L’unica persona nera nella stanza, di Nadeesha Uyangoda – Un’autrice da scoprire


Nadeesha Uyangoda è una giornalista freelance, autrice di L’unica persona nera nella stanza. Prima di raccontarvi del libro, vorrei dirvi qualcosa di lei.

Nata in Sri Lanka, a sei anni viene messa su un aereo per raggiungere i genitori che si trovavano già in Italia, a Nova Milanese (Brianza). Una ragazza come tante, che ha frequentato il liceo e poi l’università. Un’italiana come tante. Con una differenza: lei ha la pelle nera. Figuratevi, per lei non è un problema: ci è nata. Manco ci fa caso al colore della propria pelle. Ma sa di avere la pelle nera perché gli altri glielo fanno notare. Glielo fanno notare da tutta la vita.

L’unica persona nera nella stanza approfondisce proprio la tematica della discriminazione razziale in Italia, discriminazione che porta ad auto-discriminazione se non si hanno gli strumenti per comprendere il problema e agire di conseguenza.

Nadeesha Uyangoda e L’unica persona nera nella stanza

Nell’intervista che ha rilasciato durante l’ultimo Festivaletteratura di Mantova, conclusosi alcuni giorni fa, Nadeesha Uyangoda ha raccontato che il suo primo libro, L’unica persona nera nella stanza, è nato grazie all’attenzione della casa editrice 66thand2nd al suo blog. Libro di difficile catalogazione, ha caratteristiche che appartengono a generi diversi: è un romanzo, un’autobiografia, un diario, un memoriale, un report.

Nadeesha Uyangoda, l'unica persona nera nella stanza, edizioni 66thand2nd

(Credits: 66thand2nd)

In esso, Uyangoda riflette sulla discriminazione che le persone straniere (nere, nello specifico) subiscono in Italia. Ma anche sulla discriminazione che le stesse persone straniere operano su loro stesse. Tematiche che qui su Discorsivo abbiamo già toccato, anche più di una volta.

La scrittrice ha a cuore il problema, forse sottovalutato, della difficoltà per una persona straniera di integrarsi in una nuova cultura (quella italiana) senza perdere la propria specificità culturale.

Lei stessa ha sempre cercato di essere “italiana”, nascondendo e rinnegando la propria cultura di origine, col risultato di non far parte né di un mondo né dell’altro.

Non appartenere ad alcuna cultura è un problema sottovalutato?

Qualcuno potrebbe obiettare: è un problema che in realtà si conosce molto bene. Quante volte uno straniero (inglese, francese), naturalizzato italiano, racconta del difficile momento dell’integrazione, di come abbia dovuto modificare alcuni comportamenti e abitudini perché in Italia sarebbero stati considerati non idonei? Oppure, in altro contesto e momento storico, non è ciò che è successo ad alcune famiglie meridionali trasferitesi al Nord?

O ancora. Alcuni potrebbero razionalizzare il problema, affermando che ciò dipende da tanti fattori, che possono lenirlo o fomentarlo. Dipende dal luogo in cui si vive, dall’apertura dei concittadini, della famiglia, del gruppo dei pari, eccetera.

Nadeesha stessa afferma che a Nova Milanese è stata spesso “l’unica persona nera nella stanza”, cosa che non è successa, per esempio, a Milano, in una grande città.

Tutto vero. Ma ci stiamo dimenticando un dettaglio. Tutti gli stranieri citati fino ad ora (e rientrano in questo discorso, ovviamente per altri motivi, anche le famiglie meridionali) hanno una cultura che li ha plasmati e da cui provengono. Sono consapevoli di cosa voglia dire essere di un luogo e vivere in un altro. In altre parole: hanno già un’identità ben definita.

Nadeesha Uyangoda: italiana come voi?

Le persone di cui parla Nadeesha Uyangoda no. Non hanno una cultura di origine a cui attingere. Spesso perché arrivate in Italia troppo piccole (magari per adozione), quindi per forza di cose non sono consapevoli delle proprie radici.

Spesso perché, della loro cultura, in Italia si sa poco e niente, quindi la si sminuisce.

Pensate all’Africa. Non è raro scoprire che in Italia si tratta l’Africa non come un continente, ma come se fosse un unico Stato. Tanti di noi non hanno idea di quali siano gli Stati africani e le loro specificità: pur non consapevolmente, portano avanti la stessa concezione dei Romani quando affermavano Hic sunt leones – qui ci sono i leoni.

Un dettaglio della copertina di L'unica persona nera nella stanza, di Nadeesha Uyangoda

Un dettaglio della copertina di L’unica persona nera nella stanza, di Nadeesha Uyangoda (Credits: 66thand2nd)

La cultura dominante ti sminuisce. Non solo: ti invita a ringraziare la famiglia italiana che ti ha accolto, la scuola che ti ha istruito, la città che ti offre dei servizi (che sono tuoi di diritto, in realtà, ma questo è un altro discorso). Non devi avere altre pretese: sei già stato fortunato così.

Ma anche tu ti sminuisci. Perché inizi a pensare che abbiano ragione gli altri. E desideri compiacere in primis le persone a cui vuoi bene (la famiglia, gli amici), quindi assumi atteggiamenti che loro si aspettano da te. Con il risultato che quando, dopo anni, hai la possibilità di tornare in Sri Lanka e abbracciare i tuoi cari – dei quali hai un vago ricordo – non ti ricordi più la lingua e non sei in grado di comunicare con loro.

Il problema dell’identità

Tutto nasce dall’identità. Un italiano figlio di italiani, nato e cresciuto in Italia, ha una sua specifica identità culturale, derivata dall’ambiente, alla quale aggiunge la propria identità che si costruisce con la crescita. Tutto questo processo è per lo più inconscio. Spesso si sente “italiano” solo quando va all’estero o se stringe amicizia con stranieri. Ha quindi una sua identità implicita, sulla quale potrebbe anche non riflettere mai. Ha il privilegio di poter non pensare all’identità.

Uno straniero, invece, non ha questo privilegio. Tutti i giorni deve fare i conti con l’italianità degli altri in confronto alla sua specificità culturale. In qualche modo, è costretto a riflettere su tali tematiche da quando è bambino, e non tanto perché sono tematiche verso le quali ha un particolare interesse, ma perché sono gli altri che costringono a farlo.

Un problema senza soluzioni?

Nadeesha Uyangoda non offre soluzioni facili per questo che per lei è un enorme problema. Ma non rimane neanche inerme. Per questo il suo libro non è ben catalogabile: affronta il problema dal punto di vista personale ma riporta anche dati e informazioni di carattere generale. Inoltre, lei stessa è sempre in prima linea per ciò che riguarda la cittadinanza e l’intersezionalità, tematiche che ha molto a cuore e che si legano al problema dell’identità culturale.

Ma il suo libro vuole anche essere un sfogo e un sostegno per coloro che, come lei, percepiscono il disagio e cercano il modo di esprimerlo.

Perché è anche questo il senso di fare letteratura: ritrovare nel labirinto delle parole quelle che descrivono esattamente la propria intimità, quelle parole che descrivono esattamente se stessi. Che si possedevano già, senza saperlo.

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