La bellezza (grande) viene dimenticata, le rovine positive


Continua pure a leggere, lettore. Non sarà un altro articolo poderoso e vanitoso sul famoso (o famigerato) film di Sorrentino.

Si prenda il film per quello che è: fonte di riflessione. E il gioco è duplice, dove si riflette su come un bel paese si è imbruttito e ci si riflette inevitabilmente in esso, perché nessuno (oppure pochi sì, ma con sforzi vani) ha fatto nulla per parare il colpo: “Prendi me, oh Politica, risparmia le mie città!”.

Questa apostrofe “romantica” ci introduce al cuore delle riflessioni. “La grande bellezza” è una sorta di ossimoro con le immagini e la storia che scorrono: una città in caduta libera, che perde pezzi e le rovine son lì. Rovine civili. Perché Roma è, più o meno, sempre la stessa meraviglia latina, i resti romani, i monumenti, la delizia di ponti e vie, rovine titaniche di una maestria architettonica e artistica inimitabili e ineguagliabili.

Rovine. Rovine positive che possono venire in mente: i segni monumentali del passaggio della cultura greca e romana (e in parte araba) sono stati per secoli fonte di ispirazione, per decenni un’ambita meta turistica, dai Grand Tour, ai “viaggi di formazione” di giovani poeti, artisti, studenti.

Naturalmente arrivavano qui, in Italia, ma anche in Grecia. E fu proprio nel contemplare le rovine venute alla luce di Pompei ed Ercolano (prima metà del ‘700), che prese forma quello che oggi viene chiamata la corrente letteraria del Romanticismo, assieme ad una possente nostalgia della classicità (Neoclassicismo).

Da quelle reliquie storiche nacquero mondi, idee, persone e culture nuovi, nuova poesia tanto suggestionata e suggestionante da scatenare nuove avanguardie.

Il lazzo storico, mi perdonerete, perché dalle rovine tutto può nascere o rinascere. Il problema sta tutto nel come le si contempla. Se abbiamo visto la tragedia civile ne “La grande bellezza” col piglio acido dell’intellettuale intoccabile, o se piuttosto con l’orgoglio umano, dell’uomo davanti al proprio riflesso (vedi supra) che si chiede: “ma son davvero io quello?”.

Farsi rapire dalle rovine, se la bellezza (grande) viene dimenticata, come ci avverte un inguaribile romantico, che ha amato l’Italia e dove, proprio a Roma, è morto.

Donna, quando ti vedo frivola, vana, incostante

[…] E’ possibile dimenticare la bellezza?

Le sue grazie scordare, solo accennate?

Perdio, lei pare un bianco agnellino belante

In cerca di protezione. Certo l’onnivedente

Che i suoi doni gioisce a vederci gioire,

Non darà mai ali a chi trappole tende

Alla purezza – o vile inganna

Un grembo di colomba. La bellezza

Ossessiona il pensiero: quando un canto

Sento, dalla sua mano destato,

Palpabile fantasma lei m’ appare vicino:

L’avessi mai vista cogliere da un albero

Un fiore rugiadoso, per sempre la sua mano

Avrei sui miei occhi a cogliere tremiti di pianto.

(John Keats)

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