Barracoon – l’ultimo schiavo
Ci sono migliaia di volumi che ci raccontano la storia dello schiavismo, ma sono pochi quelli scritti di proprio pugno da un afroamericano: Barracoon è proprio uno di questi e ci racconta in maniera diretta l’intervista che l’antropologa Zora Neale Hurston condusse in più riprese tra il 1928 ed il 1931 (quando venne creata la parte più corposa del romanzo) all’ultimo sopravvissuto dell’ultima nave negriera che fece scalo negli Stati Uniti D’America nel 1859, solo un anno prima che la Guerra di Secessione mettesse la parola fine a questa tratta immonda.
Cudjo Lewis, il protagonista di Barracoon, è un anziano uomo di colore, ormai vedovo, che passa le sue giornate a Plateau, in Alabama, coltivando il proprio orto e dando una mano in chiesa: ci viene reso un ritratto davvero vivido di questo personaggio tutto particolare, d’altra parte la Hurston era famosa proprio per la trasposizione fedele delle caratteristiche fondamentali delle persone che incontrava; e così accenti, modi di fare e di dire tipici della popolazione afroamericana dei primi decenni del ‘900 sono riportati fedelmente in tutti i suoi scritti. Questo che le guadagnò non poche critiche dal resto della popolazione intellettuale afroamericana, che lo vedeva come una resa caricaturistica dei propri compaesani, ma di cui oggi siamo estremamente grati dato che questa attenzione al linguaggio rende quasi tangibili persone morte da ormai un secolo.
Barracoon è strutturato come una lunga intervista, suddivisa in più giornate, in cui la Hurston va a trovare l’anziano Cudjo: l’uomo appare quasi sempre lieto di vederla, in parte perchè la donna ha l’accortezza di arrivare sempre con un dono, in parte perchè lei lo chiama col suo vero nome: Kossula. Qui il libro tocca, seppur di sfuggita, uno dei grandi temi dello schiavismo “moderno”: mentre spesso in popolazioni più antiche agli schiavi veniva consentito di mantenere, almeno in parte, una sorta di indipendenza culturale, l’uomo bianco mise insieme nelle proprie ricche piantagioni uomini e donne provenienti dalle parti più disparate del continente africano, spesso magari nemici tra loro. Quando il padrone di Kossula non riesce a pronunciare il suo nome, troppo difficile per un uomo bianco, nasce il diminutivo Cudjo, che diventerà poi il suo nome ufficiale, perlomeno per l’anagrafe degli Stati Uniti D’America. In un minuto di conversazione viene annullata l’identità di un uomo.
La narrazione di Cudjo inizia da suo nonno perchè “nella terra dell’Afficky non si può raccontare la storia del figlio prima della storia del padre”: era un uomo importante, questo nonno, pieno di mogli che se l’erano scelto, fidato di un re e ricco come Creso. Il padre di Kossula era uno di tantissimi, e Kossula stesso uno di tanti, eppure funzionava bene questa piccola nazione, coi suoi riti e le sue iniziazioni, e tradizioni che si sono perse nel corso degli anni. Eppure avevano la sfortuna di confinare con una di quelle nazioni africane che avevano fatto della tratta di schiavi coi portoghesi la propria ricchezza: è stata proprio questa l’abilità dei mercanti di schiavi, lo saper sfruttare le inimicizie e le guerre tradizionali delle popolazioni africane a proprio vantaggio, arrivando quando ormai il raccolto era stato fatto e non restava che raccoglierne i frutti.
Cudjo diventa così uno di centinaia, chiusi nella stiva di una nave, che arrivano negli USA subito prima dello scoppio di una guerra che farà di loro uomini liberi: liberi sì, ma troppo poveri per potersi permettere il viaggio di ritorno a casa. Così nasce Africa Town, sulla terra che tutti gli schiavi hanno comprato mettendo insieme anni di sudati risparmi, la loro nuova casa. L’uomo che ci viene descritto in Barracoon ha trascorso sessantasette anni in america, cinque da schiavo ed il resto da uomo libero, ed è rimasto africano fino al midollo: da africano ha affrontato l’amore e la morte, da africano affronta gli ultimi anni della propria esistenza, solo in terra straniera, accompagnato dai ricordi di una terra che appare immutata nei secoli.
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