Grand Tour di ieri e di oggi – Viaggi consapevoli (e non) dei millennial al potere


“Scusa, mi stai ascoltando?” urlò la professoressa in una qualsiasi tarda mattinata della quarta superiore. Urlò tanto che mi destò dal mio torpore: “Sì, scusi prof: stavo facendo il mio Grand Tour personale”. Era il periodo in cui, in letteratura, studiavamo i poeti ricchi che viaggiavano per l’Europa alla ricerca di conoscenza e consapevolezza, e dunque sembrava inevitabile paragonare con la mente i Gran Tour di ieri con quelli della nostra epoca.

Ayuttaya, Thailandia: una meta dei Grand Tour di oggi

Cosa c’entra con i Grand Tour di ieri e di oggi Ayuttaya, l’antica capitale del Siam e tappa obbligata di un viaggio in Thailandia? Ora vi spiego (Credits: Francesca Raffaghello)

Ma cosa resta oggi, a parte i miei Grand Tour mentali, di questi viaggi mirabolanti attraverso il Continente? 

Il Grand Tour di ieri

Come tanti sapranno, il Grand Tour era l’abitudine dei ricchi letterati del XIX secolo di viaggiare attraverso l’Europa centrale fino all’Italia o alla Grecia. Questo viaggio veniva intrapreso quasi sempre da danarosi letterati, poeti o filosofi. Come mi ha insegnato il professore di Filosofia, per “fare filosofia” bisogna essere ricchi.

Se vi suonasse stonato ve lo spiego meglio, proprio come lui aveva fatto con me e i miei compagni anni fa: se un uomo non ha da dar da mangiare a se stesso e ai suoi figli deve obbligatoriamente spendere il 90% delle sue giornate alla ricerca del pane per sfamare la sua famiglia. Se invece il pane lo ha e mangia spesso e bene, può dedicare lo stesso 90% del tempo a filosofeggiare su un’amaca mangiando olive.

Una veduta della Valle dei Templi in un dipinto di Jacob Philipp Hackert, ambita meta dei Grand tour di ieri e di oggi

Una veduta della Valle dei Templi in un dipinto di Jacob Philipp Hackert, ottima rappresentazione di una ambita meta del Grand Tour di ieri (Credits: Jacob Philipp Hackert, pubblico dominio, immagine tagliata)

I giovani intellettuali del XIX secolo, annoiati dall’amaca e nauseati dalle olive, decisero di viaggiare in treno attraverso l’Europa per giungere finalmente in Italia e poi in Grecia alla ricerca della perduta e purissima cultura con la C maiuscola, quella classica. A partire furono in molti: da Johann Wolfgang von Goethe con il suo Viaggio in Italia ai poeti anglofoni che tanto amavano la mia Liguria, come George Gordon Byron, Percy Bysshe Shelley, sua moglie Mary, Henry James.

Con l’andare del secolo, con le Rivoluzioni, con Napoleone e con il sopraggiungere del Novecento, però, questa abitudine scomparve.

Cosa resta oggi dei Grand Tour?

Tutti noi amiamo viaggiare. Tanto più in questo primo scampolo di anni Venti (quando li chiamo così mi sento improvvisamente travolta da una ventata di surrealismo ed è una sensazione bellissima, a voi capita?) che ci ha costretti a casa, fermi.

Ma esiste ancora qualcuno che porti avanti un simil Grand Tour di ieri, ma oggi?  Probabilmente sì. Almeno se consideriamo la spinta primaria che ha portato gli intellettuali ad intraprendere il viaggio. E no, non sto parlando dell’amaca e delle olive: parlo della voglia di conoscere qualcosa che viene percepito come altro da sé.

In fondo, pensateci: i letterati che ho citato sono per lo più di origine anglosassone, cioè hanno poco o niente a che spartire con la cultura mediterranea, greca e romana che andavano cercando.

Teatro antico nei pressi dell'Acropoli di Atene

Teatro di Dioniso, molto ben conservato, nei pressi dell’Acropoli di Atene (Credits: Francesca Raffaghello)

Certo, oggi la cultura e il mondo classico attirano ancora moltissimi viaggiatori. Mangiare souvlaki guardando l’Acropoli di Atene e ascoltando musiche greche suonate al mandolino riporta il viaggiatore indietro nel tempo.

È un po’ come stendersi sulle dorate spiagge di Creta.

Ma noi, che siamo i latini del dopo, piccoli pronipoti di Vitruvio, quale altro da noi cerchiamo, davvero?

Backpacker nipotini di Goethe

I backpacker sono, per dovere di cronaca, ragazzi tra i venti e i trentacinque anni (o anche oltre, volendo) che partono un po’ all’avventura per mete lontane. Queste mete sono generalmente il sud est asiatico o l’Asia in generale, e qualche volta l’America Latina. In comune con i letterati del Grand Tour hanno l’equazione di base che li spinge a viaggiare: viaggio per conoscere ciò che è altro da me.

Per quanto siamo tutti inseriti in un mondo globalizzato, è evidente agli occhi di chiunque che le grandi culture asiatiche siano molto lontane dalla tradizione culturale europea. E che, pertanto, possano “insegnarci” stili di vita, tradizioni culturali e religiose ben diverse dalle nostre. La grande differenza con il Grand Tour del XIX secolo è che non si parte per ritrovare niente, ma per trovare qualcosa di assolutamente nuovo.

Giovani monaci buddisti

Un gruppo di giovani monaci buddisti (Credits: Francesca Raffaghello)

Se Byron o Goethe si lasciavano inebriare da una cultura classica distante ma in qualche modo parte integrante del loro passato, i backpacker di oggi non ritrovano quasi nulla della loro storia pregressa.

A parte me, certo: io nel sanscrito indiano ritrovo chiaramente tracce dell’indoeuropeo, che è il papà del latino e del greco e che… no, aspettate! Non andate via! Era una parentesi brevissima!

Il Grand Tour di ieri e di oggi: perché l’America Latina?

Va bene, torniamo a noi. Dicevo: per l’America Latina il discorso è differente.

Pur con tutte le sue controversie, non si sceglie questa meta per ricercare una cultura diversa. Questo perché, come ben sappiamo, la cultura indigena è stata sostanzialmente spazzata via dai conquistadores dal XV secolo in poi.

Una pagina di storia parecchio vergognosa per noi occidentali.

Lì sì, si parte per ritrovare qualcosa di noi, emigranti di una volta. Si parte per respirare ancora lo spirito coraggioso di chi (tanti e tanti anni fa) ha lasciato lo stretto di Gibilterra alla volta del Nuovo mondo.

Si parte per inebriarci di quel coraggio. E per lasciarci ispirare, e trovarne un po’ anche noi.

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