Crawl space, il mondo psichedelico di Jesse Jacobs
Di solito le cantine sono luoghi umidi, sgradevoli e bui. E se invece in cantina ci fosse una lavatrice che nasconde un portale verso un mondo misterioso e affascinante? Questa è la bizzarra premessa da cui parte Crawl space di Jesse Jacobs, viaggio psichedelico nella variopinta dimensione sensoriale scoperta da una teenager nello scantinato di casa sua.
Jesse Jacobs è un fumettista canadese, già autore dei graphic novel E così conoscerai l’universo e gli dei (2017) e Safari honeymoon (2015). In questo nuovo lavoro – portato in Italia come i precedenti da Eris Edizioni – l’artista prova a raccontare l’inesprimibile, e per farlo sceglie di andare alle origini della raffigurazione. Forme e colori sono gli elementi base della sua narrazione, che sfugge qualunque schema ricomponendosi continuamente in forme nuove.
Il testo, comunque presente, guida il lettore all’interno di una trama che si rivela semplice, lineare, pienamente fruibile con immediatezza. Sono piuttosto le implicazioni simboliche degli eventi raccontati da Jacobs a stuzzicare la fantasia. Perché Crawl space si può interpretare in tanti modi in base alla propria sensibilità, e probabilmente nessuna chiave di lettura è migliore delle altre.
Protagoniste del racconto sono due ragazze: Daisy, che si è appena trasferita in città, e Jeanne-Claude, alla quale sceglie di mostrare per prima il misterioso portale della lavatrice. Nel susseguirsi cadenzato e ipnotico delle pagine iniziali, le due neo-amiche prendono graduale coscienza della nuova dimensione, sperimentando le differenti leggi fisiche e piscologiche che la governano.
Inizialmente si rimane spiazzati dalle tavole, strabiliati dal trionfo di colori quanto disorientati dalle peculiari forme in cui essi si combinano. Poi, insieme alle protagoniste, si comincia a capire come funziona la nuova dimensione, giusto un attimo prima di tornare al grigiore della realtà nello scantinato di Daisy.
Fin troppo facile attribuire il viaggio delle due amiche a qualche forma di allucinazione. Ma non è così, come dimostrano gli sviluppi inattesi e sorprendenti della vicenda. Tradendo la fiducia di Daisy, infatti, Jeanne-Claude non solo racconta del portale alle compagne di scuola, ma porta nella dimensione fisica uno dei coloratissimi e pacifici esseri provenienti da quella spirituale.
È il classico sassolino che origina la valanga: il segreto della lavatrice si diffonde tra i ragazzi della città, trasformando un luogo di raccoglimento e mistero in un parco giochi a buon mercato. Le creature che popolano l’altra dimensione non subiscono inermi questa situazione, ma mutano in risposta ad essa, assumendo al pari dell’ambiente un aspetto minaccioso e inquietante.
Senza svelare altro della trama per non rovinare il finale, è chiaro che ancora una volta, giunti a questo punto, si potrebbe banalizzare il significato di Crawl space interpretando “l’altra dimensione” come una qualsiasi sostanza psicotropa, in grado di regalare inizialmente emozioni e visioni celestiali salvo poi ritorcersi contro chi la utilizza al primo cenno di abuso.
Ma il significato dell’opera non può essere soltanto questo. Perché nell’architettura narrativa di Crawl space è possibile vedere, per esempio, un’efficace allegoria della psiche umana. Che in superficie ha un aspetto rassicurante – alberi e case perfettamente allineati, tutto esattamente come ci si aspetta che sia – ma piatto e monocolore (il “mondo reale” è raffigurato da Jacobs in bianco e nero).
Viceversa, scavare dentro sé stessi è più difficile: l’inconscio ha inizialmente l’aspetto di un luogo buio e inospitale, una profondità nella quale temiamo di spingerci (la cantina). Un luogo tuttavia che agli occhi di chi sa guardare rivela un mondo colorato e strabiliante, ricco di emozioni e sorprese. Almeno fino a quando smettiamo di ascoltarlo e di trattarlo con rispetto, lasciandoci dietro solo cocci e frantumi.
Questa, ne sono certo, è solo una delle interpretazioni possibili di Crawl space. Che ha tra i suoi pregi un’aura di mistero in parte insondabile, che rimane tale anche alla conclusione della lettura. Terminato il fumetto si ha come l’impressione di non aver colto tutte le tracce, che sotto la superficie rimangano da interpretare altri indizi disseminati dall’autore in un racconto a forte valenza simbolica.
D’istinto verrebbe voglia di rituffarsi nella lettura, magari accompagnati da una colonna sonora ugualmente evocativa e coinvolgente, per provare a risolvere l’enigma una volta per tutte. Invece si torna alle incombenze della vita quotidiana, a fare altro e pensare ad altro. Ma da qualche parte, nelle profondità di un mondo varipinto, continua ad aleggiare il mistero di Crawl space.
non è tanto una metafora di qualunque sostanza psicotropa ma, specificamente, degli psichedelici, che di per sé sono atossici se non curativi, ma se usati per scopi semplicemente ludici, o da persone non pronte, possono avere effetti negativi.
Ciao Tiari, grazie per il commento!
Mi hai scoperto: la mia conoscenza di sostanze stupefacenti e affini è molto limitata, non supera qualche reminiscenza universitaria.
Però resto convinto che “Crawl space” non si limiti a una metafora diretta, ma celi un’allegoria ben più profonda della nostra condizione… tu che ne pensi?