Quello che voleva essere, un racconto di silenzi, scoperte e identità
Scegliere di recensire Quello che voleva essere non è stato semplice. Così come la scelta di Tunué di pubblicare questo graphic novel è stata coraggiosa. Il fumetto che ho avuto il piacere di leggere è un’opera complessa, che richiede tempo per essere metabolizzata e obbliga a pause riflessive per nulla scontate.
Carol Swain è un’autrice gallese attiva nel campo dei comics da circa 30 anni. In Italia non era ancora stato pubblicato nulla della Swain, mentre all’estero l’autrice si è fatta conoscere per le sue autoproduzioni come Way Out Strips e per il libro Foodboy. Lo stile della fumettista anglosassone mescola realismo, cinismo e alienazione.
La storia di Quello che voleva essere si concentra in gran parte sulle figure di Helen e di Emrys. La prima è una bambina che si è appena trasferita con la famiglia in un isolato villaggio del Galles, sembra non avere amici e passa le giornate a osservare la natura e disegnarla sul suo taccuino. Emrys è invece un «uccello raro» che si è appena suicidato, come afferma il nuovo vicino di casa di Helen.
Viene subito sintetizzata una formula di presenza/assenza dalle prime pagine: Helen, la protagonista, è sempre presente nel racconto, assume il ruolo di attore perennemente in scena, catalizzando l’attenzione del lettore. Dalla parte opposta s’impone l’assenza di Emrys, a tutti gli effetti coprotagonista della storia, mai realmente visibile.
Il suicidio di Emrys lascia un vuoto enorme nella vicenda, un abisso quasi tangibile nelle tavole di Quello che voleva essere. Nonostante questo, la mancanza di Emrys è sostanzialmente il motore della storia, la spinta che induce Helen a una ricerca senza un preciso scopo. L’anima di Emrys permea ogni pagina del racconto, sembra quasi di sentire i suoi occhi alle spalle del lettore.
Ad ogni passo che Helen compie per conoscere la personalità e i segreti del morto, ella stessa si immerge in una inconsapevole scoperta della propria identità. La giovane ha un carattere introverso, riflessivo e perspicace, una combinazione che ben si adatta all’osservazione della natura, suo passatempo preferito. L’indagine su Emrys, su come egli viveva, sul suo rapporto coi suoi animali domestici e con le poche persone che frequentava, divengono un’indagine sulla natura più criptica, quella umana.
Accanto al realismo a tratti spietato della narrazione, l’autrice inserisce in Quello che voleva essere elementi fantastici perfettamente calati nel quotidiano, tanto che paiono del tutto verosimili e per nulla impossibili. Si tratta della capacità di Helen di conversare con gli animali, che rappresentano i personaggi più saggi e più “umani” del fumetto. Le persone, compresi i genitori di Helen, sono infatti poco più che ombre, asettiche presenze che dimostrano meno empatia delle bestie.
I cani di Emrys chiamano la bambina gast – in gallese “cagna” – che è anche il titolo originale del graphic novel. È significativo come la Swain abbia voluto intitolare il suo libro con il termine con cui la chiamano i cani. Risulta chiaro come il punto di vista del regno animale sia più importante di quello umano in Quello che voleva essere. L’ariete Tup, altra creatura di enorme importanza, figura in veste di assennata guida, un quieto maestro di vita prodigo di sentenze come «l’unica ragione dell’infelicità dell’uomo è che non sa come rimanere tranquillo nella propria stanza.»
La scoperta della verità su Emrys – che non rivelerò per mantenere la suspense – non turba Helen, anzi ne amplifica la curiosità. Proseguendo la lettura si comprende sempre meglio il perché della rarità del suicida e la sua inesorabile voglia di solitudine. Il legame più stretto che Emrys costruisce in vita è certamente quello con la sua fattoria e coi suoi animali, un mondo che è seriamente in pericolo dopo la sua dipartita.
Quello che voleva essere è un fumetto riempito di silenzi e contraddistinto da sequenze dilatate, con ritmi lenti e scene statiche. L’osservazione della natura ha i suoi tempi d’attesa, necessita pazienza e costanza e questo rispecchiano le tavole della Swain, che sono senza didascalie e in gran parte prive di dialoghi. I paesaggi della campagna gallese sono movimentati dalla presenza degli uccelli, che incarnano spiriti liberi come in fondo sono i due protagonisti.
Le tavole, realizzate in un bianco e nero a tratti glaciale, sono caratterizzate da una regolarità asfissiante: nove vignette per pagina, senza alcuna eccezione. Lo schema che si ripete richiama l’eterno ciclo della natura, sempre vario ma in sostanza uguale a se stesso. E all’interno di una ripetitività inarrestabile, si colloca la presenza di Emrys, un uomo che voleva essere qualcos’altro e ha avuto la forza di andare contro corrente. Uno spirito solitario, che forse solo con l’ultimo addio è riuscito a raggiungere Quello che voleva essere.
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