Web e tecnologia digitale, le rivoluzioni impossibili


Web e tecnologia digitale, i pupilli del XXI secolo, potrebbero non essere le vere “rivoluzioni” umane che crediamo.

Forse è una provocazione, frutto di un qualche timore, ma web e tecnologia digitale sembrano non soddisfare le profonde e durature aspettative umane, come invece hanno fatto altri device (che poi vuol dire “strumenti”, “dispositivi”; il frasario inglese è un condimento di gran moda nella comunicazione del XXI sec.).

Ma seguitemi in questo breve ragionamento di 12 righe:

si concorderà che molte invenzioni rivoluzionarie, nella storia umana, sono state fatte; si deve ammettere che è esistito sempre un forte abbraccio tra arte, poesia con tali scoperte: la produzione artistica ha succhiato, infatti, sempre nuova linfa, idee dalle rivoluzioni tecnologiche, dalle scoperte scientifiche. Come se fosse entrato rumorosamente nella stanza un ragazzaccio bellissimo, a portare scompiglio, ma dal quale è impossibile togliere gli occhi di dosso e non parlarne.
Le grandi scoperte, inoltre, sono state portatrici non solo di stili di vita diversi (l’auto al posto del cavallo/carrozza, vaccini e penicillina al posto di morti premature e agonizzanti ecc..), ma anche di temi creativi ad esse collegate: è stato così per la psicoanalisi e le ricerche sulla mente umana durante l’800, e i loro temi della “follia/sregolatezza”, del “lume della ragione”, “l’edonismo”; è stato così per la rivoluzione industriale, le sue macchine, e poi le automobili e gli aeroplani nella prima parte di ‘900: i loro temi della “velocità”, “confusione”, “progresso”, “energia”.

Ecco un esempio su tutti: il Futurismo è nato e si è attaccato al capezzolo della rivoluzione industriale; da qui, ha stravolto la poesia e l’arte. Si era perdutamente infatuato della “velocità” dell’automobile, della vertigine del “volare”

Web e tecnologia digitale non infuocano come i rumori della città.

Web e tecnologia digitale non infuocano come i rumori della città.

e ffffiiiummmm!!

Col Futurismo la poesia diventa come nella foto qui a lato: esplode.

Ma venendo ad oggi, nel XXI secolo, in poesia e nell’arte, di cosa si parla?
Nelle liriche di miei coetanei non vedo traccia di web e tecnologia digitale, di iwatch, di tablet, di social network, né di “virtualità” o “istantaneità”. Non è questo che li esalta. Apparentemente, web e tecnologia digitale non creano ispirazione, né dibattito poetico.
La generazione dei 20-30enni è dentro questo processo di “connessione” e “digitalizzazione”, ma nelle loro poesie si parla di terra, di mare, di solitudine, silenzi e crisi economica (questa sì).

Si potrebbe dire che web e tecnologie digitali non sono un cannocchiale attraverso cui i giovani poeti vedono il mondo, ma sono solo strumenti di cui si servono: niente, forse, che potremmo chiamare veramente “rivoluzione” (ops, l’ho detto).

Uno di questi poeti è Giuseppe Nibali, siciliano di fuoco, che sta moltissimo coi piedi per terra, nelle crepe del suolo della sua campagna, nelle ombre della sua famiglia e delle pecche della sua isola, con tantissimo sole, mare, mercati, domeniche in chiesa.

Non di te, mai di te
crocefisso che squadri
noi penosi dietro ai muri
tutti sporchi di pensieri
senza spalle dove appendere
quelle voci, quel colore
di gesso.

Siamo noi adesso
a chiodarci i polsi
alle croci – noi ladroni
con la noia domenicale
che copre la televisione
spegne l’urlo al Golgota
e non vogliamo deposizioni.

(Giuseppe Nibali, “Come Dio su tre croci”, Affinità Elettive, 2013, Ancona)

Giuseppe è membro del Centro di Poesia Contemporanea di Bologna: faccio il suo esempio, ma potevo parlare di molti altri poeti che, come lui, fanno parte del Centro e che condividono l’assenza di un tema comune, che parlano di molta vita tutta attorno la città, o il mare, l’appartamento da studente universitario fuori sede.

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