Condividere un Whitman con chi vuoi tu
È da qualche settimana che sento di voler essere brutale. Così, a bruciapelo: con quanti posso condividere il pensiero che l’attuale modello di vita non sia più sostenibile, o quantomeno non lo sarà a lungo? E vedere come “con il pugno di ferro e in piena tranquillità/fuori agisce il potere”, come direbbe Günter Grass?
Piano! Non stiamo parlando di “fanculo al Sistema” dei System of a Down o de “il loro Sistema che non funziona” degli Anti-Flag. Iniziavo a vedere molte mani alzate. Chi vuole approdare, per qualche istante, ad un’utopia?
Utopia è Arcadia, è Atlantide, è chi mette la freccia per uscire dalle rotonde, è vedere qualche sorriso di prima mattina, è ricevere risposte a qualche curriculum inviato.
Non tutto è perduto. Nelle “grandi” problematiche non è facile né, in certi casi, possibile concretamente intervenire; tuttavia dietro la porta murata di notizie e informazioni e nuovi artisti/geni che vogliono farsi conoscere a tutti i costi, c’è un piccolo segnale: una risposta alle domande di un mondo che pare infelice l’ho trovata nel crescente numero di casi di solidarietà urbana, è condividere.
Sono significativi gli esempi di piattaforme digitali dedicate alla condivisione di consumi, passaggi in auto, spazi, allo scambio di oggetti, nonché incontri ed eventi reali con queste stesse finalità, fino ad arrivare a condomìni con ambienti comuni come biblioteche, orti, baby-sitter per più famiglie, badanti per più necessitanti. Nulla di nuovo, giustamente. O forse sì? Non è né il nichilismo beat, la rabbia rivoluzionaria “comunista-anarchica”, né quell’equilibrio di alleanza tra uomini mal tollerata, di cui parla Hobbes (Homo homini lupus). È la riscoperta dell’altro, il fare le cose insieme tra arte e lavoro, e al contempo la necessità di ridurre costi e oneri. E per di più, funzionano! Basta lanciarsi! Ma sì, dire che è questo, in fondo, un trillo del vivere.
A mio avviso perfettamente celebrativa di tutto questo, un’iperbole:
In questo momento che mi struggo pensoso, tutto solo sedendo,
mi pare che anche altra gente, in altre terre, si strugga pensosa,
mi pare che, alzando gli occhi, potrei vederli in Germania,
in Italia, in Francia, nella Spagna,
o lontano, lontano, in Cina, Russia, Giappone, ove parlano
altri linguaggi,
e mi pare che, riuscissi mai a conoscere queste persone, mi
affezionerei a esse, come mi sono affezionato a uomini
delle mie terre,
oh, ben lo so, diventeremmo fratelli, amici,
so che con loro sarei felice.
Condividi et impera.
Curioso che uno slancio lirico, seppur complesso se visto nel dettaglio, così empatico e “collettivo” sia sorto in Walt Whitman, poeta americano.
Leggendo di car-sharing, di “Freecycle”, di “BlaBlaCar”, di “Zerorelativo”, mi è venuto in mente Walt Whitman e ‘Shakespeare and Company’: la famosa libreria a Parigi casa di libri, di incontri con autori, eventi, letture di poesie, persino un tetto per molti scrittori e artisti beat (qui potevano alloggiare e dormire in cambio di qualche ora di lavoro). Ho trovato tra queste due realtà, distanti qualche decennio, una parentela comune il cui manifesto può essere proprio Leaves of Grass di Whitman.
Whitman decanta, paradossalmente, un individualismo collettivo dove il singolo ha ragion d’essere, ma è una “foglia d’erba”, appunto, connesso e inseparabile da altro: “Io celebro me stesso, io canto me stesso, / e ciò che io suppongo devi anche tu supporlo / perché ogni atomo che mi appartiene è come appartenesse anche a te.”.
Ecco allora come l’anima socievole e sociale della Shakespeare and Company si tramanda in nuove idee del condividere di oggetti, spazi, bisogni e attività, una cifra nuova e definizione in divenire della città, del mondo. Esagerato, vero?
Ma ecco allora il legame tra Whitman e i sopra citati esempi di “rivoluzione culturale” che non trovavo: come per molti altri autori, Walt è divenuto più che mai attuale in tempi molto lontani da quelli in cui ha vissuto, anticipando quel sentimento di “cameratismo” svilito e temuto (per la natura “immorale” dei suoi versi, celebrazione di rapporti umani anche omosessuali, fu licenziato da impiegato nel Ministero dell’ Interno).
Nella prima sezione (“Il canto di me stesso”) delle Foglie d’erba c’è tutto.
C’è qualcosa di Whitman in uno dei casi di “comunità” moderni che ho citato poco sopra, e che ho sperimentato in prima persona.
Non me ne volere Walt, ma BlaBlaCar era il tuo condividere un tetto in cambio di qualche lavoretto nella fattoria di chi ti ospitava, era il condividere il minivan Wolksvagen con l’autostop. Ora ha un nome.
Ha un nome ora il condividere, è la praticità di trovarsi su piattaforme virtuali ma l’ospitarsi in carne ed ossa, sentire sulla schiena e nell’odore la macchina di chi ti offre il passaggio, conosci lui e parte della sua storia. E sembra la cosa più naturale del mondo, fiducia, e forse lo è. Proprio ciò di cui parlano le Foglie d’erba.
Ci vuole anche autoironia però, ascoltare quei detrattori che mi sembra dicano: “Ma che diavolo vuol dire sta roba?”, e accontentarli, comprendendo che i voli poetici di immedesimazione di Whitman, talvolta iperbole di parole che sembrano pronunciate da Gesù in persona, possano non arrivare, non commuovere o disvelare la bontà di un baratto, di un prestito senza interessi, di un’auto o passaggio condivisi.
Allora io dico che li capisco.
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