(C)orsa all’oro


In una radura del lontanissimo ovest un’orsa bruna e una bellissima fanciulla piangevano, piangevano, piangevano.

Si disperavano a tal punto che i grandi predatori non riuscivano a percepire il movimento delle proprie prede, i pellerossa non udivano più lo scalpiccio dei cowboy all’orizzonte, si interruppero tutti i combattimenti, le lotte, le zuffe, gli amori, le lezioni. Tutto si era fermato … Tutto tranne che i singhiozzi dell’orsa e della bellissima fanciulla.

Ma perché non v’era modo di consolare questi due strani personaggi?

Bisogna sapere che il grande mammifero ogni giorno era solito spingersi fino ai margini del suo territorio, affacciandosi alla staccionata che lo divideva dal villaggio di uomini sempre intenti ad arare, pascolare il bestiame, chiacchierare.

Come di consueto, anche quel giorno l’orsa si era persa nell’osservare le movenze e l’aspetto di una giovane mandriana: invidiava le lunghe trecce in cui raccoglieva i capelli, era gelosa la sua pelle liscia, desiderava ardentemente avere delle carni altrettanto toniche, per non parlare delle sue movenze sinuose, ma allo stesso tempo decise. D’un tratto prese tutto il coraggio che aveva in corpo e le rivolse la parola:

-Ragazza, devo chiederti alcune cose.

-Dimmi pure. Ti ascolto.

-Come fai a tenere in ordine la tua bellissima chioma? Io proprio non ci riesco…

-Ma sciocchina di un’orsa! La risposta è semplicissima: ogni mattina mi alzo e per prima cosa vado al lago del villaggio e mi specchio nelle sue acque, così riesco a vedermi bene e mi acconcio come meglio credo.

-Grazie ragazza, farò anche io come te. Arrivederci

-Arrivederci.

Il grande mammifero tornò correndo a perdifiato alla sua tana, che si trovava a ridosso di un torrente. Corse talmente velocemente che il cuore stava per scoppiarle. Pensava “Che emozione, finalmente so come poter apparire più graziosa agli occhi dell’Orso Grigio. Presto, presto, ho bisogno di specchiarmi”.

Giunta a casa, per prima cosa si affacciò da un masso della riva: si osservò un po’ perplessa e cercò di sistemare la sua pelliccia arruffata dall’umidità.

Quando pensò di essere bell’e pronta, raggiunse il suo amato Orso Grigio per corteggiarlo… Che delusione quando quest’ultimo la guardò e la liquidò con una sonora risata! Il povero mammifero non si era reso conto che la sua immagine riflessa era stata distorta dalla corrente e quindi non era speculare alla realtà!

Tutta delusa si coricò presto, senza nemmeno cacciare qualcosa da mettere sotto i denti, aspettando ansiosamente l’alba del giorno seguente.

Ecco dunque che, dopo avere aperto gli occhi, si fiondò alla staccionata dove c’era la bella fanciulla ad attenderla.

-Ragazza, ho bisogno che tu risponda ad un’altra domanda.

-Chiedi pure.

-I tuoi muscoli sono ben delineati. Io invece ho la pelle cadente e flaccida. Qual è il tuo segreto?

-Nessun segreto, orsa sciocchina. Io tutte le sere per mantenermi fresca e lavare via  le fatiche del mio lavoro nuoto placidamente nel lago del villaggio.

-Grazie ragazza, sei stata davvero gentile.

-Di nulla, cara orsetta.

Dunque il grande animale corse di nuovo forsennatamente alla sua dimora, inspirò quanta più aria possibile e si tuffò nelle gelide e limpidissime acque del suo torrente. Anche questa volta non le andò bene: infatti la forza del flusso del fiume era troppo forte rispetto a quella delle sue zampe, perciò finì col lasciarsi trasportare fino alla cascata, riemergendo completamente bagnata, in modo goffissimo, piena di contusioni e tutta dolorante per essere stata sballottata da una riva all’altra per tantissimi metri. Ma la sua tenacia non le permise di gettare la spugna, anzi, si intestardì maggiormente e anche quella sera andò a dormire pensando ad un nuovo quesito da porre alla fanciulla.

Il mattino seguente:

-Ragazza, stamattina sei ancora più splendente del solito. Che incarnato! Che pelle! Dimmi come riesci a mantenerti così, affinché riesca a migliorare anche io!

-Sciocchina di un’orsa, io ogni giorno faccio colazione e pranzi abbondanti, mi nutro del pesce e delle bestiole che catturo quando vanno ad abbeverarsi al lago del villaggio. Oltre che procurarmi il cibo, la caccia mi mantiene anche in forma…

-Grazie infinite, ora che so anche io come fare, sono sicura che non fallirò. Arrivederci.

La giovane donna non ebbe nemmeno il tempo di rispondere con i suoi modi gentili al saluto, che il grosso mammifero si era già fiondato altrove per mettere in atto i precetti appena impartitogli.

Come consigliato, l’orsa si mise a rincorrere tutte le bestiole che le si avvicinavano, ma queste erano talmente agili e veloci che il povero animale non riusciva a tenere il loro passo, infatti ben presto si stancò e si dedicò di nuovo alla cattura dei salmoni che risalivano la corrente: almeno per quello conosceva ogni tecnica e trucco! Non del tutto convinta dei suoi fallimenti, volle fare un ultimo tentativo: un cerbiatto infatti le si stava cautamente avvicinando con l’intenzione di abbeverarsi al fiumiciattolo. Il carnivoro allora fece uno scatto incredibile, riuscì quasi a sfiorare il pelo della vittima… se non fosse che appoggiò una zampa su una pietra bagnata, finendo (in seguito ad un’incredibile capriola) col muso nell’acqua, con ancora le fauci spalancate per addentare la preda prescelta. Non aveva mai provato un così profondo imbarazzo in tutta la sua vita: gli altri orsi che stavano assistendo alla scena, infatti, avevano ben presto trasformato lo sguardo di ammirazione in risa sguaiate. In quel terribile momento non riusciva a capire se il dolore più forte fosse quello causato dalla ferita nel suo orgoglio o quello proveniente da un canino, in seguito alla caduta. La notte che seguì non poté non essere piena di incubi febbricitanti: il tormento era insopportabile…

La ragazza, al mattino, si preoccupò del ritardo dell’orsa al loro consueto appuntamento. Appena la scorse all’orizzonte, si accorse subito dell’umore alterato dell’amica.

-Oh, poverina, che ti è successo?

-Le tue abitudini non fanno per me, ragazza. Basta, ho deciso che lascio stare il mondo così com’è. Sono stanca di tutti questi guai.

Nel momento in cui finì la frase, coronò la chiusura di questo sfortunato capitolo con un sorriso piuttosto forzato, ma che svelò alla fanciulla una cosa inaspettata:

-Sciocchina, cos’hai fatto al tuo canino?

-Ieri ho avuto un incontro ravvicinato con il letto del torrente. Sapessi cos’ho dovuto patire…  Si vede, vero?

In quel momento alla giovane donna tutto fu chiaro: non si era sbagliata. Aveva veramente visto un riflesso di luce proveniente dal dente dell’orsa: la caduta aveva incastonato sicuramente nelle sue gengive una piccolissima pepita d’oro, naturalmente presente nei fondali del fiume… e questa era la causa del dolore!

-Vieni qua, che ti aggiusto io! – La ragazza prese delle grosse pinze ed estrasse la pietra dalla bocca del carnivoro.

-Che meraviglia, grazie, grazie infinite! Ah, ancora quei maledetti sassi! Li detesto, sono dappertutto!

-Ah… dappertutto. Senti, cara amica mia, ti vedo davvero provata. Facciamo così: per qualche giorno io vivrò vicino al tuo fiumiciattolo e patirò le tue stesse fatiche, mentre tu ti rilasserai al mio villaggio, sul lago. Cosa ne pensi?

L’orsa non riusciva a credere alle proprie orecchie. Pazzesco! Non avrebbe desiderato altro che questo. Accettò scuotendo il capo con forza e si diedero appuntamento un’ora più tardi, sempre alla staccionata: il tempo di radunare tutto il necessario per lo scambio. Tornarono all’ora stabilita una con un enorme sacco vuoto e l’altra si presentò a zampe vuote. Scavalcarono la staccionata alta ma non insuperabile, si salutarono con un’aria elettrizzata, gioiosa e sognante e si congedarono.

Il mattino seguente entrambe si presentarono con una smorfia insoddisfatta sui volti: la ragazza, che aveva progettato lo scambio per approfittare dell’oro e dell’ingenuità dell’orsa , non sapeva come rallentare la corrente del fiume, ma si rallegrò quando il grosso mammifero le svelò il trucco della pietra posta in mezzo al letto. Viceversa, questa mostrò un’aria soddisfatta quando la giovane le spiegò che per procurarsi il cibo senza fatica poteva nutrirsi dei pesci sottratti ai pescatori durante la pausa dalla pesca e dei dolci fatti raffreddare sui davanzali delle finestre delle dimore delle massaie fornaie.

I giorni passavano e le due figure ingorde non facevano altro che arricchirsi: una di pagliuzze e pepite del prezioso metallo reperite nel torrente, l’altra invece di cibo prelibato che otteneva senza troppa difficoltà nel villaggio.

Non vi erano più morali o libidini a fermarle, nemmeno il buon senso riusciva a frenare i due personaggi, sempre più avidi e affamati.

Dopo sei giorni di “lavoro” ininterrotto, le due si trascinarono con fatica alla staccionata, per fare ritorno alle rispettive case: la fanciulla aveva riempito l’intero sacco e anche le tasche d’oro e la testa di progetti di ricchezza, di matrimoni e divorzi con il solo scopo di arricchirsi ancor più; l’orsa invece, grassa, immensa, si era saziata: aveva masticato e mangiato talmente tanto da non sentirsi più le mandibole. “Ora sono felice: non dovrò pensare ad altro nella mia vita, mi sposerò e il gioco è fatto” pensava la donna. “Ora sono felice: non dovrò pensare ad altro nella mia vita, mi sposerò e il gioco è fatto” pensava il grande animale. Ma quando fu il momento di scavalcare la staccionata nessuna delle due vi riuscì: il peso del metallo e del grasso zavorravano le creature impedendo il loro sollevamento. L’umana temeva talmente tanto il furto dell’oro o l’invidia di quelli che prima erano i suoi amici (e a cui avrebbe potuto chiedere aiuto) che preferì tacere e l’orsa non disse nulla per timore di essere catturata dagli uomini del villaggio, grazie ai quali aveva mangiato senza sosta e senza la minima fatica. Di soluzioni ce ne sarebbero state a bizzeffe, ma le loro stupide paure, condizionate dai vizi, non le lasciarono trasparire. Questo era il prezzo da pagare per il doppio fine con cui avevano agito.

Intanto piangevano.

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