Progresso o caduta?


Nuovo contributo di A.K.A.P. – Associazione Karibuni Assistenza alle Popolazioni

Esiste una crisi: finanziaria, sociale, culturale, forse anche umana e, come nella migliore tradizione occidentale, lo spettro del millenarismo, ieri religioso, oggi, nella maggioranza dei casi, storico, inizia ad aleggiare e a far stracciare le vesti agli esponenti della civiltà dell’opinione, o meglio dell‘opinionismo.

Se Goethe sosteneva che se non si impara dalla Storia si è condannati a riviverla, un secolo prima il nostro spesso dimenticato G. Vico, nella sua teoria dei corsi e ricorsi storici, ne presentava una visione ciclica. Niente di nuovo dunque. O forse sì?

Dopo la seconda guerra mondiale si è molto discusso sull’impatto che l’illuminismo ebbe nel futuro dell’umanità: Habermas ci vedeva un processo positivo ed emancipatorio, privo di alcun potenziale “totalitario”, ritenendo che le derive del XX secolo fossero semplicemente il risultato di un processo incompiuto. Adorno e oggi Agamben sostengono invece che la tendenza totalitaria sia intrinseca a un modello teleologico negativo di cui i genocidi e i campi di concentramento sono il punto finale in cui culmina l’intera storia dell’ Occidente. Di avviso ancora differente è E. Balibar, secondo cui la modernità è sinonimo di nuove libertà, ma anche di nuovi pericoli.

La certezza è che oggi, prima di tutto, manca la capacità, da parte delle classi dirigenti, di immaginare un mondo diverso da quello attuale. A differenza dei nostri predecessori, che nel bene e nel male una visione l’avevano, la sensazione che si avverte rivolgendo lo sguardo verso chi dovrebbe guidarci è la mancanza di passione civica.

L’assenza di sogni possibili, la rissa mediatica, la debolezza decisionale nei momenti di difficoltà diffusa in tutti i leader dell’occidente porta a immobilismo e fatalismo, posizioni che possono pericolosamente sfociare nella “normalizzazione” del declino che giustifica il logoramento dell’etica pubblica e la vittoria dell‘interesse privato a scapito di quello generale. In questo 150° anniversario dell’unità nazionale vediamo come, fallito il programma unitario iniziale, sempre più forti siano le spinte al particolarismo e al campanilismo.

Esiste però un’altra faccia della medaglia: movimenti di persone che, in modo più o meno organizzato, cercano risposte creative alle domande dell’oggi; dopo la crisi sistemica dei partiti e del loro radicamento sul territorio, si sente la necessità di trovare una nuova forma organizzativa del tessuto sociale, che guardi ai bisogni della comunità e alla sociabilità dei singoli.

Il terzo settore ha, oggi, proprio questo compito: non più solo una funzione orizzontale e sussidiaria tra “stato” e “mercato”, ma anche un ruolo verticale, di mediazione e collegamento tra le necessità del singolo e le istituzioni. Non solo servizi, ma anche riformazione del tessuto sociale. Il volontariato fa socializzare persone diverse per generazione, condizione sociale, provenienza culturale e religiosa; questo serve in primo luogo ad abbattere il pregiudizio, sempre figlio del “sentito dire” e del luogo comune. Avendo coscienza che non esiste una soluzione a tutte le domande di una Società costantemente in mutamento, il terzo settore resta una parte della risposta che cerca di superare i vecchi modelli sempre più zoppicanti e diventa, forse, erede morale della parte migliore dell’ideale illuministico: la Fratellanza Umana.

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