Una band e/è un lavoro!


Qualche settimana fa un mio amico musicista mi raccontava, mezzo afflitto, di quanto sia saturo il mondo musicale, band improvvisate, di poco talento, fatte tra amichetti che girano come schegge impazzite per locali, che suonano in contest musicali e vincono perché hanno molti amici che li votano. <<Ma una band è un lavoro! Ci vuole metodo.>>, concluse.School of Rock

La sua band, infatti, vuole arrampicarsi ad un gradino sopra le altre. Così dice.
<<Egocentrico>>, ho pensato. <<Anche io credo di avere scritto e custodire nel mio computer la nuova “Antologia di Spoon River” del XXI secolo, ma poi torno realista.>>.
Decido quindi di approfondire e di intervistare questa sedicente band emergente.

Li vado a sentire suonare ad un contest. Non mi deludono troppo.
I We Have The Moon sono una band organizzata sul palco, suoni e organizzazione precisi, tanta energia, non stanno mai fermi. Uno di loro indossa una maschera, capelli lunghi, facce dure. Tengono vivo il palco, con sempre un occhio di riguardo al pubblico: deve potersi scatenare e ballare sulle onde dei luccicanti synth che dominano la scena.
Il cantante mi squadra e mi fa un nervoso cenno di mostrare il mio asservimento al ritmo battendo le mani a tempo. <<Egocentrico>>, ho pensato.
Li voto.

Finita l’esibizione, sediamo a far due chiacchiere al pub per festeggiare la loro vittoria, e ho così modo di fare qualche domanda.

Invece del mio stereotipo trovo quattro ragazzi giovani, tre di loro lavorano a tempo pieno sette ore al giorno, il tempo libero provano con la band, il weekend provano con la band, su Facebook e Twitter non vanno per postare il loro video ridacchianti per l’ Ice Bucket Challenge, ma per pubblicare contenuti sponsorizzati, contattare etichette e professionisti per avere un parere sul futuro EP.

Hanno un piano, una strategia precisa in testa, sanno come muoversi come fossero dei veterani, le competenze extra-musicali sono focalizzate tutte sulla band, i suoi obiettivi, il loro desiderio e aspirazione. E non sono frasi fatte.

<<Io lavoro da 2 anni quasi in un’azienda, e continuare a suonare ad un alto impegno ci vuole molta forza di volontà per far coincidere gli orari, trovare tempo per occuparsi dei vari aspetti della band, prepara i concerti, le inserzioni su Facebook o Twitter, contatta le persone eccetera. Ovviamente sì, la mia attività principale al momento è il lavoro, però cerco di mantenere…c’è solitamente uso i soldi del lavoro per finanziarmi la band.>>, mi dice il cantante.

Continuavo a chiedermi perché. Perché quattro ragazzi, tre dei quali con un lavoro fisso, dovrebbero investire così tanto in un hobby? Perché è un hobby questo, vero? Sbagliato. Sbagliavo.

<<Se uno lavora bene, sacrifica certe cose, fa degli investimenti non è impossibile sfondare con la propria band.>>, mi confida ancora Marco.
<<[…] Infatti il mio maestro di basso mi ha passato anche l’idea di utilizzare la musica non solo come hobby o come mezzo per sfondare con una propria band, ma proprio come opportunità lavorativa. Tutt’oggi circa da un anno a questa parte ho cambiato totalmente mentalità grazie alla musica.>>, mi sorprende Claudio, il bassista.

E non faccio in tempo ad appoggiare il bicchiere sul tavolo che Armando incalza: <<[…] E oggi che ho 23 anni son 5 anni che suono la batteria, ma seriamente da molto meno, essendo brutale è da 1 anno che suono. Facciamo 3 dai, da quando sono entrato in accademia. Gli altri 2 sono stati un po’ a cazzo di cane.>>.

Me ne sono tornato a casa a piedi quella sera, pensando due cose.

Pensavo a quanti manca il coraggio di dire quanto questi ragazzi mi avevano confessato. Quanti si mordono una passione, la deglutiscono per non dichiarare che il mestiere giusto per loro è nella musica, o nella conservazione dei beni culturali. E’ difficile almeno quanto fare outing ammettere, in tempi in cui chi cerca mestiere nelle arti è ritenuto un “personaggetto” sognatore senza voglia di fare, di voler lavorare con la musica, maneggiare cuori ed emozioni. Chissà cosa gli direbbe Tremonti, che “con la cultura non si mangia”.

Resta la tanta, tanta competizione di cui mi parlava il mio amico all’inizio. E a quella non c’è rimedio. Bene o male che sia.

Noi siamo quei ragazzi
che viaggiano nel clangore notturno;
ad occhi chiusi nel ritardo generale,
chi dispera, l’annuncio.

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