Dove si vedono le colline
Nessun ragazzo o uomo nascose le lacrime o i rimorsi quando i messaggeri annunciarono in tutto il regno che la fanciulla più bella dell’India, Ara, era prossima alle nozze con il Maragià. Le donne, al contrario, in preda all’euforia si misero a starnazzare per tutto il mercato in cerca dei sari più ricamati o la seta più lucida e morbida con cui agghindarsi il giorno delle nozze. I mendicanti smisero di chiedere l’elemosina, forti del fatto che di lì a poco avrebbero avuto cibi prelibati in abbondanza, ovvero gli avanzi dei cento giorni di banchetti, festeggiamenti e bivacco per il matrimonio più grande di tutti i tempi. Giungevano ambasciatori da qualsiasi angolo di mondo, pieni di doni che portassero lustro ai loro rappresentanti: vi erano bestiame, drappi purpurei, coppe d’oro e d’argento, servizi di cristalli, schiavi e ancelle, pettini di tartaruga, leccornie, cesti di frutta secca, bauli pieni di gioielli, animali esotici… Ma il regalo più bello fu quello che il Maragià fece confezionare apposta per chiedere la mano della sua futura sposa: una bambola. Non una bambola qualsiasi: la sua fabbricazione richiese il lavoro di mille fra i più apprezzabili ed esperti artigiani di tutto l’oriente. Per primi iniziarono i falegnami e i fabbri che realizzarono un telaio snodato e resistente, il quale fu ricoperto dai ceramisti, i quali rivestirono la struttura con una finissima porcellana, candida, liscia, lucente . Venne il turno dei sarti: cucirono rubiconde vesti che prontamente gli orafi ornarono di ciondoli e catenelle d’oro, poi le tempestarono di diamanti, smeraldi, rubini, opale, topazi, zaffiri. Giunsero dalla steppa persino i Mongoli, periti di allevamento equestre: formarono la chioma della bambola con i crini più neri e lisci delle giumente di razza. I pittori delinearono rosee guance e sinuosissime labbra. Partecipò al singolare dono anche un duca europeo, che fornì due microscopiche gemme di giada, viola come il mare all’alba: queste vennero incastonate sul suo delicato e pallido cranio e divennero le iridi. La bambola venne poi posta nelle mani della madre del Maragià, famosissima santona, prima donna illuminata della storia, la quale vi impresse un’anima e le diede un nome. Dopo l’assegnazione di un’anima, infatti, ad ogni creatura viene dato anche un nome unico e irripetibile: in quel caso si trattò di “Gahalk”.
Indescrivibile fu lo stupore e la gioia della giovane sposa, della famiglia, della corte e di tutti coloro che assistettero alla scena: ognuno rimase abbagliato dalla maestosità, grazia e ricchezza infinite. La dodicenne neofidanzata ammutolì, si diresse verso la bambola, protese le braccia, ma esitò a toccarla.
Prese coraggio e le sfiorò i capelli, era assolutamente la cosa più splendida che avesse mai visto in vita sua, valeva almeno quanto tutti i tesori ricevuti in dono per il fidanzamento. L’undicesima meraviglia del mondo!
Arrivò il matrimonio e di lì a poco anche una coltre quasi sconfinata di figli. Inutile dire che, nonostante il passare del tempo, la bambola rimaneva sempre un oggetto (o forse anche qualcosa in più?) di pregiato ed elevatissimo valore, tramandato di madre in figlio con orgoglio assieme alla corona . Nemmeno gli uomini della famiglia disdegnavano Gahalk in eredità. Anzi, ogni giorno che trascorreva tra le mani di qualche bimbo o ragazza a palazzo la sua bellezza sembrava aumentare. Presto divenne impossibile ignorare la sua radiosità e tutti iniziarono a degnarla di complimenti, cerimonie e ossequi maggiori che ai sovrani. Suscitò l’invidia di tutte le donne del paese, le quali si rivolsero al mago di un piccolo villaggio, che si vantava di poter manipolare qualsiasi entità. Insieme evocarono gli spiriti della natura, con la speranza che si ritorcessero contro la bambola.
Per primo agì il vento, che irruppe a palazzo con una prepotenza tale da strapparla dalle mani di una delle principessine. Una volta trasportatala su di una rupe a picco sull’oceano, soffiò talmente forte da strapparle tutti i capelli.
Per seconda, sorse l’acqua marina, che la travolse staccando tutte le pietre preziose dalle vesti, eliminò il rosso intenso delle sue labbra e tutto il resto della pittura che delineava i suoi tratti somatici. Prima di abbandonarla, però, si infiltrò nelle giunture del telaio e gonfiò il legno tramite l’umidità. Infine fece arrugginire le parti ferrose. E la bambola non si mosse più.
Per terzo agì il fango assieme alla polvere, ricoprendola di sporcizia che rovinò irrimediabilmente i suoi vestiti e la sua pelle levigata, di porcellana.
Venne la pioggia, che lavò via il viola dei suoi occhi. Ora erano trasparenti, vuoti, pieni d’acqua.
Infine calò la notte e con il suo vento gelido la sbatacchiò nell’aria fino a raggiungere un luogo davvero lontano e ostile. Poi la bambola giacque immobile, sola, abbandonata, lontana da casa.
Molti, vedendo librarsi nell’aria quella che fino a poche ore prima era una bellissima bambola, la pensarono un demone e si misero a pregare o a fare scongiuri, inneggiando contro di lei.
Intanto a palazzo tutti piangevano la sua scomparsa, la cercavano in ogni casa, in ogni bettola, promettendo ricchissime ricompense a chiunque avesse dato informazioni utili. Ma tutte le ricerche si rivelarono, ovviamente, vane.
Una volta svegliatasi dal lungo tramortimento infertole dalle forze della natura, la bambola dovette combattere contro altri maltrattamenti, calci, strattoni, voli dentro a pattumiere: era finita, infatti, in un luogo dove i bambini non amavano bambolotti immobili, ma preferivano giocattoli chiassosi, automatizzati. Quante volte venne girata e rigirata da qualche bambina che cercava il vano per le batterie, quante volte venne rigettata a terra dalle stesse deluse dalla semplicità della sua struttura!
Non c’era spazio per le anime indiane e regali in un posto come quello, dentro i corpicini delle bambole correva solo energia elettrica e, nel caso non fosse così, si veniva abbandonati presto dentro qualche soffitta, qualche scatolone o qualche pattumiera.
Tutti coloro che avevano avuto pietà di Gahalk , con la stessa velocità in cui l’avevano raccolta la rigettarono a terra. Fino a che, un giorno, non passò una signora abbastanza distinta e anziana che si stupì guardando la bambola sul ciglio di una strada, dipingendosi sul volto una bizzarra espressione, una miscela di dolcezza e pietà. La prese fra le mani, la spolverò alla buona e la infilò in un sacchetto di plastica biodegradabile.
Gahalk in quel momento pregava solo affinché le sue sofferenze durassero il meno possibile e si chiedeva quale sarebbe stato, questa volta, il luogo in cui essere abbandonata per la milionesima volta.
E piangeva, piangeva ogni volta che ripensava al palazzo, chiedendosi perché, mentre prima tutti la amavano e gioivano tenendola in braccio, ora nessuno fosse in grado di accoglierla e provare le stesse emozioni. Iniziò a pensare che girasse tutto attorno alla preziosità delle sue vesti o la regalità del suo aspetto.
Il buio opaco della busta si dissolse quando venne appoggiata su un tavolo da sarta, accanto alla macchina da cucire.
In qualsiasi stanza venisse posta, la bambola poteva notare alle pareti un’enorme quantità di quadri di santi cristiani e pagani, statuine, preghiere, simboli scaramantici che allo stesso tempo la incuriosivano e intimorivano.
La donna, finite le faccende di casa, portò la bambola in bagno e iniziò a pulirla dai residui di fango e di strada , riportando alla luce l’antico pallore della porcellana. L’asciugò e la rivestì con un abito occidentale molto retrò, con una gonna ampia e nera e una cuffietta ornata di merletti affinché nascondesse la calvizie.
-So tutto. Sono una sensitiva. È orribile quello che ti è capitato, ma non devi temermi. Ne ho incontrate tante di anime come te. Anime troppo sensibili e ingenue. Prima siete state tutte abituate a gioia, amore, accoglienza, per poi essere scaraventate nella mediocrità ostile e immorale. E non pensare che se fossi stata ricoperta d’oro e smeraldi saresti stata adorata come una dea: probabilmente ti avrebbero derubata e abbandonata per l’ennesima volta. Ora voglio mostrarti una cosa, però.
La donna si spostò sul balcone della cucina: spalancò la portafinestra e d’un tratto si trovarono dinanzi al cielo, vicino all’imbrunire.
-Vedi, tu hai domandato a te stessa più di una volta come mai, nonostante la tua anima resti sempre la stessa, qui nessuno riesce ad amarti come succedeva prima di essere deturpata e spogliata dalle forze della natura. Hai dato la colpa al tuo aspetto impoverito, ma non è così. Se davvero vuoi essere accolta nel cuore di qualcuno, se vuoi dispensare gioia, non devi sfruttare l’oro, la seta e i diamanti. Quelli, hai visto anche tu, possono esserti tolti in qualsiasi momento nella maniera più brutale. Ciò che non può scomparire nemmeno con un acido tremendamente corrosivo è proprio il tuo Io! Può sparire la bambola più preziosa del mondo, ma Gahalk no. Lei è immortale.
Gahalk guardò il cielo: le colline lontane diventavano ambrate per il sole che vi si stava spegnendo.
“Alla reggia pensavo spesso al tramonto. Non ne ho mai visto uno. Alla reggia non si vedevano le colline” pensava la bambola.
Nel momento in cui il suo sguardo si sdraiò sul profilo di quei colli impreziositi dalla luce, i suoi occhi raccolsero il loro meraviglioso colore, diventando dorati.
Un colore che non l’abbandonò mai.
Il colore di Gahalk.
L’unico oro che nessuno mai poté rubarle.
L’oro della sua anima.
Molto Bello…
Grazie!
Semplicemente bellissimo esemplare di indiscutibile fascino!
Grazie infinite!