Cambio di stagione, fuori e dentro gli armadi


Vestiario

Ti togli, ci togliamo, vi togliete
cappotti, giacche, gilè, camicette
di lana, di cotone, di terital,
gonne, calzoni, calze, biamcheria,
posando, appendendo, gettando su
schienali di sedie, ante di paraventi;
per adesso, dice il medico, nulla di serio
si rivesta, riposi, faccia un viaggio,
prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,
torni fra tre mesi, sei, un anno,
vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,
e voi supponevate, e lui sospettava;
è già ora di allacciare con mani ancora tremanti
stringhe, automatici, cerniere, fibbie,
cinture, bottoni, cravatte, colletti
e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori
-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa
riutilizzabile per protratta scadenza.

[Wislawa Szymborska]

 

Per l’ennesima volta sono qua a proporvi un brano dell’inimitabile Szymborska, che considero un’inesauribile fonte di riflessioni e risate acide da reflusso (nel senso che se prima scappa un sorriso, dopo viene rigurgitata un’amarissima consapevolezza, giù, dalle viscere).

Mi sono fatta contagiare da tutte le influenze stagionali: quella che provoca il raffreddore, quella che mi blocca a letto con febbre e libri da studiare, quella in cui ricominciano le trasmissioni televisive giornaliere e finiscono le pietosissime repliche… Insomma proprio tutte, meno che una: quella del cambio di abiti nell’armadio.

Mi piace soffermarmi con deliziosa perplessità sulle canottiere, le t-shirt, gli shorts e pensare: “Ho freddo”.

Sia chiaro, la mia non è nostalgia dell’estate:  non fa differenza sudare per l’afa o tremare a causa delle intemperie, non cerco la tintarella e non amo imbottirmi con giacche giacchette e giacchine e sembrare più grassa di quello che sono.

A me piace la ciclicità, il ritmo costante, la sicurezza degli equinozi e dei solstizi, il sapere che mentre ora mi godo una torta di zucca, tra sette mesi mi preparerò un budino alle ciliegie.

Che poi potrei darvi le mie personalissime ricette sia di una che dell’altra pietanza, ma non voglio far virare così violentemente l’argomento e il tono del mio intervento su questo blog.

Ma ora mi chiedo: tu, proprio tu che stai leggendo le mie parole, preferiresti sentir parlare di zucchero a velo o di poesie velate d’ironia?

Siccome, come ho scritto nella mia biografia, in una delle mie vite passate sono stata un terribile despota, darò libero sfogo a questa mia celata indole e deciderò io per te.

 

Ad alcuni piace la poesia.

Ad alcuni – 
cioè non a tutti. 
E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. 
Senza contare le scuole, dove è un obbligo, 
e i poeti stessi, 
ce ne saranno forse due su mille.

Piace – 
ma piace anche la pasta in brodo, 
piacciono i complimenti e il colore azzurro, 
piace una vecchia sciarpa, 
piace averla vinta, 
piace accarezzare un cane.

La poesia – 
ma cos’è mai la poesia? 
Più d’una risposta incerta 
è stata già data in proposito. 
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo 
Come alla salvezza di un corrimano.

[Wislawa Szymborska]

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