Goodbye Marilyn, intervista a Francesco Barilli


Goodbye Marilyn è il graphic novel che BeccoGiallo ha dedicato alla vita di Marilyn Monroe, per provare a scoprire la donna «sotto la buccia del mito». Nel corso di un tour in tutta Italia, giovedì 16 marzo il fumetto sarà presentato al Supercinema di Santarcangelo di Romagna (Rimini) nell’ambito della rassegna Votes for women! Per l’occasione abbiamo intervistato Francesco Barilli, autore della sceneggiatura di Goodbye Marilyn (disegnato da Roberta Sakka Sacchi). Ecco quello che ci ha raccontato.

Goodbye Marilyn: dettaglio della copertina

1) Una riflessione sui tempi: come mai proprio adesso una storia su Marilyn? E poi: che senso ha, dal tuo punto di vista, parlare di lei l’8 marzo presentando Goodbye Marilyn?

C’è un aneddoto che racconto nelle note del libro. Qualche anno fa mi capitò di vedere Marilyn Monroe in un breve servizio televisivo. Ero con mia figlia Stefania, aveva 8, forse 9 anni. Con gli occhi stupiti disse «Com’è bella quella ragazza! Chi è?».

Io e mia moglie rispondemmo che si trattava di un’attrice molto famosa, morta diversi anni prima. Ci sorprese che nostra figlia, inevitabilmente distante dai canoni estetici o dai “miti” degli anni ’60, fosse rimasta colpita dal fascino di Marilyn: forse la prova migliore di quanto quel fascino trascenda il tempo.

Un altro dato banale: io non sono certo un “giovane autore”, ma Marilyn è morta prima ancora che io nascessi: non appartiene neppure alla mia generazione, intendo. Eppure, anche quelli che magari non hanno mai visto un suo film, oggi la ricordano e la riconoscono facilmente: è un personaggio iconico, la cui importanza va al di là di quella che hanno avuto le pellicole da lei interpretate.

Goodbye MarilynLe motivazioni che fanno sopravvivere il mito sono complesse, e solo parzialmente connesse al suo fascino, alla sua bellezza. In gran parte, almeno a mio avviso, sono più collegate al particolare momento storico in cui è vissuta e ha lavorato, un periodo in cui la gente, dopo l’orrore della guerra, aveva voglia di tornare a sognare e poteva farlo, come accenno nel fumetto, «nel grandioso formato del Cinemascope e in Technicolor!».

Sono tutti discorsi molto interessanti. Ma, ti confesso, nel libro non m’interessava tanto “il mito”, quanto “la persona”. È la persona-Marilyn a restare stritolata dagli ingranaggi dello star system (nonché dalle sue fragilità congenite, certo). Il mito invece le sopravvive ancora oggi e continua a “fare cassa”… proprio per questo a me interessava raccontare (parafrasando il fumetto) «la donna desiderata da tutti, amata da pochi, compresa da nessuno… e che forse lei stessa aveva smarrito, ricoprendola con la buccia del mito».

Ecco, quella di Marilyn è la storia di una donna dal carisma unico, che si arrampica con coraggio e spregiudicatezza per arrivare alla vetta del successo, per precipitarne poi. Una storia, dunque, che ci parla di star system, di condizione femminile, di disagio esistenziale.

Credo siano tematiche attuali, di cui si può parlare proprio l’8 marzo, specie se si vuole uscire dagli schemi della celebrazione retorica. Anche per questo, nel fumetto ho immaginato una Marilyn viva e novantenne: come giudicherebbe lei stessa, ai giorni nostri, il proprio passato, dotata di quel pizzico di saggezza e distacco che l’età può regalare?

2) La fatina e il soldato che guidano la lettura di Goodbye Marilyn mi hanno ricordato gli spiriti del Canto di Natale di Dickens. Come sei arrivato a elaborare una sceneggiatura così particolare e diversa dai tuoi precedenti lavori per BeccoGiallo?

L’impegno civile ha sempre caratterizzato i miei lavori (così come l’attività dell’editore BeccoGiallo) per ferma convinzione, non certo per una scelta “di comodo o di moda”. Però sono, innanzitutto, uno scrittore, che cerca per ogni storia l’approccio narrativo più opportuno. È chiaro che la vicenda della sfortunata attrice americana è diversa da quella di Piazza Fontana, per fare un esempio banale.

Goodbye Marilyn: la performance in CoreaLa bimba/fatina che accompagna il lettore nelle scene più oniriche è uno spunto contenuto nella prefazione di Antonio Tabucchi a Fragments, curato da Stanley Buchthal e Bernard Comment. Ho dilatato l’intuizione dello scrittore, adattandola alle finalità del mio racconto.

Nelle mie ricerche di materiali sul web mi sono poi imbattuto nel blog di un certo Patrick Seitz, che raccoglie i ricordi del padre James, il quale prestava servizio in una stazione di aiuto medico dell’esercito americano durante la guerra in Corea. Marilyn raccontò in alcune interviste di quando, nel febbraio 1954, fu invitata proprio in Corea per intrattenere i soldati con una performance musicale: un’esperienza inconsueta, che l’emozionò particolarmente. L’aneddoto mi era istintivamente piaciuto, inoltre avevo bisogno di una figura “pragmatica” come contrappunto alla più eterea (e silenziosa) fatina delle scene oniriche.

In un certo senso mi sono immedesimato io stesso nella fata che assiste agli episodi biografici della Monroe, per frugare poi nella propria bisaccia alla ricerca di un frammento scritto dalla protagonista, adeguato a quel dato episodio. Purtroppo ne ho dovuto scartare diversi, perché non entravano nel canovaccio che avevo in mente.

3) Com’è stato il lavoro su Goodbye Marilyn con Roberta Sacchi? Come hanno interagito le sue immagini con la tua sceneggiatura?

Lavorare con Roberta mi è piaciuto molto. Di certo non ho scoperto io la sua abilità tecnica o la grazia espressiva del tratto… Mi ha sorpreso l’estrema intuitività con cui sa interpretare anche le suggestioni più vaghe contenute nei miei testi, riuscendo a tradurle in immagini che spesso sono un valore aggiunto rispetto alla sceneggiatura.Goodbye Marilyn: sulla spiaggia

Ho cercato di fornirle molto materiale iconografico… a questo proposito, è persino banale sottolineare che una semplice ricerca sul web consente di trovare migliaia di immagini della Monroe: si è trattato, quindi, di isolare quelle che più m’interessavano per la storia che avevo in mente.

All’interno della ricca biografia dell’attrice ho scelto episodi un po’ meno noti (oppure, di quelli noti, ho cercato qualche sfumatura “particolare”), ma che mi sembravano originali, curiosi, ricchi di potenzialità narrative. Ma ho lasciato poi a Roberta la massima libertà nell’elaborazione finale.

Io e Sakka collaboreremo ancora. Ho un paio di progetti, stavolta non biografici ma di pura fiction, seppure “impegnata”, che vorrei discutere con lei. A più breve termine, ho in mente un progetto su Van Gogh: un personaggio per certi versi accostabile proprio alla Monroe (e non alludo banalmente alle loro tragiche morti e alle tendenze autodistruttive che purtroppo coltivarono entrambi, ma all’analogia che vedo nelle loro tormentate esistenze e nelle fragilità psicologiche dei due personaggi). Un progetto su cui vedo adattissima Roberta, anche e non solo per le affinità che intravedo fra il progetto sullo sfortunato pittore e quello già realizzato su Marilyn. Ci stiamo già lavorando in queste settimane.

4) «Fragile e sottile come il volo di un colibrì: solo la cinepresa può fissarne la poesia» ha scritto Truman Capote a proposito di Marilyn. Quale film è riuscito a fissare meglio la sua poesia secondo te?

Guardare i suoi film oggi, aiuta a comprendere meglio il suo successo. Alcune pellicole possono sembrare datate e la recitazione di molti attori appare legnosa, per la nostra sensibilità attuale: per interpretare i ruoli di Marilyn, invece, ci vorrebbe semplicemente un’altra Marilyn. Che non esiste… questo spiega anche perché la Monroe sia stata negli anni costantemente imitata, ma ogni sua imitazione appare grottesca e poco credibile: è uno di quei casi in cui la matrice originale resta unica.

Goodbye Marilyn: Bus stopPoi, chiaro, la morte misteriosa e in giovane età, gli amori tormentati – quelli ufficiali come quelli “clandestini” – la biografia burrascosa che sembra un kolossal hollywoodiano… sono tutti elementi che hanno alimentato il mito post mortem.

Però, alla fine, si cade sempre nella solita dicotomia: Marilyn-persona e Marilyn-personaggio. Credo che la persona non emerga da nessun film. Forse, in parte (e paradossalmente) da una delle sue pellicole meno note: Bus stop del 1956, dove interpreta Cherie, ballerina in uno squallido night club che insegue con testardaggine i suoi sogni di successo… proprio come “la vera” Marilyn ha fatto con Hollywood.

5) La vicenda di Marilyn è paragonabile a quella di altri personaggi schiacciati dal peso dello star system, come Kurt Cobain? Che significato hanno oggi queste storie?

L’accostamento con Cobain è sicuramente pertinente. Cobain però sceglie il suicidio (mentre Marilyn, almeno a mio avviso, è stata vittima di un’overdose accidentale). Il punto è che anche il leader dei Nirvana fu schiantato dal peso dello star system e dal proprio disagio esistenziale.

Goodbye Marilyn: diamondsCome accennavo prima, vedo elementi in comune anche con Van Gogh… in generale, ritengo che la condizione esistenziale dell’individuo sia interessante se indagata nelle sue fragilità. Che ognuno di noi vive, subisce ed elabora a proprio modo.

È un campo molto complesso: non ho le competenze per trattarlo a fondo, ma una cosa è certa: la sofferenza dell’individuo sarà sempre un elemento forte, narrativamente parlando, e sempre attuale. Proprio perché, seppure declinato in mille modi diversi, parla a tutte le generazioni con lo stesso linguaggio. Il “peso del vivere” è una cosa che, prima o poi, tutti provano e non tutti superano (certamente non allo stesso modo).

+ Non ci sono commenti

Aggiungi