La Metamorfosi Dello Studente – tuffo nelle torbide acque del lavoro
Ore otto. Giusto in tempo di compiere la mia metamorfosi.
Fino a ieri (anzi, a dire la verità ben quarantotto ore fa, forse una cinquantina) ero un membro della utilissima popolazione attiva (che, stando a Wikipedia, poiché i vecchi vocabolari o enciclopedie in formato cartaceo non li vuole più nessuno, corrisponde, in ambito economico, all’offerta di lavoro, cioè al complesso di persone sul quale un Paese può contare per l’esercizio e lo sviluppo delle attività economiche).
Ora sono ritornata ad essere una studentessa. Ma sono anche una musicista. Però non dimentichiamo che potrei anche definirmi un’agonista, un’atleta. E scrivo, quindi sono una scrittrice. Ma sì, disegno pure, scolpisco. Questo fa di me un’artista. Cosa sono? Sono tutti, non sono nessuno.
E come me, tanti, tantissimi ragazzi hanno compiuto la metamorfosi, si trasformano attimo per attimo. La magia è scandita dalle ore, dalle lancette dell’orologio e noi, figli del passato, genitori del futuro e marinai del presente, compiamo l’incantesimo.
Assaporiamo ogni giorno il gusto amaro del non saper stare al mondo, di essere troppo giovani per capire ma troppo grandi per rimanere passivi. Siamo uomini, siamo bambini. Ci alterniamo tra libri scolastici, altalenanti umori, apocalittiche partite con il mondo del lavoro.
E nonostante questo ogni giorno siamo i bersagli preferiti dei professori, o più generalmente delle persone “con esperienza” e ci chiamano nullafacenti (e come non ricordare l’episodio del bamboccioni?).
Che poi magari fanno bene, a darci le strigliate.
Ma ogni volta che la gioventù viene additata come un gruppo di scansafatiche, apatici senza un obiettivo, lavativi codardi e ingenui, be’, posso ritenermi offesa. E infatti mi indispettisco sul serio.
Recentemente ho sentito al telegiornale che c’è l’intenzione di incrementare le tasse universitarie (in base al reddito) ai fuoricorso: il tempo è denaro, ed effettivamente tali studenti stanno perdendo tempo, è tutto denaro che se ne va.
Ma allora, per par condicio (nonostante io ritenga questa legge abbastanza azzeccata, almeno da una prima analisi che ammetto essere stata superficiale) , anche io pretenderò del denaro a questa Repubblica democratica, fondata sul lavoro quando non sarà in grado di offrirmi un impiego per il quale non solo ho passato a studiare su per giù almeno sedici anni della mia vita che, sempre i più esperti e professori, dicono essere i migliori, ma ho anche fatto investire fior di quattrini alla mia famiglia, soldi che, a conti fatti, non vedrò mai più.
Tutto il periodo di disoccupazione a cui sono sottoposti i neolaureati (ma non solo) non è tempo perso, negligenza da parte di chi di dovere? Io dico di sì.
Allora cosa dovremmo fare, aumentare le tasse ai governanti?
Una canzone dei Metallica recita “Come posso essermi perso se non ho un posto dove andare?”: ebbene, signori, questo è ciò che sta accadendo.
Nella speranza di aver sollevato almeno un po’ di sdegno e di auto-interrogativi, lascio questo post con una simpaticissima Wisława Szymborska, con la poesia Come scrivere un curriculum.
Buona riflessione a tutti.
Che cos’è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
è bene che il curriculum sia breve.
È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza perché.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.
E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
cara Laura mi fà piacere aver intercettato il tuo sfogo e spero di avere da te un aiuto nella comunicazione digitale dal momento cge ho creato un blog scuola per dare libero spazio a chi, studenti,giovani, lavoratori hanno qualcosa da dire ma non sanno a chi dirlo se non andando nei siti a loro dedicati dove nessun adulto può entrare a meno di sotterfugi,mentre in questo anche le famiglie possono scrivere,creando un movimento di opinione per lo scambio di idee e la produzione di una società più civile di quella in cui viviamo oggi dove tutti possono parlare ma nessuno è disposto ad ascoltare.grazie per il tuo contributo alla crescita della mia idea che ho chiamato: studentigiovanilavoro.blogspot.it,francesco Bruno da Bari.italia-puglia
Ti correggo: mi chiamo Sara e non Laura.
Speriamo che portali di questo genere possano davvero dare un’impronta più “civile” a questa società: nonostante io apprezzi e in primis mi adoperi per promuovere la forma di confronto digitale, non posso non pensare, con estrema amarezza, che sarebbe meglio iniziare dalla ricostruzione del dialogo “umano” e non virtuale… Ma sono perfettamente consapevole che tale processo sarebbe a livello individuale, quindi molto più complicato da mettere in pratica.
Che dire? Grazie perché stai tentando di dare un impulso vitale all’encefalogramma del rapporto giovani-mondo del lavoro (e non solo).