Quattro chiacchiere con Sergio Gerasi – Intervista su L’Aida, l’arte e la tecnologia


Sergio Gerasi è un autore classe ’78, milanese doc, che da oltre 20 anni lavora nel mondo dei fumetti. Ama la musica ed è fondatore, batterista e autore di quasi tutti i testi della rock band 200 Bullets. Ha lavorato ai disegni per Star comics (Lazarus Ledd, Valter Buio) e Sergio Bonelli Editore (Dylan Dog) e ha pubblicato pregevoli graphic novel: per Renoir G&G (libro su Giorgio Gaber insieme a Davide Barzi) e Le tragifavole; per Bao Publishing In inverno le mie mani sapevano di mandarino, Un romantico a Milano e L’Aida.

Da L’Aida alla tecnologia – Intervista a Sergio Gerasi

Grazie alla disponibilità dell’autore, abbiamo fatto alcune domande a Sergio sulla sua ultima opera, L’Aida, che abbiamo recensito la settimana scorsa. I temi indagati nel fumetto spaziano dall’utilizzo della tecnologia ai rapporti personali, fino al ruolo dell’arte in una società consumistica e emotivamente atrofizzata.

Quale è stato lo spunto per costruire una storia come questa, in cui assistiamo a una critica vibrante del mondo del consumismo, dei social network e della società superficiale che è venuta a crearsi con l’epoca del digitale?

La copertina di L'Aida, graphic novel di Sergio Gerasi e oggetto della nostra intervista

Copertina di L’Aida, fulcro della nostra intervista a Sergio Gerasi (Credits: Bao Publishing)

Prima di tutto vorrei chiarire una cosa che mi sta molto a cuore: il libro non vuole essere nostalgico e non contiene una storia passatista, retrovisiva o reazionaria. La critica è rivolta all’utilizzo che facciamo di un mezzo incredibile quale è il digitale e internet nel suo ormai variegato e complesso mondo. Il mio sguardo è sempre sull’uomo come singolo e come collettività. In questo caso, anche digitale – una collettività ancora acerba e non alfabetizzata a quella che sarà una imprescindibile nuova parte di vita. Altro discorso sarebbe il consumismo, il mercato, la nostra dipendenza dalla finanza di cui (per la maggior parte di noi e forse anche per me) risulta un linguaggio alieno, che non puoi colpire perché non sai come si muove. E questo mi fa molto arrabbiare.

L’arte è un mezzo potente che il collettivo The Virus utilizza per risvegliare un inconscio collettivo sopito e perduto nella frivolezza del quotidiano. Credi che ogni tipo di arte, compreso il fumetto, abbia insito un aspetto oltre che d’intrattenimento, di educazione e stimolo alla riflessione?

Il fumetto è un linguaggio, così come il cinema, il teatro, la scrittura narrativa o poetica. Insomma, all’interno di questo ci può stare di tutto: la parte didattica ed educativa non mi interessa particolarmente, anche se trovo il fumetto molto adatto a questo scopo. Quello che più mi interessa quando realizzo libri miei è cercare di fornire più domande che risposte. Quindi sì, in questo senso il fumetto non è solo intrattenimento, ma come ogni forma artistica supera questo confine. E forse ha le potenzialità per superare anche molti altri e alti confini della narrazione artistica. Pensa solo a Maus, il primo che mi viene in mente.

La trasformazione di Aida coinvolge tutti i personaggi ai quali è legata, da sua madre ai suoi amici più stretti. Inizialmente sembra che il cambiamento sia impedito dal filtro dello schermo del telefonino: in un difficile periodo di forzato isolamento come quello che attraversiamo, quanto credi sia importante il contatto fisico con le altre persone?

Questo delicato momento di pandemia ci ha fatto capire quanto sia importante il contatto umano. Ma senza il digitale sarebbe stata molto, molto più dura. In sintesi (come dicevo anche prima) questo periodo ci ha fatto comprendere una volta di più – o avrebbe dovuto farlo – come il mondo che andremo a vivere sarà fatto di una congiunzione non più separabile tra vita reale e vita digitale. Non a caso cito il filosofo Luciano Floridi, il più grande pensatore in materia, colui che ha creato il neologismo onlife proprio per definire questa congiunzione. Questa realtà digitale non è il demonio: siamo noi che dovremo essere sempre più educati all’utilizzo di questo mezzo, renderlo etico, pulito e averne coscienza. Detto questo, non vedo l’ora di andare a mescolarmi alla folla sudata di un concerto.

In questa intervista Sergio Gerasi risponde alle nostre domande sulla sua ultima fatica. Eccone una scena

In questa intervista a Sergio Gerasi non potevamo tralasciare qualche domanda sul personaggio di Aida (Credits: Bao Publishing)

Il malessere di Aida è (oltre che esistenziale) fortemente fisico, e si riflette in una patologia tremenda come la bulimia. Lo straniamento che prova nei confronti della realtà la porta anche ad avere allucinazioni frequenti. Come ti è venuto in mente l’analogia con gli animali?

Quello è un espediente narrativo che mi ha permesso di suggerire al lettore i sentimenti, le sensazione e persino la malattia della protagonista senza l’utilizzo della parola. Ho descritto tutto solo con il disegno, senza mai dare un nome al disagio di Aida. Lasciando perdere lunghe descrizioni forse già sentite, ma facendo capire il tutto in maniera incisiva e vaga allo stesso tempo, per far capire ma per lasciare anche margine di interpretazione al lettore.

In certe tavole i ragazzi di The Virus sembrano quasi essere dei supereroi che sanno volare e compiono azioni straordinarie senza farsi scoprire: è merito dello spirito di ribellione che li anima?

Eh, eh! Sì, non ci avevo pensato, ma mi piace come chiave di lettura. Come vedi certi passaggi della storia non li prendo in considerazione, volutamente. Ci sono aspetti che voglio siano chiari, altri che mi piace lasciare in sospeso, come dicevo prima. Ho letto una recensione a questo mio libro (positiva ma non troppo) proprio su questo aspetto. Il recensore in questione metteva questo tra i lati non positivi o meno riusciti dell’opera. Io penso al contrario che, se non si capisce questo aspetto così evidente del mio modo di raccontare, non si capisce il senso più profondo di quello che scrivo.

Una scena di L'Aida, di Sergio Gerasi

In alto a destra, i ragazzi di The Virus sembrano quasi dei supereroi. Nella nostra intervista, Sergio Gerasi ci risponde anche su questo (Credits: Bao Publishing)

Quanto è realmente importante staccare la spina dal flusso continuo di informazioni e abbandonare le acque tumultuose dei social network per riscoprirsi vivi? È possibile una convivenza con la tecnologia e i social, senza un totale asservimento a questi strumenti?

Sì, come scrivevo prima una convivenza tra reale e digitale ormai è inevitabile. Per cui, in questo senso è necessaria una nuova cultura e una nuova educazione a tutto ciò. È necessario saperci vivere dentro, nella giusta maniera, ed è altrettanto necessario sapersi staccare per respirare una boccata d’aria. Sono certo che questo discorso tra due generazioni sembrerà medievale. Ma forse, guardandosi bene intorno, dal medioevo non siamo ancora usciti. Non tutti almeno.

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