Africa e Sole
Con il numero di Agosto – Settembre 2011 inizia la collaborazione con i ragazzi di A.K.A.P.
L’Associazione Karibuni Assistenza alle Popolazioni – A.K.A.P. nasce nel 2006 dall’idea di un gruppo di ragazzi tra i 18 e 23 anni, accomunati da esperienze di volontariato in Italia e all’estero. Nel suo percorso A.K.A.P. ha acquisito sempre nuovi membri ed è potuto crescere passo passo, ampliando il proprio campo di azione con i progetti “Tanzania” ed “Etiopia”. Nell’agosto del 2009 è entrata a far parte del Coordinamento di Protezione Civile della Provincia di Rimini, ed è iscritta come ONLUS al registro provinciale del volontariato.
L’associazione organizza eventi di divulgazione, informazione e sensibilizzazione; mantiene rapporti con le missioni in loco e porta avanti progetti di sostegno a istruzione, sanità, famiglie, disabili.
Per noi europei è un binomio classico, uno dei tanti stereotipi duri a morire su un continente di cui abbiamo voluto scrivere la storia senza comprenderlo a fondo. Tzvetan Todorov diceva, nel celebre “La conquista dell’America”, riguardo ai sentimenti dei colonizzatori europei in sud America nei confronti degli Indios: «Chi li capisce non li ama, e chi li ama non li capisce». Questa è la sintesi di una civiltà, la nostra, che nella migliore delle ipotesi ha sempre guardato l’Altro con “tolleranza”, parola che dall’iniziale sentimento di progresso e fratellanza ora significa sopportazione.
Il continente africano è invece un universo variegato, sia di popoli che di climi. Il deserto del Sahara e la parte centro orientale, insieme al Sudan, l’ Eritrea e il nord dell’Etiopia sono le aree più colpite dalla siccità e sono anche quelle che si avvicinano di più, insieme alle foreste congolesi, alla classica immagine africana.
Il Sahara è un confine naturale e culturale importante. Le difficoltà di attraversamento, il mondo dei caravanserragli e dei mercanti, il mutevole panorama delle dune, sono sempre stati il discrimine fra ciò che era “sopra” e ciò che era “sotto” il mondo mediterraneo e medio-orientale e quello africano. La scarsità d’acqua definisce quelle zone che per millenni hanno accolto popolazioni semi-nomadi di pastori – una su tutte quella Masai – che si sono garantite la sopravvivenza in un sistema collaudato di simbiosi con il proprio ambiente.
Cosa è cambiato dunque?
Ci sono motivi storici come il colonialismo, il cambio arbitrario dei confini tra stati, lo sfruttamento intensivo delle poche risorse disponibili e le guerre, che sono passate da fisiologici scontri fra tribù per il controllo delle zone di caccia e raccolta a conflitti estesi e prolungati, costringendo alla fuga masse di persone con la nascita di campi profughi divenute realtà permanenti di disagio e degrado.
Esiste poi un dato sullo sviluppo umano – rilevato dal rapporto delle Nazioni Unite del 2006 – secondo cui 1,1 miliardi di persone non ha accesso all’acqua potabile. Il disagio idrico, con conseguenze igenico-sanitarie che vedono la diarrea come prima causa di mortalità infantile, è un problema diffuso a livello globale senza soluzione semplice e univoca.
Nel mondo del volontariato, ma soprattutto nell’ambito della cooperazione internazionale, c’è coscienza del fatto che per quanto esteso possa essere l’intervento e la buona volontà delle tante persone che vi si dedicano, questo non sarà mai sufficiente senza un deciso intervento dei Paesi interessati e della comunità internazionale. Il problema dell’acqua infatti, assieme all’opportunità di sfruttamento dell’energia solare nel rispetto del paesaggio, sono questioni che necessitano di grandi conoscenze tecniche ed enormi risorse economiche. Il terzo settore può, quindi, essere la voce che spiega realtà e problematiche che spesso rimangono ai margini del dibattito pubblico o relegate ai rapporti degli osservatori internazionali, a cui la maggioranza delle persone normalmente non accede. Solo la creazione di una opinione pubblica sensibile e cosciente può portare a risollevare le sorti di una grande parte d’umanità.
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