Saga, la perla di Vaughan


La famiglia protagonista: Alana, Marko e la piccola HazelPartiamo da lontano: tra i tanti luoghi comuni che circondano il fumetto di stampo statunitense, sono due in particolare quelli più difficili da eliminare. Quello americano resterà sempre un fumetto fondato sulle botte spettacolari e che non è composto da Marvel e Dc: ci si può impegnare a spiegare, si può argomentare, si può mostrare, ma lo sforzo servirà solo a farti appiccicare l’etichetta di nerd (con vena negativa, ovviamente). Bella ricompensa, verrebbe quasi voglia di sorridere e annuire. Quasi.

Ecco, Saga è un pugilistico uppercut a entrambe queste leggende, perché si tratta di una storia in cui le botte sono molto rare (quasi mai esaltanti) e che proviene dalla Image, casa editrice che, come avevo accennato nel confronto incrociato Marvel/Dc,  in passato è riuscita solo per poco tempo a intaccare il duopolio delle due major, prima di venire travolta dalla cattiva reputazione seguita alla scarsa puntualità delle consegne e ai dissidi interni. Dopo un periodo di crisi seguito al grande entusiasmo iniziale la Image si è rialzata, si è tolta di dosso un po’ di polvere e ha ripreso il suo cammino fatto di innovazione e dinamismo, sfornando perle di rara bellezza. The Walkind Dead in primis ma, anche altre. Come, appunto, Saga.

Lei e lui sono due rappresentanti di fazioni opposte che si fanno la guerra da temporibus illis, si innamorano e decidono di fuggire di nascosto, dando nel frattempo alla luce una bambina. Fin qui nulla di strano si direbbe, la storia l’abbiamo già sentita sin dai miti greci e probabilmente la risentiremo ancora finché l’umanità sarà ancora in grado di creare personaggi e vicende. O forse no. Perché in effetti Saga ha molto di singolare, e anzi, per usare le parole di un Jovanotti d’antan, è un racconto “dove le regole non esistono, esistono solo le eccezioni”.

Breve riepilogo del bestiario che Brian K. Vaughan ha partorito (è proprio il caso di dirlo), coadiuvato dal tratto netto e diretto di Fiona Staples: Alana, madre della bambina, aliena originaria del pianeta Landfall, dotata di ali come tutti i suoi simili, dal carattere indomito e guerriero ma protettiva nei confronti di sua figlia e suo marito; Marko originario di Wreath, la luna di Landfall che è in conflitto contro il pianeta, è caratterizzato da corna, conosce incantesimi, più razionale della moglie ma ugualmente protettivo; Isabel, fantasma di un’adolescente che è legata magicamente all’anima della neonata e può creare illusioni; Klara, madre di Marko, diffidente, introversa e disincantata ma nonna (if you know what I mean); Il Volere, assassino a pagamento (con tanto di agente) alla ricerca dei due fuggitivi; Gatto Bugia, compagna di avventure de Il Volere in grado di percepire le menzogne di qualcuno e rivelarle tramite l’espressione “Bugia”; il principe Robot IV, che ha corpo e bisogni umanoidi ma testa a schermo televisivo; Upsher e Doff, due reporter gay originari di un pianeta che persegue gli omosessuali.

In trentadue numeri di infinita bellezza, con una narrazione vivida e un ritmo sempre tenuto elevato senza mai scadere in colpi di scena ininfluenti o vuoti, un’intimità pacifica e affettuosa del nucleo famigliare che fa da contraltare agli scenari di guerra esterni, Saga è stato in grado di trattare temi del mondo reale proiettandoli in un universo fittizio: dalla ribellione agli schemi preconcetti alla guerra su commissione, dalla genitorialità alla sopravvivenza economica in tempi difficili, dall’altruismo al connubio tra potere e organi di informazione. Forse è vero che il main plot è una storia già sentita. L’interpretazione di ambiente e personaggi, viceversa, sono profondamente originali.

Il Volere e Gatto BugiaNon è un caso che dietro a tutto ci sia la testa, prima ancora che la mano di Brian K. Vaughn. Che potrà non essere noto al grande pubblico come Stan Lee, Alan Moore o Frank Miller, ma resta una delle migliori menti fumettistiche degli ultimi vent’anni. Saga ha portato a casa tre Eisner di fila come Miglior Serie Continua, dal 2013 in qua, e a lui personalmente è valso due titoli consecutivi come Miglior Scrittore, ma non erano certo i primi: lo scrittore di Cleveland (come Bendis) aveva già trionfato nel 2005 per quattro lavori, tra l’altro equamente divisi tra Dc, ovvero Ex Machina (nulla a che vedere con il film uscito l’anno passato) e Y: L’Ultimo Uomo, e Marvel, Runaways e Ultimate X-Men.

Il fatto che negli ultimi tempi ci sia riuscito con un solo titolo, appunto Saga, per giunta di una casa che ha avuto diverse traversie, consacra Vaughan (semmai ce ne fosse bisogno) nell’olimpo dei più grandi di sempre. L’eloquio efficace che tocca il cuore del lettore e la sensibilità tutta particolare nel cogliere i sentimenti dell’animo umano, che siano adulti come i suoi X-Men e gli stessi Marko e Alana, o teenager come i protagonisti di Runaways. D’altra parte, nel saper unire sfere differenti (o persino antitetiche) pare essere un maestro: come non potrebbe, se in sede di presentazione Saga è stata definita una fusione tra Game of Thrones e Star Wars?

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