Il pasto del tiranno


A uno a uno, i dittatori che reggevano in maniera ormai geopoliticamente fisiologica gran parte degli stati post-coloniali dell’Africa settentrionale, vedono rovesciato il loro potere pluridecennale.

Le immagini delle piazze tunisine ed egiziane, ma anche la contagiosità con la quale, da uno stato all’altro, esse si riempiono per sovvertire i regimi, fanno pensare a una vera e propria primavera dei popoli, riecheggiando la terminologia coniata per il 1848 europeo.

Dalla Tunisia all’Egitto, dall’Iran alla Libia, dove le folle hanno sfidato sanguinari regimi, le idee sono le stesse, si rivendicano democrazia e libertà ma si grida: pane! (aish, aish!)

Apparirebbe quantomeno riduttivo e criticabile voler comprendere questi dirompenti fenomeni partendo dalla disamina della coppia pane/democrazia che poi, non sarebbe altro, se non la riproposizione e traslazione dell’eterna dicotomia interpretativa tra cause materiali e ideali, tra materialismo e idealismo. Ma proveremo ugualmente a fingere di dimenticarci dei grandi mutamenti economico-sociali avvenuti nell’ultimo quinquennio in questi stati, testimoniati da un PIL come quello egiziano che dal 2006 in poi non è mai cresciuto meno del 6,8% o quello tunisino che quest’anno era stimato crescere del 4%, per ragionare su quella coppia: pane e democrazia.

Capire se sia la fame a innescare la voglia di libertà o se sia il giogo del tiranno a moltiplicare i crampi della fame è da sempre un dilemma che ha diviso pensatori e filosofi.

Prediligere spiegazioni idealistiche o materialistiche è un po’ come preferire i Beatles o i Rolling Stones: spesso conta il carattere e la predisposizione personale all’ottimismo o al pessimismo.

In questo caso, seguendo una vecchia massima di real-politik che recita: “a pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si prende”, sceglieremo l’approccio pessimista.

Se è quindi la fame di pane a portarsi dietro anche quella di libertà e diritti, non ci rimane che analizzarne le dinamiche.

Il problema endemico della fame era ovviato, nei paesi dell’Africa settentrionale, da un sistema di sussidi pubblici combinato con sistematiche importazioni di beni alimentari promosse dai regimi.

In questi paesi, che pure vedono la maggior parte della popolazione occupata nel settore primario, l’agricoltura nazionale è improntata su colture da esportazione che erano promosse dalle politiche pubbliche non solo per esigenze di bilancia commerciale, ma anche per la grande convenienza economica: si pensi, ad esempio che esse incidono per il 15% sul PIL egiziano.

Questo sistema, in cui i regimi provvedevano alla sussistenza della popolazione come corollario al mantenimento dell’ordine pubblico, aveva trovato una sua stabilità finché il ristagno delle economie locali manteneva bassa l’inflazione e la pressione demografica, mentre gli autocrati accumulavano ricchezza, con cui consolidare il proprio potere coercitivo, grazie allo sfruttamento delle risorse presenti sui vari territori nazionali.

Ma il graduale inserimento di questi paesi nell’ambito di un sistema economico globale ha mutato le condizioni su cui le strategie di consenso e coercizione dei regimi si basavano.

L’investimento da parte di capitali stranieri, in continuo aumento in settori diversificati rispetto ai vecchi canali di sfruttamento delle risorse energetiche, la creazione di piccoli mercati di consumo anche in centri periferici e una complessiva crescita delle attività economiche, testimoniate dai valori del PIL, hanno reso inefficaci le politiche di approvvigionamento alimentare e, al contrario, hanno manifestato la necessità di politiche di redistribuzione del reddito, incompatibili coi regimi.

L’inflazione, strutturale in paesi in via di sviluppo con tassi di crescita come quelli di questi paesi, e la pressione demografica, determinata dal miglioramento delle condizioni di vita, combinate con l’instabilità dei mercati mondiali che, nella recente crisi, ha interessato anche risorse alimentari come il grano, hanno fatto schizzare alle stelle i prezzi degli alimenti su cui si basavano le già povere diete degli abitanti dell’Africa settentrionale.

In Egitto, nel mese di novembre, il rincaro sui prezzi dei beni alimentari di prima necessità era stato del 17% per passare al 17,20% nel mese di dicembre.

In Tunisia il prezzo dello zucchero, nell’arco di questi due mesi è passato da 79 dinari al kilogrammo a 150.

Ad aggravare il tutto, inoltre, c’è stata la politica dei regimi che hanno insistito sulla via dei sussidi, generando malversazioni di ogni tipo e incentivando la speculazione interna: una vera e propria emergenza fame che ha colpito paesi che sembravano, pur nella loro povertà diffusa, avviati allo sviluppo e che dimostra come le condizioni materiali di vita possano ancora essere determinanti anche in sistemi geopolitici così complessi come quelli del mondo contemporaneo.

Sembra quasi paradossale ma per anni, nei paesi dell’Africa settentrionale, la sorte di un sistema di regimi autocratici si è retta sulla capacità di saper garantire la sussistenza della popolazione.

Spesso nella storia la legittimazione dei tiranni passa dai pasti che sanno garantire. Come dire: il re è nudo quando la gente ha fame, con buona pace della libertà.

Fonte dati economici: Il Sole 24 ore

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