Tra religione e progresso: il Giappone e le catastrofi


Ian Buruma, scrittore e studioso di culture orientali, sul Wall Street Journal approfondisce un aspetto della cultura giapponese sconosciuto a noi occidentali, ovvero il rapporto tra i giapponesi e le calamità naturali.

La parola “kamikaze” significa vento divino; fu infatti adottata dai giapponesi quando, nel 1274, una flotta di sedicimila guerrieri mongoli, cinesi e coreani, tentò di invadere il Sol Levante e fu colpita da un uragano che fece naufragare le navi.

Giappone, 1944. Il Paese, ormai a pezzi a causa del conflitto contro gli Stati Uniti, cade nella follia, una follia ancora più grande dei nazisti più fervidi. L’imperatore ordina che i giovani “migliori e più brillanti” della nazione vengano sacrificati in nome dell’amore per la patria e trasformati in piloti suicidi: i “kamikaze”. Di fronte alla tenacia giapponese, gli USA ricorrono a un rimedio estremo, ancora oggi giudicato dai più un crimine contro l’umanità: il 6 agosto 1945 viene sganciata la bomba atomica su Hiroshima, causando la morte di circa 80.000 persone. Ma non basta: il Giappone, stordito da questa nuova arma sconosciuta, non si arrende. Fu infatti necessaria un’altra bomba tre giorni dopo a Nagasaki per porre fine alla seconda guerra mondiale.

Questo è quanto è scritto sui libri di storia, ma c’è stata un’altra conseguenza nefasta per il Giappone: la convinzione che le bombe atomiche fossero una calamità naturale «invece che una storia di follia umana di cui tutti i giapponesi erano stati complici». Bomba atomica dunque come lavacro della coscienza, castigo divino. E come di fronte a un dio che punisce il suo popolo, da quel momento in poi i giapponesi, da accaniti guerrafondai quali erano diventati dal conflitto del 1905 contro la Russia, si trasformarono in pacifisti. Ma i giapponesi hanno in larga parte cancellato le responsabilità della guerra, come se non fosse stata scatenata dall’imperatore Hiro-Hito, ma da un dio. Questa idea è espressione di una mentalità inconsciamente radicata attinente allo “shinto”, la via degli dei, ovvero la prima religione originaria del Giappone, che consisteva nel placare gli dèi e le forze della natura con rituali.

Un fatalismo che è stato protagonista anche della catastrofe nucleare avvenuta l’11 marzo (link). Shintaro Ishihara, l’attuale governatore di Tokyo, lo definisce: «un castigo divino per l’egoismo dei giapponesi». Ishihara, classe 1932, fa parte del partito liberal-democratico. Chiodo fisso della destra giapponese, così come lo definisce Buruma, è l’idea che le giovani generazioni pensino troppo a se stesse. Con l’arrivo del progresso e quindi con la crescita del settore terziario, il mondo del lavoro ha risucchiato i giovani nella sua macchina capitalistica fatta di carriera e denaro. Dove sono finiti i giapponesi che collaboravano tutti insieme come formiche, anteponendo gli interessi nazionali ai loro? Dov’è l’antico, tradizionale spirito collettivo dei giapponesi?

Tuttavia, fortunatamente, nei momenti di emergenza, riappare intatto. Tutto ciò che crolla può essere ricostruito, una mentalità diffusasi fin dai tempi più antichi in un popolo che vive continuamente minacciato da terremoti e vulcani.  È sbagliato però considerare come castighi divini gli errori umani.  La Nuclear and industrial safety agency Nisa, ritiene che l’intensità della scossa che ha colpito l’area di Onagawa a marzo: «è stata fino al 10% più forte del livello al quale sono stati progettati i reattori 1 e 3 dell’impianto Onagawa». Livelli di sicurezza e misure antisismiche insufficienti, quindi, che hanno portato ad affermare che: «bisognerà rivedere le misure di sicurezza delle centrali nucleari in tutto il Giappone». In una nota si legge: «L’ultima scossa di assestamento di giovedì è stata del 5,6% più forte del livello di gestione per il quale è progettato il reattore n. 1 di Onagawa».

Il nazionalismo giapponese oscura dunque ancora nel 2011 errori commessi dal suo popolo, nonostante la maggiore attuale apertura del Giappone verso l’Occidente rispetto al 1995, quando ci fu il terremoto di Kobe e il Paese del Sol Levante arrivò a rifiutare gli aiuti stranieri, mentre oggi questi sono stati accettati senza esitazioni.

 

 

 

+ There are no comments

Aggiungi