Il Sacro nel presente e nel passato – I riti pagani al giorno d’oggi


Noi che siamo cresciuti con le nostre nonne che ci portavano a messa, a “con la minigonna in chiesa non ci entri!”, a braccialettini d’oro regalati per la prima comunione, ci siamo mai chiesti da dove arrivino e come ci siano piombate sulla testa le tradizioni religiose della nostra epoca? Dall’abbandono dei riti pagani e l’adozione di nuove celebrazioni, dite? Sicuri? Ed esistono ancora riti pagani oggi?

Mi spiego meglio: perché Natale si festeggia a dicembre e Pasqua in primavera ? E cosa ci porta ad adottare il teschio di un totale estraneo, morto da decenni (se non da secoli)?

Una foto scattata al cimitero delle Fontanelle, a Napoli

Il cimitero delle Fontanelle di Napoli rende l’idea di qualcosa di molto vicino ai riti pagani di oggi (Credits: Marco Frongia)

Prometto di spiegarvi tutto.

La pigrizia dei primi cristiani: sfruttare i riti pagani

Dovete sapere che i primi cristiani hanno vissuto fin da subito la loro religiosità con un certo senso di oppressione e ansia: i Romani non avevano preso bene l’arrivo di questo predicatore – Gesù Cristo, appunto – che si definiva “re” e, onde evitare la sottrazione del trono, avevano deciso di perseguitare chiunque seguisse questo Divino Impostore. Di conseguenza i primi cristiani vissero i propri riti in clandestinità, chiusi in catacombe, col terrore di finire uccisi in modo plateale.

Capite che, sulla base dell’esperienza pregressa, quando ottennero la libertà di culto (313 d.C.) e quando a maggior ragione la loro divenne religione di Stato (380 d.C.) avevano voglia di tutto tranne che di inventarsi nuove feste. Certo, perché non c’è religione senza riti e senza feste.

E sarete d’accordo anche voi che passare dal togliere la muffa alle catacombe a festeggiare un Solenne Qualcosa all’aria aperta il passo è più breve di quanto si possa pensare.

A Natale dovremmo regalarci mazzolini di primule

Natale. Tempo di primule. Avete capito bene: dovremmo regalarci mazzolini di fiori appena spuntati dopo un lungo e difficile inverno. Infatti, secondo alcuni studiosi, Gesù sarebbe nato tra marzo e aprile e nemmeno nell’anno 0, ma intorno al 7 a.C.

Il discorso di oggi su riti pagani e cristiani non sarebbe completo senza un riferimento al Natale. Nella foto, piazza san Pietro durante il Natale 2019

Città del Vaticano: piazza San Pietro a festa per il Natale 2019 (Credits: Marco Frongia)

Vallo a spiegare a quei poveri cristiani appena usciti dalle catacombe che la nascita del loro Dio doveva essere festeggiata in un momento dell’anno in cui non si festeggia niente. O che dopo anni di persecuzioni avrebbero anche dovuto fermare la gente che, in un qualsiasi giorno di marzo, usciva per andare nei campi: “Ma dove vai Gaio? È Natale, oggi niente campi!”, “Ah già scusi padron Lucio, non ci sono ancora abituato!”.

Era evidentemente infattibile. Così decisero di riutilizzare una festa che tutto il mondo riconosceva: l’inizio dell’inverno, in particolare il giorno del Sol Invictus. Tutto il mondo festeggia il solstizio d’inverno da Oriente a Occidente: le giornate si allungano, il Sole ritorna, i campi verranno coltivati e ci daranno cibo per un anno ancora. Persino nello yoga, il 21 dicembre, si praticano 108 saluti al sole proprio per “ringraziare” questo inevitabile ritorno.

Per i cristiani tutto ciò cadde a fagiolo: Dio è Luce; e infatti si chiama Deus, che ricorda vagamente dies “giorno”. Quindi, festeggiamolo nei giorni in cui ritorna la luce.

Era anche molto pratico per i neo-convertiti, che avrebbero potuto continuare a celebrare una festa che già conoscevano, dandole però un significato diverso. Dopotutto, è quasi prassi per le religioni che muovono i primi passi: Gesù stesso prese molti riti della cultura ebraica, cambiandone il significato.

Problema uno, risolto!

Nell’uovo di Pasqua troviamo il nuovo raccolto

Il secondo problema era far capire a una popolazione analfabeta al novanta per cento il significato della Pasqua, la sconfitta della Morte e la resurrezione di Cristo. “Gaio, cosa ti dà più gioia e ti trasmette maggiormente un senso di speranza in questa vita?”, “Mangiare, padron Lucio”.

Il nostro amico Lucio deve aver preso il suo schiavo Gaio per un semplicione, ma deve anche avere capito che il momento migliore per festeggiare la rinascita e la Resurrezione era senza dubbio la primavera, quando la terra torna a poter essere lavorata, spuntano i fiori e gli uomini vedono intorno a loro un messaggio di ciclica rinascita e speranza.

In fondo, cosa risorge più di un ramo secco che mette i nuovi “butti”? La primavera era perfetta per capire la Resurrezione e festeggiarla.

Le uova di cioccolata, purtroppo per Gaio, sono arrivate dopo la scoperta dell’America.

Cosa resta dei riti pagani oggi?

A parte questi due grandi esempi – e sono solo due in un mare di altri – noi uomini del XXI secolo “stay hungry stay foolish” alla Steve Jobs abbiamo ancora tracce di religiosità pagana – nel senso etimologico di “pagus” che significa paese, villaggio.

Cimitero delle fontanelle, teschi

Il cimitero delle Fontanelle, a Napoli (Credits: Marco Frongia)

Ad esempio a Napoli si venerano cinquantadue santi patroni, ognuno con una sua zona di influenza specifica. Un po’ come nei villaggi dell’antichità, dove si venerava Afrodite dea della bellezza quando si voleva combattere la cellulite, Apollo dio del sole quando pioveva, Dioniso dio del vino quando a tavola c’era solo acqua e via dicendo.

Sempre a Napoli esiste un cimitero detto delle Fontanelle, dove sono presenti numerosi teschi ed ossa visibili e tangibili. L’area delle Fontanelle un tempo era una cava, trasformata per necessità in camposanto – per via della peste del 1654, che praticamente dimezzò la popolazione partenopea dell’epoca. Da quel momento, il cimitero delle Fontanelle divenne il luogo in cui portare i corpi dei ceti più bassi della città, e con il tempo accolse anche le ossa provenienti dagli ossari di tutte le parrocchie di Napoli.

Ebbene, fino alla fine degli anni Sessanta vi era una consuetudine che potremmo ritenere un esempio di riti pagani di oggi: quella di “adottare” una di queste cosiddette “capuzzelle” (il rito delle “anime pezzentelle”, come viene chiamato) nel tentativo di ottenere una grazia (o anche solo i numeri del lotto): chiaramente l’orante deve pulire le ossa con cura, tenere compagnia all’anomimo teschio e aspettare il tempo necessario per ottenere quanto richiesto.

Se l’intercessione arriva, l’adottante ringrazierà la capuzzella come potrà, costruendo magari un piccolo tempio in onore del defunto prescelto che certifichi il suo status “speciale” all’interno del cimitero delle Fontanelle.

Se però il povero teschio non godesse di grande considerazione presso l’Altissimo, verrebbe punito dall’orante, che lo rivolgerebbe contro un muro per l’eternità. O fino alla prossima adozione.

Anche a Genova non scherziamo

Noi millennial genovesi, però, dovremmo pensare ai teschi nostri: al Dipartimento di Anatomia del famosissimo Ospedale san Martino  è presente un’aula denominata appunto “aula teschi” dove sono custoditi numerosi teschi e scheletri di persone che hanno donato il loro corpo alla scienza. Questa stanza è aperta al pubblico universitario e molti studenti si ritrovano lì per studiare.

Una decina di anni fa ci capitai anche io, unica letterata circondata da futuri medici – gli eroi di oggi, e neppure lo sapevo! – con il mio Critone da tradurre e un teschio come fermacarte. Tutti osservavano queste ossa analizzandole scientificamente ed anatomicamente, usandole per quello che il loro possessore aveva voluto, per il progresso e per la scienza.

Solo io, tra una pausa da Platone e l’altra, guardavo il mio fu amico nelle cavità tonde dei suoi fu occhi e mi chiedevo quale fosse stata la sua storia, se fosse stato uomo o donna, chi lo avesse accarezzato e quanto avesse pianto.

Con il passare dei giorni io e il mio “teschietto” entravamo sempre maggiormente in confidenza e, a furia di immaginare la sua storia, lo avevo adottato come “nume tutelare” del mio esame. Ogni tanto gli ripetevo anche il Critone. Così, giusto per ricordargli che la scienza, senza la letteratura, non va da nessuna parte.

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