Esercizi di stile del web 2.0


Qualcuno di voi ha avuto modo di conoscere gli “Esercizi di stile” di R. Queneau? Qualcuno sì? Beh allora posso dire, con una certa sicurezza, che degli esercizi di stile del web 2.0 NESSUNO abbia mai sentito parlare!

E’ un goliardico pensiero che mi sono concesso in giornate piovose: a furia di studiare e usare, capire e rigirare i social network tutti, mi sono accorto di come ognuno abbia (bella scoperta) delle sue regole, ma soprattutto delle sue costrizioni stilistiche.

Nessuno (fatto salvo Facebook che sublima tutte le possibilità comunicative) lascia totale libertà di espressione.

Copertina dell'opera di Queneau

Copertina dell’opera di Queneau

Twitter concede immagini, testo e video, è vero, ma il tutto condito in 140 caratteri.

Instagram mette a disposizione didascalie ad un medium esclusivamente fatto di fotografie.

LinkedIn è tarato sul tema “ricerca/offerta” di lavoro, contatti e “cerchie” con celebrità dell’altissima finanza o dell’impegnatissimo giornalismo che fungono da ispirazione e fonte di informazione.

Ask.fm ruota attorno alla fusione tra l’amatissimo anonimato (il così detto “effetto Gige”) e il porre domande ad altri utenti come fondante sistema di interazione. Un’accoppiata scoppiettante!

E cosa possono essere questi “limiti” stilistici, per dare loro un altro visino più frizzante ed impegnativo, se non esercizi di stile del web 2.0?

Infatti, è come se col web 2.0 fosse possibile impostare stili narrativi specifici. Come Queneau ha raccontato un singolo aneddoto in 99 modi/stili diversi, così un volenteroso “creativo” potrebbe divertirsi a presentare una narrazione, poesia, storia in tutti i linguaggi offerti dal poderoso web sociale.

Un’azienda potrebbe sorprendere con rivoluzioni comunicative ad effetto, per raccontarsi: un haiku o un tanka si presta bene al vincolo di caratteri twitteriano;

un raccontino episodico, aneddoti a mo’ di feuilleton si mostra disponibile per una narrazione su Facebook: infatti entro, all’incirca, 850 caratteri continui è possibile creare un testo senza che venga divorato dalla bocca della finestra “altro”, e quindi stimolare maggiormente una lettura; oppure servendosi delle Note.

Un mosaico di immagini in stile Warhol, o una successione di foto-simbolo con tempo narrativo tipo pittogrammi, o ancora dei raffinati calligrammi per raccontarsi attraverso parole-immagini, possono essere usati per una comunicazione alla Instagram e così via.

In un’epoca di guru dell’onnicomprensivo web 2.0 (c’è chi offre addirittura web 3.0!) dall’ego pesante, sparo la mia: perché è un frutto caduto sull’asfalto rovente di luglio il marketing attuale, che i buoni passanti evitano col passo schioccante.

Non mi addentro sulle nuove possibilità di infiltrazione nelle community da parte delle aziende, per monitorare, registrare, profilare gli utenti dei social. Ma, a quanto sembra, la prossima (già in atto) metamorfosi del marketing è raccontare distinguendosi, stringersi al consumatore, sussurragli dolci parole vicino al fuoco della fidelizzazione, e del prodotto infallibile, e della marca paterna/materna.
E quale raccontare migliore con un uso sapiente dei vincoli “tecnici” dei social media, con un uso creativo, artistico e poetico: esercizi di stile del web 2.0, appunto.

 

Saranno loro, poeti (non quelli che si autopubblicano) e artisti (non quelli che scrivono “23/05/2013 3 mesi insieme cucciolotta” sui muri) e fotografi (non quelli che si fanno regalare la Nikon D50 dal babbo e si fanno gli autoscatti al Chocco Show) a far girare il marketing delle storie, del dialogo marca-pubblico.

Con buona pace di ciò che avevo scritto altrove.

 

Ma forse a girare sarà sempre la solita cosa.

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