Capitano coraggioso – I tre giorni di Rogers


Captain-America-The-Winter-Soldier-Throwback-to-Old-School-Spy-Thriller-650x458Qualche settimana fa, sono andato a leggere le recensioni che l’anno scorso i siti specializzati avevano dedicato a Captain America: The Winter Soldier. Un film che mi aveva letteralmente entusiasmato, e il perché magari ve lo spiego dopo. Ero interessato ad avere un’opinione generale,  peraltro  confortato, dal parere di un sito umoristico specializzato in cinema d’azione che lo descriveva in toni se non euforici, quantomeno di stima. Così, mi sono buttato nel mare magnum di internet, contando che avrei trovato pareri simili o al massimo critiche costruttive. Già, proprio costruttive.

I soliti sospetti

Il risultato, l’avrete intuito, è stato tutt’altro. Un disastro, letteralmente. Il filo conduttore delle opinioni andava da “Classico film d’azione e intrattenimento e zero costrutto” a “La prova che la Marvel si è svenduta alle logiche del serial trascurando la qualità” fino ad arrivare al trito e ritrito “Il solito film dove gli Stati Uniti sono il mondo e gli altri non sono” e altre banalità più o meno assortite. Ora, dopo tale sfilza di giudizi, mi sono venute spontanee due considerazioni. La prima buonista: recensire film e recensire cinecomics sono due attività completamente diverse che richiedono mentalità altrettanto diverse, per cui è logico che chi analizza Interstellar o anche lo stesso Skyfall magari sia più sbrigativo e tenda ad affidarsi a degli stereotipi, sempre che questa possa essere una giustificazione. La considerazione “cattivista”, invece, sostiene che questa una giustificazione non la è, e che se io fan Marvel (o DC, quando anche questo cineuniverso sarà decollato del tutto) devo vedere brutalizzato da te, sul tuo sito che magari è anche piuttosto seguito, un film di cui fai enorme fatica a cogliere le logiche affidandoti a luoghi comuni, beh caro, forse è meglio che la prossima volta o ti sforzi di capirle o dichiari apertamente che è un genere che non consideri degno di nota e lo recensisci così. O ti dai alla critica della Pimpa, che magari fai anche meno danni.

Tutta questa lunga ma doverosa premessa era per far capire che nell’esaminare i cinecomics è necessario un livello di cura particolare, prima di tutto perché nascono da un medium, il fumetto, che ha dinamiche e linguaggi particolarissimi. Di fatto, questa è di una tipologia di pellicole ibrida, che a sua volta ha dato origine a vari tweener (i più famosi dei quali tutti li avete in mente, il regista inizia per “N” e finisce con “olan”). In casa Marvel, si sa, i generi esplorati sono sempre stati vari (diffidate di chi dice il contrario!), anche se declinati in fase prettamente superomistica: dal fantasy di Thor allo spiritistico del Dottor Strange, dal fantascientifico di Iron Man ed Ant – Man alle guerre stellari di Nova, fino allo spionaggio dello S.H.I.E.L.D. e Capitan America. Ecco, lo spionaggio di Capitan America.

Le serie dedicate a questo genere nella storia della Casa delle Idee sono varie, e non tutte hanno preso di mira i nazisti brutti e cattivi, i comunisti brutti e cattivi, o gli jihadisti brutti e cattivi. Basti pensare alla saga immortale denominata L’impero segreto, dove il filo rosso delle indagini svolte dalla Leggenda Vivente portava dritto dritto a Washington, a un senatore (mai svelato) del Parlamento Americano, in un’epoca in cui gli americani per primi non si riconoscevano più nelle azioni del proprio governo. Con questo ciclo la Marvel toccava già negli anni ’70 un tema scottante, ben prima che arrivassero cattedratici autori britannici a ricordare agli americani che negli Stati Uniti c’era del marcio. Ma potremmo citare anche Guerra Segreta (2005), che vide Fury attaccare la reggente di un paese straniero, reclutando un gruppo di supereroi a cui dopo fu opportunamente cancellata la memoria circa questo episodio. Oltre a essere parte integrante della rivoluzione Marvel di quegli anni (da Vendicatori divisi ad Assedio), questo crossover fu fondamentale anche per il proprio significato: alzi la mano, infatti, chi non ha riconosciuto in questa trama la guerra lampo di Bush in Iraq. Potremmo andare avanti ancora, fino magari al 2014 con la saga Il chiodo di ferro, dove Steve Rogers perde le proprie capacità extraumane a causa di un ex agente S.H.I.E.L.D. che ritorce contro all’agenzia le armi pesanti che ha costruito per la (teorica) protezione dell’umanità. Tema centrale anche in Captain America: The Winter Soldier, non a caso contemporaneo a quest’ultimo story arc.

The war at home 

“Ma non volevi parlarci del film?”. Sì, e adesso ci arrivo.  Chiarisco, però: non starò qui a raccontare lo sviluppo, le azioni salienti, perché spero che lo abbiate già fatto o che  troverete piacevole farlo dopo che avrete trovato interessanti i due o te indizi che avrò seminato. Così come non vi racconterò della saga fumettistica da cui il film trae il nome, per lo stesso motivo di prima e perché non ho ancora avuto occasione di leggerla, e come sapete credo nel  verificare le cose, prima di parlarne. Il fatto che sia di quel maestro di Ed Brubaker mi spinge a ipotizzare che sia valida.

L’intenzione, con questo articolo, non è descrivere il “com’è” e il “ di cosa si tratta” ma comprendere il “come ci si è arrivati”, visto che si occupa di temi particolarmente sentiti in casa Marvel. Il papiro del primo paragrafo serviva proprio a tale scopo: a introdurre il contesto ci muoviamo (e a far capire ai molto competenti colleghi della sezione del cinema che non gli sto pestando i piedi). Un contesto nel quale vediamo il protagonista del film, Steve Rogers, alle prese con la sua vita nel nuovo millennio. È stato ghiacciato per settan’anni (non per diciotto come l’originale fumettistico) e si ritrova in un mondo che non capisce a fondo, che cerca di interpretare con quello che ha a 02_brinquedos_novosdisposizione ma che ancora gli sfugge. Trova comodo internet, si dedica jogging nel parco, libera navi assaltate dai pirati, fa insomma quello che deve fare, ma capisce che questa non è la sua realtà. E l’unica persona con cui può confessarsi è l’amata Peggy, ormai anziana e malata d’Alzheimer, che ha vissuto il tempo che lui ha perso. Mentre Fury, a cui contesta le decisioni che questa generazione prende per la protezione della gente, gli rinfaccia quelle della sua. Quanto le prime si rivelino controproducenti, è storia raccontata dal film. La folle corsa agli armamenti, il deterrente militare da “io ho il cannone più grosso”, il senso di responsabilità di un uomo contro la dissennatezza e la mancanza di attenzione e lungimiranza di un’intera classe dirigente (Fury compreso). Alla faccia degli statunitensi che cercano di uscirne sempre da vincitori, qui sono loro i primi a considerarsi sconfitti, i primi ad ammettere che le cose sono sfuggite di mano. E no, cari criticoni, se ci fate caso gli obbiettivi sensibili puntati dall’Helicarrier non sono solo negli USA, ma in tutto il mondo. Così, tanto per chiarire.

The Winter Soldier, però, non è solo questo. È anche un film di spionaggio di altissimo livello, vidimato dalla presenza di un’autentica star nel ruolo come Robert Redford, dove l’avversario è chiaro fin da subito ma ha tentacoli e risorse dappertutto, e dunque è difficile da estirpare. È un film politico, paradossalmente più politico dei tre dedicati ad Iron Man, che mette più di un dito nelle piaghe di un sistema che ha criticato a posteriori ha criticato la guerra preventiva ma che comunque meglio sempre averla l’arma in casa che non si sa mai. È un film dai toni pessimistici, dove gli errori che hanno portato ad  Avengers vengono ripetuti e la cui portata è amplificata, dato che appunto lo S.H.I.E.L.D. stavolta il nemico se lo è cresciuto in casa. Toni tanto pessimistici che non è un azzardo metterlo sullo stesso piano del Cavaliere Oscuro, e non sembri una bestemmia perché l’idea mi è spuntata leggendo questa buffissima vignetta di Leo Ortolani. È un film che parla di fiducia: in chi ti circonda, nel sistema che ti governa, nel tuo vicino di casa (letteralmente, dato che quella di Rogers è un agente sotto copertura che lo sorveglia per volontà di Fury). È un film, infine, che non si nega qualche momento di ironico umorismo o qualche gustosa citazione, come quella della Vedova Nera di Wargames o il “The path of the righteous man…” sulla falsa tomba di Fury (e spero che tutti abbiate capito il riferimento…).

Ah, ed è un film con po’ di sane botte: credo di non essermi mai esaltato così tanto come la scena della scazzottata in ascensore.

Ho spoilerato a chi non l’ha visto? Pazienza, vorrà dire che ho seminato qualche stuzzicante indizio. Ho scritto in prima persona? La contingenza richiedeva l’esperienza diretta del narratore (salviamoci così…). Per il resto, come sempre conta il greater good della Marvel.

 

 

 

+ Non ci sono commenti

Aggiungi