma più attivi nella lotta contro il fascismo durante la seconda guerra mondiale, e proprio per questo subì i bombardamenti degli alleati nel 1944.
L’atteggiamento antifascista nei quartieri periferici era comune alla maggioranza della popolazione, e non necessariamente per motivi strettamente politici. La spinta principale verso l’antifascismo era data da cause sociali: molte famiglie residenti erano state allontanate con la forza dal centro storico, e vi erano inoltre molti immigrati dalle zone rurali a cui il fascismo negava il diritto di residenza. A ciò si aggiungevano le sofferenze provocate dalla guerra e dall’alleanza tra Italia e Germania.
Il regime mussoliniano riteneva che i quartieri del VI Municipio fossero covi di sovversivi e antifascisti, tanto che durante i mesi di occupazione (settembre 1943-giugno 1944) i nazisti evitavano di avventurarvisi, lasciando il compito di reprimere con la violenza qualsiasi forma di protesta alla polizia fascista o ad infiltrati. Di fatto qui, già prima dell’8 settembre, era nata una fitta rete di piccoli gruppi, sparsi nel quartiere ma in contatto fra loro, che si strutturarono in vere e proprie formazioni paramilitari.
Durante la lotta resistente molti abitanti del quartiere furono arrestati e uccisi nei campi di concentramento o nelle Fosse Ardeatine (dove il 24 marzo 1944 furono massacrate 335 persone). Tra questi i quattro partigiani a cui il Municipio ha dedicato i “pannelli della memoria”:
– Angelo Galafati: militante di Bandiera Rossa, nascondeva nelle case dei suoi amici i prigionieri stranieri evasi dai campi di prigionia dopo l’8 settembre. A causa di una soffiata, il 13 marzo 1944 Pietro Koch riuscì ad arrestarlo e il 24 marzo venne ucciso nelle Fosse Ardeatine;
– Fernando Persiani: morto in un campo di sterminio, di lui si hanno pochissime notizie;
– Ferdinando Nuccitelli (foto sopra): comunista e antifascista militante, fu arrestato due volte per attività contro il regime. Nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, fu tra i primi organizzatori della Resistenza romana. Catturato a dicembre e deportato a Mauthausen, fu poi trasferito nel sottocampo di Ebensee, dove morì;
– Antonio Atzori (foto sotto): di origini sarde, trasferitosi a Roma dopo la prima guerra mondiale, fu licenziato dalle ferrovie per la sua attività di antifascista nel 1922. Subì anche lui diversi arresti e aggressioni. Nel dicembre del 1943 venne preso per l’ultima volta e deportato a Mauthausen. Morì a Ebensee pochi mesi dopo.
Lo scopo del progetto I percorsi della memoria è quello di ricordare ai vecchi abitanti del Pigneto la storia del quartiere, e raccontarla ai nuovi (il Pigneto è un quartiere che negli ultimi anni si è riempito di studenti fuori sede, giovani lavoratori e immigrati). Ma funziona?
Una domenica pomeriggio sono andata a intervistare gli abitanti del luogo. Purtroppo il risultato è stato quello atteso: soltanto pochissimi giovani frequentatori del quartiere si sono accorti della presenza di targhe commemorative e pannelli, il che dimostra la loro effettiva inutilità, o la distrazione dei passanti.
Anche con gli anziani non è andata meglio: nessuno degli intervistati, nemmeno quelli che hanno vissuto l’esperienza della guerra, hanno mai notato la loro esistenza.
Il signor Mauro, 70enne, abruzzese emigrato a Roma negli anni ’50, ha risposto con un significativo «Le lapidi devono stare al cimitero». Mentre Gianni, 60enne, ha affermato «Se il Comune avesse speso quei soldi per rifare le strade e coprire le buche sarebbe stato molto più utile».
Forse targhe commemorative, pannelli esplicativi e monumenti alla memoria non aiutano a ricordare, soprattutto in una società iperattiva dove le persone, prese dai loro mille impegni, non prestano più molta attenzione a ciò che le circonda.
E quindi cosa fare per non dimenticare?
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