Sunshine – La luce ti avvolge
Non c’è vita senza luce solare. La sapienza antica ci tramanda da millenni l’importanza del sole per la nostra sopravvivenza: la nostra stella viene elevata a divinità, sia che attraversi i cieli su un carro, o che ci osservi con un grande occhio incandescente, o ancora che abbia mutato forma ma non sostanza, e la sua presenza si celi persino dietro la complicata teologia cristiana. La scienza in fondo non ha fatto altro che confermare la magnificenza del nostro astro.
Il sole tuttavia, non è un’entità immortale come credevano gli antichi: in effetti non è che una stella come tutte le altre e prima o poi, finirà per spegnersi. Non si sa di preciso quando ciò accadrà ma di sicuro sarà la fine del mondo, almeno di quello che conosciamo. Le previsioni degli scienziati sono piuttosto rassicuranti: si dice che la nostra stella sia a circa metà della sua vita, e che quindi ci aspettino altri 4,5 miliardi di anni di luce e tepore.
I misteri dell’Universo però, sono infiniti come la sua estensione: cosa accadrebbe allora, se il sole dovesse spegnersi prima del tempo?
Questa è la domanda che dev’essersi posto Danny Boyle, il regista di Trainspotting e The Millionaire, girando il terrificante e claustrofobico Sunshine (2007). La pellicola, ambientata nel 2057, racconta la disperata missione di un gruppo di scienziati che si inoltra nello spazio profondo per raggiungere un Sole ormai in procinto di spegnersi, per sganciare al suo interno una bomba atomica realizzata con tutto il materiale fissile della Terra, e ridare così vita alla nostra stella.
Sulle spalle dei protagonisti pesa dunque il destino dell’umanità intera, e ciascuno lo porta a suo modo: non ci sono eroi come non ci sono divi del cinema in Sunshine: piuttosto troviamo attori poco conosciuti che interpretano uomini schiacciati dal peso dell’impresa, consapevoli del rischio della morte: da un lato spaventati e dall’altro affascinati da una fatalità ineluttabile. L’oscurità si tinge di luce,e ciascuno deve fare le proprie scelte di fronte al sole o a Dio o forse, più semplicemente, davanti alla propria coscienza. La risposta può apparire banale ma, come sempre, non lo è per Danny Boyle.
Chi ha nelle mani le sorti del mondo non è forse simile a Dio; non gioca una partita ad armi pari con il Sole stesso? Ogni decisione allora diventa difficile: un errore, come quello del matematico Trey(Simone Mori), può essere fatale e schiacciare l’animo fino trascinarlo nella più profonda disperazione. Non si può sbagliare quindi , ma qual è la cosa giusta da fare? È forse in errore colui che china il capo e accetta il proprio destino, oppure chi lotta contro di esso? Chi pecca di presunzione, l’uomo che sceglie di morire insieme a tutti gli altri, oppure colui che si accanisce contro la morte stessa, consapevole che se c’è una via di speranza sia necessario imboccarla?
Le scene finali del film, le più dense di significato, pongono di fronte queste diverse posizioni, e tengono con il fiato sospeso mentre ogni mistero viene svelato. Il Sole, silenzioso, attende in un abbraccio di fuoco tutti i suoi figli.
Se fossimo tutti su un’astronave e il destino del mondo dipendesse da noi; se ciascuno avesse i suoi compiti, per quanto miseri e banali; e se avessimo quasi la certezza di non poter vedere i frutti del nostro impegno, probabilmente avremmo nient’altro da dire ai nostri cari, se non le parole del fisico Robert Capa, interpretato da Cillian Murphy:
“Se una mattina vi sveglierete e noterete una giornata particolarmente bella, allora significa che ce l’avremo fatta…”
Salve ! a dire il vero questo film non mi è piaciuto, manca di qualsiasi fondamento scientifico (e un film del genere deve averne). Mi sono preso la briga di leggere altre Sue recensioni. Devo dire che mi trova d’accordo sulle altre che ho letto fino ad ora. (L’onda, Dark Shadows, Gran Torino, Eva, Moonrise Kingdom) L’unico appunto è su Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno: trovo che il film sia più che apprezzabile all’inizio, ma la parte finale è assolutamente da dimenticare ! fatta molto superficialmente e tirata via.
Da Giovane Marmottino però non posso che biasimare il signor SenzaCandela di “Into the wild” sia stato imprudente e molto sciocco ad affrontare un viaggio pericoloso e chiaramente al di sopra delle sue possibilità, vista la totale mancanza di equipaggiamento tecnico, ma soprattutto una collaudata resistenza mentale e fisica e una preparazione tecnica per poter affrontare simili rigori. Quisque faber fortunae suae.
Ora torno nella mia tana.
Io non credo che un film debba avere fondamento scientifico a meno che non pretenda di averne per iscritto nei titoli di coda.
Sunshine è in primo luogo un viaggio filosofico: sarebbe come chiedere che avessero una fisica coerente i racconti di Verne. E tuttavia capisco cosa intende: sarebbe bello vedere un film di fantascienza con una finalità divulgativa di nozioni di conoscenza per le masse.
Per apprezzare maggiormente alcune bizzarrie del cinema comunque, le consiglio di rivolgersi al suo mondo interiore, come sono sicura che lei già faccia con la musica.
A proposito di McCandless il discorso è lo stesso: non vi è dubbio che Chris sia stato imprudente. Ma non è nell’esteriorità che sta il valore della sua esperienza. Mi preme citarle questa frase presente nel film:
“.. quanto sia importante non già essere forti, ma sentirsi forti. Essersi trovati almeno una volta da soli contro la pietra nuda senza nient’altro aiuto che quello delle proprie mani e della propria testa.”
Certo, ciò vuol dire anche che si può essere troppo stupidi, troppo imprudenti, troppo deboli per riuscire. Lei forse sarebbe stato più preparato: dunque più meritevole di sopravvivere. Ma è questo il senso ultimo della vita, anche se la nostra opulenta società lo dimentica.
Into The Wild non è una fuga come a qualcuno piace sostenere, bensì è un rito di passaggio all’età adulta. Un adulto beninteso, non è qualcuno che è maturo a sufficienza per occuparsi degli altri: quello semmai è un genitore. Una personalità adulta pienamente realizzata è sola, senza aiuti nè legami in un mondo ostile. E tuttavia non ha paura: sa quando sta dando il massimo e accetta il rischio di fallire come parte dell’esistenza. E se fallisce non c’è nessuno a raccoglierla: ed è giusto che sia così.
Quisque faber fortunae suae, come dice lei.
Solo una volta che si è in questa condizione si può iniziare a condividere e ad occuparsi degli altri.
Questo la nostra società non ce lo insegna, anzi celebra la piangeria, la dipendenza, la paura.
Per questo è importante Chris: perchè ci racconta qualcosa che abbiamo dimenticato a causa degli agi.
A questo proposito le consiglio un divertente libro di Giacobbe: “Alla ricerca delle coccole perdute”. Se promette di restituirmelo più in fretta di Into The wild” prometto di prestarglielo 😀
Io ora torno al mio mondo ostile,
Lucia