Fight Club 2 di Chuck Palahniuk: la prima regola è parlarne


Fight Club 2Nel 1996 veniva pubblicato Fight Club: un piccolo libro di culto underground, rimasto inizialmente e immeritatamente nell’ombra. Tre anni dopo un David Fincher in stato di grazia arruolava Brad Pitt e Edward Norton per trasporre quel testo su pellicola, ed il culto diveniva universale. Ora quello stesso scrittore, il Chuck Palahniuk che è tra i miei autori preferiti, sceglie di dare alla luce Fight Club 2, seguito di quel capolavoro, usando il tramite del fumetto. Un rischio calcolato?

Probabilmente sì, visto che Chuck lascia raramente qualcosa al caso. Ma quanto tale scelta si riveli positiva è da vedere. Palahniuk con Fight Club 2 vuole capire se ha ancora il controllo sulle sue creazioni divenute miti. Il marketing, il prodotto finale, tutto è pompato al massimo: se un sequel si deve fare, l’importante è parlarne, nel bene o nel male.

Fight Club 2All’inizio di Fight Club 2 troviamo il protagonista anonimo del romanzo in piena crisi di mezza età – la storia si svolge 10 anni dopo le vicende originarie – sposato con Marla Singer, padre di un figlio pericolosamente appassionato di chimica e schiavo di quel consumismo che tanto aveva disprezzato.

Sebastian, così si fa chiamare ora il nostro (anti)eroe, assume quotidianamente pillole per tenere a bada i suoi disturbi dissociativi della personalità e sua moglie non apprezza ciò che è diventato. Sembra di essere tornati all’incipit del libro: i riferimenti all’Ikea come modello di perfezione, i gruppi di sostegno per malattie terminali e gli esplosivi fabbricati artigianalmente. Troppi richiami che rischiano di infastidire il lettore.

Ben presto riappare la vulcanica figura di Tyler Durden, sedato dai farmaci per lungo tempo. Sembra determinato a spazzare via ciò che resta della personalità di Sebastian e Marla non ne è affatto dispiaciuta. Anzi, è proprio lei che afferma «Tyler… salvami da questa vita opaca e insipida.» Fight Club 2 sentenzia che il protagonista che conosciamo non può evitare l’apatia senza Tyler.Fight Club 2

Il progetto Caos/Mayhem si evolve in un nuovo apocalittico stadio, che prevede sacrifici e uso della violenza senza apparenti freni. Una ricostruzione della civiltà partendo da zero, recuperando i valori più puri che ci legano alla natura e all’arte, azzerando la dipendenza dal consumismo.

La trama di Fight Club 2 si snoda in una ricerca sempre più asfissiante di un Tyler determinato e sfuggente, che fa da contraltare a un Sebastian in palese affanno. L’ironia di questa caccia sta nel fatto che la preda non potrebbe essere più vicina al suo inseguitore.

Tyler va configurandosi pian piano come una sorta di morbo. Lo spiega bene il dottore che ha in cura Sebastian e che conosce bene la sua duplice personalità: «È un archetipo. Tyler funziona come una superstizione o un pregiudizio. Diventa parte della lente attraverso la quale tu guardi il mondo.»

Fight Club 2Purtroppo il filo della storia è spesso caotico, con elementi che sconfinano ampiamente in un grottesco, che è sì un punto cardine della narrazione di Chuck, ma qui pare forzato. E nell’opera non emerge mai davvero qualcosa di originale o sensazionale.

È evidente lo sforzo dell’autore di radicare il virus Tyler nel passato di Sebastian, con interessanti accenni alla scomparsa dei suoi genitori; così come vediamo il germe Durden espandersi nella vita presente, in particolare nel figlio del protagonista.

Fight Club 2Di più: Tyler esce quasi da Fight Club 2. Sulle pagine del libro sono disegnate pillole e petali di rosa, oggetti chiave della storia, che coprono parzialmente certe tavole. Questo mutamento della pagina in stato bidimensionale è un escamotage per fare irrompere la finzione nella realtà, per avvisarci che Tyler sta arrivando.

Del resto il concetto più interessante del testo è che le idee coltivano gli uomini, non viceversa. Un’idea, una volta sbocciata, vive di vita propria senza necessità di essere curata. Per questo anche l’intervento dello scrittore può essere superfluo se una storia contiene un’idea possente.

Sfruttando un classico esempio di meta-narrazione, Palahniuk stesso compare nel testo, impegnato con un gruppo di scrittura a concludere la narrazione di Fight Club 2, e la sua presenza sarà sempre maggiore col prosieguo della storia. Gli stessi fan del romanzo e del film irrompono nello svolgimento, con pretese da deus ex machina mettendo in seria difficoltà lo scrittore, in evidente crisi creativa.

Cameron Stewart, autore del magistrale Sin Titulo, usa le sue matite con garbo e realismo, senza eccedere nel pop, confezionando un prodotto molto cinematografico, ma poco sporco rispetto alle atmosfere di libro e film. Mi sarei aspettato un tratto più grezzo, frenetico, anziché questa linea precisa e quasi mainstream.

Fight Club 2Il finale è un tripudio di autocelebrazione e nonsense, ma anche la sconfitta definitiva di Palahniuk: se la domanda era «può uno scrittore controllare una storia divenuta mito?», la risposta di Chuck è un perentorio no. E forse Fight Club 2 è semplicemente un modo di ammettere che il sequel di un testo perfetto non può essere scritto.

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