Avatar – La via dell’acqua – James Cameron mette alla prova tutto e tutti


L’altra sera, durante le (abbondanti) tre ore di film, pensavo che Avatar – La via dell’acqua si prestava perfettamente a parlarne come a un progetto in grado di mettere alla prova tantissime categorie “umane” diverse.

Come sono arrivato a parlare di Avatar – La via dell’acqua

A un’ipotetica riunione di avataristi anonimi, la mia presentazione ai nuovi sarebbe sempre la stessa: “Ciao, mi chiamo Giovanni e sono 13 anni che difendo a spada tratta Avatar”.

Non nascondo che quando nel 2009 uscì il primo Avatar mi schierai da subito tra quelli che lo ritenevano uno dei film più belli mai visti.
Personaggi che catturavano subito, un mondo fantastico di bellezza indicibile, per un film così universale da segnare record d’incasso stratosferici ed entrare nel cuore di moltissimi fan.

Sicuramente la storia era molto canonica, canzonata per essere una rivisitazione spaziale di Pocahontas, ma era proprio quello che a mio giudizio rendeva il film un mix perfetto e efficace.

Chi non avrebbe voluto essere un sinuoso “gattone” blu alto tre metri in grado di gesta acrobatiche incredibili? Vabbè, magari solo io che di acrobatico ho solo la costruzione delle frasi.

Perché Avatar – La via dell’acqua mette alla prova tutto e tutti

Se per i protagonisti in scena l’essere messi alla prova nelle varie avventure è parte integrante del mezzo cinematografico, che richiede conflitti, obbiettivi, tradimenti e successi, Avatar – La via dell’acqua riesce a mettere alla prova anche spettatori, critici e gli stessi artisti chiamati a realizzarlo.

Ma scendiamo più nei dettagli!

I personaggi messi alla prova

Avatar – La via dell’acqua riprende praticamente da dove eravamo rimasti.

Si concede un cappello introduttivo per tirare le fila di quanto successo negli anni trascorsi a cavallo dei due film e ci racconta della famiglia allargata di Jake e Neytiri, tra figli propri e adozioni più o meno volute.

Tutto degenererà, ovviamente, in seguito al ritorno degli invasori umani su Pandora al comando del redivivo clone Na’vi del colonnello Quaritch, in cerca di vendetta e della testa di Jake Sully. I nostri saranno costretti a fuggire lontano dalla loro casa per distogliere l’attenzione dalla loro tribù e sceglieranno i popoli acquatici come nuova famiglia – ma anche come luogo dove ricostruire la loro vita e quella della loro stirpe, lontani dagli umani sempre avidi di preziose risorse naturali.

L'arrivo di Jake e famiglia nella nuova tribù

Jake e famiglia, in fuga dai terrestri si rifugiano presso le tribù del mare (Credits: 20th Century Studios)

Senza andare troppo nel dettaglio, sostanzialmente il punto centrale è sempre quello dell’accettazione del “diverso” in un nuovo contesto sociale. Solo che in questo capitolo si applicherà a tutta la famiglia invece che solo a Jake.

Dove nel primo film il nostro eroe cercava di introdursi nel clan sotto mentite spoglie, in questo abbiamo il percorso di crescita e inclusione dei suoi figli, costretti in una situazione che non hanno voluto e forzati a adattarsi a una vita totalmente differente, in un ambiente a cui sono fisiologicamente estranei.

Il pubblico messo alla prova

Una delle sfide più grandi sostenute da James Cameron durante questi tredici anni (un’eternità per un sequel campione di incassi), potrebbe non essere stata la ricerca di un progresso tecnologico – che c’è stata, ed è stata di una complessità inaudita. Probabilmente la vera sfida è stata trovare un modo per “fidelizzare” nuovamente quel pubblico che una dozzina di anni prima aveva decretato una vittoria talmente totale della sua visione.

Perché in questo lasso di tempo sicuramente ci sono stati fedeli seguaci sempre pronti a sostenere l’operato del regista e fare fronte comune contro le critiche più comuni  – la maggior parte legittime – ma altresì ci saranno state tantissime persone che semplicemente si sono allontanate da questo scintillante, dettagliatissimo mondo alieno.

Una delle figlie di Jake in uno dei primi contatti con il mondo sommerso

Tuk, la figlia più piccola di Jake e Neytiri (Credits: 20th Century Studios)

Ecco quindi che questa scommessa rischiosissima da parte di James Cameron (si parla di 350 milioni di dollari solo di produzione) non è solo una sfida per lui, ma per il pubblico stesso!

Pubblico che deve superare la prova di appassionarsi nuovamente a questa dimensione fantastica e naturale. Pubblico che deve lasciarsi trascinare dentro il flusso della storia e dimenticare della propria routine grigia di ufficio, traffico e vita mondana. Il tutto per tornare a quel liberatorio e selvaggio mondo primitivo, ma assai più empatico e comunicativo, che è Pandora.

Metterci alla prova con un mezzo-remake

Per fare ciò James Cameron è costretto a una scelta rischiosa e facilmente criticabile: girare un mezzo remake del primo film. Certo: le ambientazioni, i protagonisti, le azioni e i conflitti hanno delle variazioni sul tema; ma la struttura molto basica – incentrata su reietti, gruppo familiare, alieni invasori e famiglia – è lì, precisa precisa.

Possiamo vederlo come un difetto nel senso che la tanto declamata evoluzione contenutistica è rimandata al terzo capitolo, possiamo vederlo come un segno di precisa aderenza al world building, con annessi e connessi che comporta. Poca innovazione sullo sviluppo di trama e personaggi, ma al contempo una netta aderenza a quel mondo che ci ha emozionato la prima volta e necessariamente ci emozionerà anche questa.

Sostanzialmente noi pubblico siamo messi alla prova dal dipanarsi di questo intreccio. Nel senso che dobbiamo capire se siamo in grado di accettare questo assunto di base, conviverci e goderci lo spettacolo visivo, o se per contro lo vediamo come un ostacolo da cui essere delusi e di conseguenza refrattari a quanto mostrato.

Come ci raccontava il nostro buon Marco Frongia in questo articolo del 2021, non tutti lo attendono con impazienza. Anzi!

Come Avatar – La via dell’acqua ha messo alla prova i 3D artist

James Cameron è sempre stato famoso per spingere l’asticella sempre più in alto nelle sfide tecniche sostenute nei suoi film.

Il primo Avatar è ancora oggi un film in grado di reggere più che degnamente il confronto con tanti suoi concorrenti – anche più recenti e moderni. James Cameron, grazie allo sconfinato potere decisionale accumulato negli anni di carriera e di successi commerciali, può decidere lui stesso i tempi di sviluppo e release delle sue pellicole. Una garanzia che, a tempi di attesa e pazienza richiesti alle case produttrici, lui risponderà sempre con progetti in grado di sbancare i botteghini.

Avatar – La via dell’acqua è semplicemente il più colossale dispiego di (perfetta) arte visiva digitale che il cinema abbia mai prodotto.

Jake a cavallo di una creatura marina da battaglia In Avatar - La via dell'acqua

Assistiamo ai primi esperimenti di Jake a cavallo di una maestosa creatura marina (Credits: 20th Century Studios)

Se già la giungla del primo film era tecnologicamente un incubo di fogliame e illuminazione volumetrica, fiamme e giochi di luce-ombra, il secondo film esagera e si basa interamente su una delle cose più complesse da ricreare in digitale: l’acqua.

Come l’acqua ha messo alla prova gli artisti visivi

I fluidi nel cinema digitale non ragionano per animazioni: possono solo essere simulati con potentissimi processori e infiniti calcoli e programmazione che restituiscano il loro movimento naturale.

Senza andare troppo nei tecnicismi (magari riserveremo un articolo apposito), tutta l’acqua che “esplode” in goccioline, schiuma, onde e schizzi è frutto di miliardi di singole particelle 3D. Particelle virtuali gestite da software specificatamente sviluppati per occuparsi di quello, che le aggregano seguendo fisica e ostacoli virtuali per garantire una reazione verosimile.

Uno dei figli di Jake in contatto con la creatura con cui ha socializzato in Avatar - La via dell'acqua

Lo’ak il figlio ribelle di Jake, socializza con una gigantesca creatura (Credits: 20th Century Studios)

Il fatto che un film di tre ore si giochi tutta la durata a stretto contatto con una sfida tecnica simile e mantenga il livello (assurdo) di dettaglio che vediamo in scena è un qualcosa che non vedremo nuovamente. Almeno fino al prossimo sequel della saga.

Se questo non fosse abbastanza, il film comunque gestisce tutti gli altri aspetti di animazione 3D in una maniera che ormai è puro fotorealismo. Tutto sembra avere una consistenza in scena, tutto sembra tangibile e avere un suo peso specifico.

L’importanza dello “strafare”

Con un occhio abbastanza allenato all’animazione 3D si notano un sacco di piccoli dettagli che risultano “necessari”. Li si nota solo quando si entra nella mentalità che tutto quello che vediamo in scena ha la precisa funzione di restituirci un ambiente vivo e tangibile.

Un esempio: a un certo punto del film si vede una spiaggia con una barchetta ormeggiata su cui si infrangono le onde. Quella barchetta nel film non comparirà mai più e non avrà nessun utilizzo ai fini della storia. È lì perché ha senso che in un villaggio acquatico sia presente, ma per simulare anche solo quella scena di 5 secondi saranno andati via centinaia di migliaia di dollari in tecnologia e ore di lavoro di un nutrito team di artisti!

Avatar – La via dell’acqua è così: puro spettacolo visivo atto a trascinarci dentro il racconto, nella maniera più “immersiva” (doppio senso voluto, visto il soggetto del film) possibile.

Mettere alla prova chi giudica un film simile

Mi sono tenuto questo aspetto per ultimo, volutamente per traghettare l’articolo verso le conclusioni. Da appassionato di cinema fantastico in ogni sua forma sono molto combattuto da Avatar – La via dell’acqua.

La parte emotiva – quella che si emoziona per una creatura immaginaria che salta fuori dall’acqua o per Na’vi che imparano a nuotare o volano a cavallo di sinuosi animali marini – non potrà mai bocciare un progetto simile. Mai.

Il grafico 3D che è in me (tra studio, sperimentazioni e alcuni piccoli lavori realizzati) nemmeno. Troppa ammirazione per i migliori artisti del mondo tutti riuniti sotto un fronte comune per regalarci un’esperienza cinematografica incontenibile e appagante. Lavori simili vanno ammirati, studiati e premiati, non si scappa.

Per ultima però c’è la parte più critica e meno accomodante, quella che per tredici anni ha difeso a spada tratta il primo episodio. Quella parte che si opponeva alle critiche al grido di battaglia di:

“Eh, la storia lo ammetto è molto basilare, ma perché è necessario all’introdurci dentro il mondo alieno, dobbiamo poterci focalizzare sul messaggio ambientalista, contro lo strapotere colonialista bla bla bla, etc etc etc. Aspettate di vedere cosa succederà nel seguito, aspettate!”

Quaritch clonato nel corpo di un avatar

Il redivivo colonnello Quaritch clonato in un corpo Na’vi (Credits: 20th Century Studios)

Cazzate.

In cuor mio mentivo a me stesso. Dopo un incasso di (quasi) 3 miliardi di dollari e un’attesa simile, c’era l’elevatissima possibilità che mi ritrovassi davanti un’altra storia molto basilare prima di arrivare al vero “succo” nei film successivi.

L’evoluzione della trama viene rimandata ancora

Purtroppo è successo.

Per quanto sia sempre una storia molto fluida e piacevole, non possiamo non essere vagamente delusi da come questo secondo episodio sostanzialmente si muova molto poco in avanti dai fasti del primo. Ripropone molti snodi già visti e sostanzialmente non è che un modestissimo avanzamento, un bellissimo “riassuntone”.

Per me rimane una promozione comunque chiara e cristallina. Voglio dare il beneficio del dubbio a James Cameron, forse costretto a un’operazione simile per tirare nuovamente dentro tutti gli spettatori in vista di uscite future molto più ravvicinate. Sicuramente non ci andrò più leggero se anche i prossimi fossero così belli, ma anche così poco “coraggiosi”.

Obbligatoria la visione in sala nel miglior cinema che la vostra zona vi permetta.

Come sempre vi lascio con una breve introduzione ai dietro le quinte del film e nello specifico all’evoluzione della tecnologia del motion capture. (video in inglese e, SPOILER ALERT, qualche scena è delle fasi avanzate del film!)

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