Drogarsi per comporre


Recenti scoperte dimostrano che dall’ ‘800 ad oggi il boom degli stupefacenti usati a fini artistici ha fruttato il businness di tanti grandi autori.

LETTERATURA: Diceva William Blake: «Se le porte della percezione fossero aperte vedremmo ogni cosa come realmente è: infinita», e  Drieu La Rochelle: «I mistici moderni sono i drogati». Qual era il numero, ad esempio di letterati, consumatori di droghe tra diciottesimo e diciannovesimo secolo? Elevatissimo – solo per citarne i maggiori:  Coleridge, Poe, Gautier, Baudelaire, Nerval, Hugo, Novalis, Bulgakov, Maupassant, Freud, Nietzsche, Bulgakov, Junger, Benn, Benjamin, Cocteau, Artaud, Michaux, Burroughs, Ginsberg.

Il caso che fa attualmente più scalpore è quello di Louis Stevenson. Pare che, come è emerso negli ultimi mesi, «secondo recenti ricerche avrebbe scritto il Dottor Jeckill e Mr. Hide sotto l’effetto di derivati dell’ergot, un fungo delle segale e del frumento, allucinogeno e potenzialmente letale. L’ergotina veniva utilizzata nell’Ottocento come rimedio contro la tubercolosi, per iniezione e Stevenson era appunto tubercolotico». Nel Medioevo inoltre, il pane fatto con la farina delle spighe contaminate da questo fungo parassita delle graminacee causava avvelenamenti e i sintomi del fuoco di Sant’Antonio, insieme a convulsioni e allucinazioni, talvolta scambiati per segni di possessione diabolica.

Infatti è probabile che l’intossicazione sia all’origine di molti processi per stregoneria. Secondo due studiosi dell’università di Glasgrow, l’effetto su Stevenson fu quello di trasformarlo in una sorta di “doppio” del suo Mr.Hide. Scrive nel settembre 1885 la moglie di Stevenson all’agente letterario del marito William Henley: «I comportamenti folli di Louis… Penso debba essere l’ergotina che affigge il suo cervello in momenti simili. Adesso è abbastanza razionale, sono lieta di dirlo, ma ha appena ceduto nell’insistere di dover stare alzato nel letto in posizione inginocchiata, con la faccia sul cuscino». Due settimane dopo Stevenson cominciò a scrivere il famoso racconto sulla duplicità della natura umana; il rapporto tra la malattia e il romanzo è provato da un’altra lettera, in cui emerge che «nell’agosto del 1885 le sue condizioni si aggravarono al punto da richiedere la somministrazione dell’ergotina».

PITTURA – Anni ’50-’60. La Factory di Andy Warhol sfornava a pieno ritmo arte ed eccessi. Edo Bertoglio, famoso fotografoWarhol svizzero-bolognese, nel 1976 «da Lugano partì per New York dove rimase 15 anni vivendo e fotografando la comunità artistica della Downtown, scene nelle aree post industriali dismesse, il cui guru era Andy Warhol, re della pop art e dello Studio ’54, che si faceva pagare 25.000 dollari a flash». Nel suo film “Face Addict”, Bertoglio dà una chiara idea del mondo scandalistico gravitante attorno a Warhol, noto consumatore di droghe, soprattutto LSD, i cui effetti son facilmente visibili soprattutto nella Marilyn Monroe e nei barattoli di zuppa Campbell.

Van Gogh invece, come non tutti sanno, era dipendente dall’assenzio. Nel recente passato, si sostenne che l’artista soffriva di una malattia ereditaria rara, la porfiria acuta intermittente, che si manifesta in età adulta con allucinazioni e disturbi psichiatrici. Aggravava il quadro l’assenzio, molto diffuso nella Francia ottocentesca. «Questo liquore dal colore verde intenso, che diviene giallo se allungato con acqua, si ricava dalla pianta Artemisia absinthium e contiene, oltre all’alcol, alcuni olii essenziali molto tossici, dagli effetti dannosi sul sistema nervoso, come il turione, in grado di provocare allucinazioni visive ed attacchi epilettici». Tipico esempio degli effetti di tale vizio è la resa cromatica che si riscontra in opere come “La sedia” .

CINEMA- Pare che uno dei divertimenti più in voga tra gli adulti statunitensi degli anni ’40-’50 fosse quello di andare al cinema con un francobollo di LSD sotto la lingua.

Il sospetto di interferenze della droga si è concentrato soprattutto nei film di animazione, come “Dumbo”, “Fantasia”, “Alice in Wonderland” e “Mary Poppins”. In “Dumbo” la sequenza psichedelica si colloca a metà film, quando l’elefantino dalle grandi orecchie è sulla bassa marea. Alice si trova davanti a una porta simile a quella descritta ne “Le porte della percezione”di Aldous Huxley, porta che inoltre avrebbe dato l’ispirazione a Jim Morrison per il nome del suo gruppo. In Mary Poppins c’è unimpostazione pastorale, dove i campi di fragole appaiono suscettibili di poter rotolare per sempre, così come gli animali possono in qualsiasi momento annunciare: “I am the Walrus!”(“Io sono il tricheco!”). Per i più maliziosi la scena più allusiva è quella del “volo dello zio Albert”. Mary porta i ragazzi dallo zio, sospeso a mezzaria, poco sotto il soffitto, in stato di allegria isterica. Tranne Mary, tutti volano verso il soffitto e cominciano a ridere e a prendere il  tè, in stato euforico. Quando la magia termina però, come analogamente potrebbe finire l’effetto di una droga, lo zio Albert è tra il riso e le lacrime, segno di un triste ritorno a una realtà ben poco fiabesca.

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