Mia amata Yuriko – quando l’amore è più forte della bomba atomica
Due rapidi calcoli e mi rendo conto che Antonietta Pastore l’ho incrociata poco più di un anno fa in una piccola libreria nei vicoli di Genova, proprio durante la presentazione del suo – allora- nuovo libro “Mia amata Yuriko”, edito da Einaudi (2016).
In un certo senso è stato amore platonico al primo brano: l’eleganza delle parole e la passione celata nella storia già dalle prime battute hanno catturato tutti -anche la signora pettegola e un po’ svampita vicino a me-. Ho comprato immediatamente il libro, -mangiato sushi offerto a fine presentazione -, e amato ogni pagina di questo racconto garbato e potente.
Il libro è una storia d’amore romantica, tenera e agrodolce fino alla fine, talmente forte da sopravvivere alla guerra, quella della bomba atomica su Hiroshima, ma soprattutto, alla rinuncia e alla lontananza sia fisica che nel tempo.
La storia ruota intorno alla Yuriko del titolo e segue due linee temporali differenti: il racconto più recente è portato avanti dalla scrittrice, che in presa diretta racconta l’esperienza del suo viaggio verso Etajima, città della prefettura di Hiroshima. In compagnia della suocera Misako, avrà occasione di conoscere il resto della famiglia del marito e osservare la vita dei parenti da un punto di vista differente, più intimo e senza filtri, grazie alla calda -e curiosa- accoglienza che le riservano.
Ben presto però, la storia diventa il pretesto per la voce narrante di dare voce a un’altra donna della famiglia, Yuriko appunto, zia acquisita dopo il matrimonio. Un mistero le aleggia intorno ma nessuno ne parla per rispetto della donna; la scrittrice stessa subisce il fascino della malinconica pacatezza che mostra Yuriko: cos’è successo alla giovane ragazza piena di vita della quale ha visto alcune fotografie? Quali le parole non dette dietro la storia d’amore con l’ex-marito del quale lei parla con affettuoso e malinconico ricordo?
Inizia così il viaggio della scrittrice fra parenti e pranzi di famiglia, dove, fra una chiacchiera e l’altra riemergono le antiche ferite di una guerra che il Giappone non ha mai dimenticato, ma solo sotterrato nelle fondamenta della ricostruzione e del progresso tecnologico moderno.
È in quell’ambiente ancora legato al cambiare delle stagioni e al lavoro dei campi, che la scrittrice, proprio osservando il modo di essere di Yuriko, si rende conto di quanto sia arrivata vicina al punto di perdere se stessa e la propria forza di carattere nel tentativo di farsi accettare in quanto gaijin – modo poco garbato di indicare gli stranieri-, mostrando di condividere valori, mentalità e il rispetto che ci si aspetta da una nuora morigerata.
Riappare allora la Yuriko di un tempo, giovane, decisa, vagamente anticonformista in una società di regole strettissime; scopriamo l’incontro con Yoshi, giovane cadetto dell’Accademia militare e del loro amore immediato e impacciato ma profondo come gli haiku che il ragazzo scrive.
La guerra incombe e tante restrizioni vengono messe da parte: i due si sposano ma non sanno che la loro felicità potrebbe ben presto essere contaminata dalla paura radioattiva scatenata dalla Bomba.
Il libro è scorrevole, si fa leggere e scoprire pagina dopo pagina, si offre al lettore con la sua prosa lieve e composta. Mostra ombre e luci della società giapponese, per diventare quasi un libro di protesta che parla al cuore invece di urlarti in faccia, per far comprendere – all’indomani del disastro di Fukushima-, che nulla di tutto ciò che migliaia di persone hanno subito – la bomba, la morte, la malattia e l’emarginazione- deve più accadere.
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