Tempo di Fanfole!


Metasemantica, signori.  M-e-t-a-s-e-m-a-n-t-i-c-a.

Cos’è? È la massima forma di frammentazione della lingua italiana. Fatta a pezzi e ricostituita in nuove, intuitive ed intuibili, sublimi parole che, seppur non esistendo nel vocabolario italiano, sono chiare, viscerali.  Non esistono lettori inadatti per questo genere letterario inventato dal padre di Dacia Maraini, ovvero Fosco Maraini, quindi non è precluso a nessuno.

Basta con intricate parafrasi, o i cosiddetti “paroloni” abbordabili solo per i più dotti. Aprite le orecchie e preparatevi per un bel sorriso, scoprirete uno stile in grado di suscitare sensazioni fantastiche  e, in qualche modo, vi farà tornare bambini: chi di voi, da piccolo, non ha mai inventato nomignoli apparentemente senza significato per parlare del ragazzo che vi piace senza farvi scoprire o anche parole d’ordine con le quali accedere al vostro club segreto, segretissimo? Ebbene, questa è una primordiale forma di metasemantica.

Madame et monsieur, ecco a voi le Fanfole!

 

 

 

Ballo

Vortègida e festuglia o dulcibana

e sdrìllera che sdràllero! Sul fizio

la musica ci zùnfrega e ci sdrana

con tròdige buriagico e rubizio.

Lo sai che gli occhi gneschi e turchidiosi

son come abissi vèlvoli e maligi?

Lo sai che nei bluàgnoli miriosi

tracàcero con lèfane deligi?

Ah sdrìllera che sdràllero, mumurra

parole lampigiane ed umbralìe,

t’ascolto lucifuso nell’azzurra

voragine d’un’alba di bugie.

 

Dialogo celeste

– E tu quando vivesti? – Io vissi all’era

degli Andali ludiati e perfidiosi:

gli artèdoni liriavano in finiera

metàrcopi e sindrèfani rodiosi…

– Io invece vissi ai tempi laccheroni

degli ùzzeri bagiosi e guazzacagni;

s’andava lornogorno a brencoloni

tra làlleri, gaglioppe e trucidagni;

d’inverno si zurcavano le precchie

cazzando lorigucci e naderlini,

a maggio si correvan le frullecchie

sfoncando con urlacci i mogherini.

 

Il Lonfo

Il Lonfo non vaterca né gluisce

e molto raramente barigatta,

ma quando soffia il bego a bisce bisce

sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna

arrafferia malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna

se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto

che bete e zugghia e fonca nei trombazzi

fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi

gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto

t’ alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

 

Via Veneto

Il Trònfero s’ammalvola in verbizie

incanticando sbèrboli giocaci,

sbramìna con solènnidi e vulpizie

tra i tavoli e gli ortèdoni fugaci.

Più raro più sinferbo più merconio

il Plòcrate dagli occhi a dragonetti

scocolla barcoluto e invereconio

all’ora dei morfegi e dei gorbetti.

Intorno convoltigiano le Sguince

allìcchere di giorcadi pornali

nel sole si smarmellano budrince

al neon s’affastigiano vetrali.

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