Sublimazione


Detesto dover mettere un titolo. Sbagliarlo può compromettere tutto il lavoro che c’è dietro ad un’opera, può vanificarlo. Se commetto quest’errore, respingo quei rarissimi avventurieri che si addentrano nella mia anima  molto coraggiosamente e che non hanno paura di vedere tutti i miei demoni, tutti i miei mostri e le mie chimere. Mi sono accorta di aver abusato della parola “mio/a”. Altro grandissimo sbaglio. Ma non posso farne a meno, perché è uno dei sintomi del mio morbo.

Non ho ancora parlato della mia malattia? Miracolo! Di solito è la prima cosa che dico. “Piacere di conoscerti, ho una strana forma di psicosi.”

Sono un poeta. Sì, appartengo alla più bassa categoria degli artisti. Non me ne vogliano i grandi della scrittura in versi, ma la considero davvero una malattia.

Perché? Cosa c’è di peggio di una persona bugiarda? Ecco, i poeti sono bugiardi. Raccontano di sentimenti più grandi di loro, di situazioni struggevoli dove tutti soffrono e sono contenti di soffrire. E il bello è che non esplicitano nemmeno ciò che vogliono dire, lasciano sempre un alone di mistero, di “libera interpretazione” del lettore. A che serve? Coloro che si accingono alla lettura non hanno bisogno di crearsi del caos nel proprio animo, non vogliono sentirsi raccontare delle favolette, non vogliono dover cercare i mille e uno significati dietro una singola parola che, probabilmente, nemmeno l’autore della lirica sa perché si trova in quel determinato punto.

Il fatto è questo: non sono i poeti che cercano la poesia, ma è lei a cercare loro. Noi siamo solo gli amplificatori di qualcosa che è già presente dentro, è un virus latente che usa le nostre penne per realizzare il proprio intento che è completamente oscuro al degente, insomma, allo scrittore.

Componiamo dei “capolavori” e nemmeno  ce ne rendiamo conto. Per noi è una tappa obbligatoria lo stare incatenati al proprio angolino preferito e scrivere, scrivere, scrivere. Nel mio caso, si tratta del Mondo, ma ci sono anche quelli che preferiscono rifugiarsi in Galassie lontane e perlopiù sconosciute, dove non devono sforzarsi di sembrare persone normali, dove non si pagano le tasse, dove sono i padroni di tutto e solo loro hanno la chiave per fare funzionare i cicli vitali della Natura.

Meglio gli scrittori di prosa: si chiede una cosa, ecco che vi è una risposta nitida, sicura, inconfutabile. O quasi.

Purtroppo, però, quella brutta malattia, la poesia, ha colpito anche me, e quindi sono costretta a comporre per non sentire i miei sentimenti stagnare dentro di me e avvelenarmi con le loro tossine. Tutto è in funzione di  me, sono io che sento, che percepisco. Scrivo, mi ripeto, per sentire meno male. Per affievolire il morbo. Come fanno le mamme quando appoggiano un panno imbevuto d’aceto sulla fronte dei bambini febbricitanti. Il problema è che quando appoggio la penna sui taccuini in cui appunto gli embrioni delle liriche, le sensazioni dilagano, i cerchi nell’acqua raddoppiano i diametri e io… io penso di capire come si possa sentire una madre durante il parto. Le ossa si spostano, qualcosa dentro le viscere si stacca, si allontana, si porta via parte di me, del mio sangue, della mia essenza. È un piccolo shock. Poi però mi sento molto più leggera e riesco quasi a sorridere.

pennino che scrive in corsivo su un foglio

(Credits:Samuel F. Johanns da Pixabay)

I medici non hanno ancora trovato una cura migliore dello scrivere per i malati affetti da poesia acuta.

Per variare sul tema e cercare da me un rimedio, mi sono appassionata alla fisica. Dopotutto, non è così lontana dalla poesia: per stimare calcoli e traiettorie, per studiare i fenomeni c’è il bisogno di ricreare sistemi ed ambienti perfetti, senza interferenze esterne. Si parla di situazioni ideali, perfette. E non ne esistono in natura.

Ma il linguaggio della fisica è fatto anche di numeri. Soprattutto di numeri. E di costanti. E di tante altre cose meravigliose e precise, non opinabili, ma che restano legate ai fenomeni naturali, a qualcosa di tangibile nella vita reale. Così il salto non è troppo largo e non rischio di cadere nel burrone. Perfetto, insomma, per guarire dalla poesia!

Un annetto fa mi imbattei in una parola fantastica su uno dei miei libri riguardanti la termodinamica, era una scheda di approfondimento sulle stagioni, mi pare. C’era una parola scritta in neretto. Una parola che non potei più dimenticare, che ancora oggi mi si ripercuote dentro generando sismi indescrivibili, se non  con la maledettissima poesia. Dodici lettere, un significato spettacolare. Si tratta della sublimazione, ovvero del passaggio diretto dallo stato solido a quello gassoso, impalpabile, senza un volume proprio.

Che bello, è la descrizione del transito dalla materia, dalla carne all’incorporeità, all’etere.

Un’altra cosa a cui mi sono appassionata è l’entropia, ovvero la misura del disordine dovuta alle trasformazioni che avvengono in ogni momento, senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Tutto meraviglioso, fino a che mi sono accorta di amare questi due argomenti solo perché mi ricordavano la poesia. Anzi, loro sono la poesia. La poesia rende immateriali tutte le cose tangibili, e aumenta il caos fino alla fine dell’Universo:  sconvolge, snatura.

Fatto sta che mi sono resa conto di non poter veramente guarire. Ma non mi sono lasciata vincere dalla disperazione, anzi, devo dire che ho imparato a conviverci abbastanza bene.

Per prima cosa ho provato a smorzare il peso dei miei versi avvolgendoli nella melodia, nella speranza di attutire gli urti con la mia anima o con le orecchie. Ho comprato un sassofono tenore e sto imparando a suonarlo. Perché proprio quello strumento? Perché non basta accarezzare la musica, non basta sfiorarla appena con le dita, o percuoterla, come avviene con gli archi, le percussioni. Ho bisogno di uno strumento che possa abbracciare, che funzioni grazie al mio soffio vitale.

Quindi ho iniziato a comporre musica a partire dalle mie parole, o meglio,dalle parole della mia poesia.

Devo ammettere che ogni tanto ho pensato di gettare la spugna durante la mia degenza:  un giorno mi sorse l’idea di avvicinarmi all’atarassia, quindi di allontanarmi completamente dalle passioni, agli istinti. Iniziai a fare arti marziali per imparare a controllarmi, insomma. Continuo tutt’ora a praticarle, ma pur avendo sei anni di allenamenti e diversi campionati vinti alle spalle, tutto ciò su cui riesco ad avere un po’ di egemonia sono i miei muscoli, e a volte nemmeno quelli. Un vantaggio, però, con l’insistere dei miei tentativi di guarigione l’ho ottenuto: ora riesco a scrivere anche in prosa. Questo mi richiede molto meno sforzo e un sollievo quasi pari a quello che mi procura il componimento in versi. Soddisfazione pura!

Ieri notte  mi è venuta un’altra idea pazza, l’ennesima: quegli avventurieri di cui parlo nelle prime righe non sono affatto al sicuro, soli, nel loro viaggio oscuro…

Non mi conosco completamente, ma abbastanza da garantire loro una permanenza quasi piacevole nel mio Mondo. Sarò la loro “guida”. Magari… magari parlandone liberamente potrò guarire dalla mia strana forma di psicosi, un po’ come fanno gli alcolisti anonimi.

Non resta che provare.

14 Comments

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  1. Michi

    Mi sono resa conto di amare le tue creazioni.
    Mi portano in un viaggio fra pensieri e congetture, un’ambiente ideale nel quale studiare l’approssimazione di quelli che sono i miei mostri.

    Io non so scrivere. Sono muta.
    Io osservo, ascolto e spero, un giorno, di trovare chi sappia ascoltare il silenzio.

    Questo è il mio curriculum vitae. Spero di essere una buona proselita.

  2. Sara Pasini

    Innanzitutto ti ringrazio di cuore, non sai quanto mi renda contenta il sapere che c’è qualcuno in questo vastissimo mondo di lettori a cui piacciano i miei scritti. In secondo luogo, ammetto che ora sto semplicemente ed egoisticamente facendomi pubblicità, proprio ieri è uscito in libreria il mio primo libro di novelle, intitolato “Non esistono i leoni neri” (ma lì non troverai le storie che scrivo per Dissonanze)edito dal Gruppo Albatros. E ora corro a leggere il curriculum. Grazie mille ancora e un sereno Anno Nuovo!

  3. Michi

    Io credo che tutti siamo capaci di ascoltare, ma semplicemente, tutto ciò che percepiamo, venga poi filtrato, manipolato, dai nostri pregiudizi.
    Ogn’uno di noi “sa” ascoltare, ma difficilmente intuire. Comprendere e non imitare, credo che sia questa la differenza.
    Io sono una ragazza arida che si nasconde in un cantuccio umido e tiepido come il Gatto che popola il mio cuore.
    Non ho la capacità di esprimermi, ma ho imparato ad ascoltare chi si confida con me, ho imparato a comprendere una persona dalle sue parole.
    Non ho il coraggio di muovermi, di alzarmi, ma ho imparato ad osservare il frenetico e triste mondo che mi circonda. Più lo guardo, più amo il mio dolce isolamento.
    Non merito i tuoi complimenti, perché manco nel più fantastico dono che ti viene concesso: una porta al cuore.
    Grazie a te, invece, di esprimere la vita, di descrivere l’animo. Una guida ai viandanti, agli “avventurieri” di questo mondo.
    Domani andrò alla ricerca del tuo libro, spero di trovarlo e non divorarlo con troppa avidità, come spesso mi capita.
    Non credevo di meritare co tanto interesse. Grazie del sorriso che mi hai concesso. Un germoglio nel deserto di questi ultimi mesi.
    Buone feste ;).

  4. Anonimo

    Ma io non merito queste meravigliose parole… Davvero! Sai quanto è intensa la luce di un sorriso? Non lo so nemmeno io, ma sono sicura che rischiarerà le nostre vite per molto, molto tempo. E comunque, non sempre si nasce con una “porta del cuore”: a volte bisogna costruirsela, bisogna aprire un varco. Fai un forellino, togli la chiave dalla serratura e dai uno sguardo dentro, dai uno sguardo fuori. Un passo alla volta… Uno dietro l’altro, così riusciremo a tirare fuori quello che sentiamo, quello che percepiamo. E stai sicura di una cosa: non intendo assolutamente fare appassire questo germoglio.

  5. Michi

    Da quel che hai scritto (Anonimo) dovresti essere Sara Pasini, non vorrei sbagliarmi.
    Per quanto riguarda la porta, proverò a fare uno spiraglio. Spero solo che non ne escano mostri invece di emozioni.
    Aspetto la prossima opera d’arte, la prossima creazione, il prossimo capitolo di questa giuda all’avventuriero.
    Intanto mi preparo per inoltrarmi nella foresta di edicole e librerie alla ricerca di “Non esistono leoni neri”. A dopo ;).
    Ps: io oltre al nome aggiungo sempre l’email, spero che almeno tu possa vederla.

  6. Sara Pasini

    Mi dispiace, ma questo sistema rende sempre invisibile l’email, io posso vedere solo il nick “Michi”. Di opere ce ne saranno i abbondanza, non ti preoccupare! 🙂

  7. Michi

    “Non dare il tuo contatto o dati personali a persone che non conosci, non comunicare con loro, bla, bla, bla”.
    Le raccomandazioni dei genitori, mai ascoltate. Per quanto tu sia distante e diversa da me, mi sembra di conoscerti da una vita. E allo stesso tempo di chattare con un’Idolo onniscente.
    Questa è la mia email “michi1396@hotmail.it”.
    Credo che tu ti aspetta il commento di persone che comprendano completamente i tuoi scritti, che sappiano identificarne i motivi e le mille sfaccettature.
    Personaggi + autorevoli di una stupida ragazina di 15 anni che capisce e apprezza, ama, le tue creazioni perché sanno esprimere quello che conosce e nasconde da tempo.
    Non voglio intasarti con i miei commenti ignoranti.

  8. Sara Pasini

    Ma figurati. E poi…dammi retta. I tuoi hanno ragione, te lo dico per esperienza personale. Io non sono di certo un Idolo (con la “I” maiuscola addirittura!!) e non so tutto. Io mi limito solo a restituire al mondo ciò che mi ha dato. Se assorbo dolore, restituisco dolore, se mi dà amore, i miei scritti grideranno amore… E una persona che ascolta non è mai ignorante!

  9. Michi

    Io credo che ha determinare cosa sia una persona siano le sue azioni e parole. Stare in un buco, muta, non fa di me intelligente.
    Una prigioniera che origlia gli altri ragazzi giocare sulla neve.
    Non credo di sbagliare dandoti la mia email, spero invece di imparare da te quanto sia bello stare in piedi.

  10. Silvio

    Ciao Sara piacere di conoscerti. Sono anche io un autore. Un mio caro amico di Poggio Berni, parente dei tuoi genitori, mi ha parlato di te e del tuo libro. Lo sto leggendo con molto interesse.
    Curo una rubrica poetica sul mensile d’informazione InValmarecchia, se mi invii qualche tua poesia sarò lieto di sceglierne una, insieme ai miei collaboratori, e metterla in scaletta per la pubblicazione.
    Cari saluti
    Biondi Silvio
    silsab@inwind.it

  11. Anonimo

    Gentilissimo Silvio,
    innanzitutto La ringrazio infinatemente per l’opportunità che mi ha offerto e provvederò subito a mandarLe qualcosa…
    Il libro l’ho scritto a quindici anni e per quanto sia ora se l’avessi fatto sarebbe molto diverso. Se tutto va bene dall’anno prossimo sarà pronta una versione ampliata,ma con un altro editore!
    Grazie ancora per l’incoraggiamento, a presto!

    Sara

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