Kenshin Samurai Vagabondo


Il tema che la redazione fumetti ha scelto per il mese di settembre è l’ingiustizia. Ecco, pensare ad un manga che abbia come tema centrale l’ingiustizia è probabilmente come chiedersi a quale Oktober Fest avranno la birra: ovviamente tutti, in un modo o nell’altro. Quindi mi sono chiesta qual è il primo manga che mi venga in mente a farne un cavallo di battaglia e, tra le infinite possibilità, il primo a saltare davanti agli occhi è stato il mio manga preferito, benché di nicchia: Kenshin Samurai Vagabondo o Rurouni Kenshin, per gli appassionati.

Kenshin è un’opera che inizia ad avere i suoi anni, la sua prima pubblicazione giapponese risale al 1994 mentre approda in Italia nel 2001, per le edizioni Star Comics, e benché non abbia il successo planetario di altre opere riscuote comunque la sua schiera di ammiratori e si guadagna anche una ristampa in formato maxi un paio di anni fa.

La storia è ambientata all’inizio del periodo Meiji, circa metà 1800, il Giappone è uno stato diviso e tormentato dove chi ha il potere lo usa per prevaricare i più deboli, un paese ancora arcaico per certi versi, che ha da poco conosciuto le potenze occidentali e al confronto sembra quasi ancora fermo al medioevo. Kenshin è un Rurouni,  un samurai vagabondo ma di uno strano genere: rifiuta di sfoderare la propria spada, preferendo l’ignominia al ferire qualcuno; egli è infatti l’erede della scuola Hiten Mitsurugi, una tecnica di spada letale che durante l’ultima guerra ha messo al servizio della causa in cui credeva, diventando sin da ragazzino uno dei killer più spietati dell’intero Giappone, conosciuto ovunque come Battosai Himura. Finita la guerra, invece di prendere il posto che gli spetterebbe nella gloria del nuovo governo, preferisce sparire sulle strade polverose del suo amato paese, per cui ha versato tanto sangue, armato di una sakabato (ovvero una katana con la lama invertita), e fare del proprio meglio per riparare al dolore che sente di aver inflitto a tanta gente.

La sete di giustizia di Ken è proprio il motore di tutta la narrazione, dalla decisione di abbandonare il proprio maestro fino alla conclusione del manga, Kenshin fa sempre di tutto per proteggere i più deboli in un’epoca in cui nessuno si preoccupava di riparare alle ingiustizie. La cicatrice a forma di croce che ha sulla guancia è il simbolo delle ingiustizie che sente di aver commesso e solo quando essa si affievolirà abbastanza lui potrà tornare a vivere una vita serena con le persone che lo amano.

Questo manga è una pietra miliare per gli appassionati, il cui tratto evolve in maniera spettacolare nel corso della narrazione mantenendo sempre il proprio carattere distintivo: le scene d’azione sono sempre facili da seguire e divertenti, ricche di pathos senza diventare troppo cariche di dettagli che ne rovinerebbero il ritmo. Ad un certo punto, verso il finire del manga, l’autore Nobuhiro Watsuki disegna un certo Jolly Roger con un certo cappello di paglia su di una bomba, omaggio ad un suo allievo alla pubblicazione del suo primo manga: era il lontano 1997, ed in Giappone usciva il primo capitolo di One Piece.

Kenshin si può dividere in tre trame principali, molto ben delineate, in cui pian piano si alza il sipario sul tragico passato del protagonista, rendendo Ken uno dei personaggi più veri e tangibili che si possano leggere: benché sia chiaramente uno shonen, Kenshin Samurai Vagabondo ha una nota malinconica e chiaramente emotiva che lo rende trasversale, come tutte le opere ben scritte travalica il genere e si fa amare da ogni tipo di lettore. Kenshin parla infatti anche di donne forti, in un’epoca ed in un paese in cui il sesso femminile era davvero il sesso debole, ci presenta personaggi che, tutte in modo diverso, trovano la propria nicchia nel mondo e la propria voglia di combattere per ciò in cui credono, anche a rischio della vita. Il messaggio di questo manga è sempre positivo: il sapersi rialzare dopo le sconfitte e il saper riconoscere i propri torti sono ciò che rende Kenshin un personaggio da amare e riscoprire.

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