Bury your gays – Il trope narrativo in cui non vissero per sempre felici e contenti


Bury your gays (Seppellisci i tuoi gay) è un trope narrativo: uno schema, un modello che viene più e più volte utilizzato e riattualizzato nel processo creativo di scrittura di una storia o più storie. È dunque un topos: un ambiente narrativo in cui si ritorna sempre per attingere e creare seguendo la sua particolare architettura.

Bury your gays è un archetipo narrativo che ha più di cent’anni di vita e nel corso di questi ha mutato la sua ragione d’essere.

Ma cosa significa? Scopriamolo, ripercorrendone la storia.

Bury your gays – Le origini del trope narrativo

Il contesto socio culturale in cui nasce e si sviluppa il concetto di Bury your gays è l’epoca vittoriana e i suoi strascichi oltreoceano. Nelle società angloamericane di allora vigevano stringenti leggi morali e giuridiche che condannavano l’omosessualità come atto d’indecenza morale e devianza patologica – l’omosessualità sarà ritenuta una malattia mentale dall’Organizzazione mondiale della sanità addirittura fino al 17 maggio 1990.

“Seppellisci i tuoi gay” matura all’interno di un ambiente fortemente omobitransfobico.

Inizialmente è un approccio creativo che vari autori e autrici queer utilizzano per arginare le possibili censure e poter scrivere e raccontare le loro storie.

Seppellisci i tuoi gay – Cosa significava

Nell’impossibilità di donare una rappresentazione positiva all’amore non eteronormato (la conseguenza poteva essere una possibile incarcerazione e l’annientamento della propria carriera nella scrittura e nell’editoria) nasceva la scappatoia narrativa di Bury your gays.

Quel bacio tra Willow e Tara in Buffy, preludio a un Bury your gays della nostra adolescenza

Quel bacio tra Willow e Tara in Buffy, preludio a un Bury your gays della nostra adolescenza (Credits: Wb)

Il trope consisteva nella rappresentazione di una coppia dello stesso sesso che dopo un breve idillio di felicità si trovava a fronteggiare il trauma della perdita dell’amato o dell’amata. Solitamente questa rimozione avveniva con la morte di uno dei componenti della coppia o con l’internamento in manicomio.

Qualche esempio di Bury your gays

Se l’amore rappresentato era tra due donne, vi era la concreta possibilità che quella sopravvissuta al trauma si sposasse con un uomo e rinnegasse di aver mai provato amore per la persona scomparsa. È la storia di March e Banford ne La volpe di D.H. Lawrence: le due gestiscono una fattoria assieme, e dopo la morte accidentale sotto un albero di Jill Bandford, Ellen March sposa l’uomo che le stava aiutando a tagliare quell’albero.

Bury your gays: un esempio il ritratto di dorian gray

Bury your gays, un esempio letterario: Il ritratto di Dorian Gray

Un altro esempio del Bury your gays delle origini è Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Qui abbiamo addirittura la morte-suicidio del protagonista dopo che lui stesso ha ammazzato il suo amante. Il punire l’omosessualità con la morte dei sui personaggi servì a ben poco a Oscar Wilde, che a cinque anni dall’uscita del libro fu condannato per sodomia proprio utilizzando alcuni passaggi del suo romanzo.

Morì tre anni dopo la sua scarcerazione.

Bury your gays al cinema

Erano altri tempi, direte voi.

Non proprio: le stesse dinamiche narrative si ripresentarono anche sotto la censura del rigidissimo codice Hays in quella che viene definita l’epoca d’oro di Hollywood; anche qui – a metà del Novecento – i pochi personaggi e le poche storie Lgbtq+ che riuscivano a essere rappresentate sul grande schermo erano soggette all’archetipo narrativo in antitesi al vissero per sempre felici e contenti.

E questo continuò anche dopo che il codice di condotta dei produttori venne abolito, nel 1967. In quell’anno, il codice Hays viene sostituito con il sistema di rating per fasce d’età del pubblico.

bury your gays, un esempio al cinema: Philadelphia

Bury your gays, un esempio al cinema: Philadelphia

Ulteriore aggiunta al Bury your gays era rimarcare la sofferenza sul grande schermo.

Abbiamo tutti presente cosa succede in Philadephia, del 1993. La cosa peculiare di questa pellicola è che parla di una coppia gay e di come questa affronta la tragedia della morte lenta e dolorosa di uno dei due partner per Aids; ma il centro di tutto il film è il lento declino, la sofferenza individuale di un uomo che sta scomparendo.

In Philadelphia l’amore tra i due uomini è solo raccontato in passaggi secondari. Non è mai visibile. Antonio Banderas e Tom Hanks non si baciano mai, ma subiscono l’inesorabile destino della perdita e della morte.

E in tv?

Anche qui ci ritroviamo nella cosiddetta Golden age della serialità televisiva.

Nonostante ci sia un graduale e lento cambiamento verso una rappresentatività più inclusiva, inconsciamente o consciamente le writing room di chi scrive per la televisione ancora faticano a non replicare le dinamiche del trope Bury your gays.

Basti pensare a questo articolo di qualche settimana fa che faceva una breve panoramica su alcune storie d’amore Lgbtq+ apparse sul piccolo schermo: delle sette lì riportate, almeno tre sono finite con la morte di una delle persone in questione. E un’altra è una storia intrisa di sofferenza e dolore.

Qualche esempio tratto dal nostro articolo sulle storie d’amore Lgbtq+ nelle serie

Tara in Buffy muore uccisa da un proiettile vagante dopo essersi finalmente riconciliata con l’amore della sua vita: Willow.

Root in Person of Interest muore per mano di un cecchino, dopo aver fatto una delle più belle dichiarazioni d’amore a Shaw.

Ianto muore in Torchwood quando finalmente lui e Jack hanno trovato un loro equilibrio.

Kwame in I may destroy you deve passare l’inferno per poter finalmente approcciarsi a un altro essere umano e chiedere un abbraccio.

bury your gays e non vissero per sempre felici e contenti

(Credits: Elisa Tomasi)

Inspiegabilmente, senza evidenti questioni di censura e/o di possibili ripercussioni legali, continuiamo a ripercorrere un archetipo narrativo nato per queste esigenze più di cent’anni fa.

Sul piccolo schermo e altrove, replichiamo queste dinamiche di rappresentazione stereotipata di sofferenza, dolore e punizione quando raccontiamo alcune storie d’amore e alcuni personaggi.

Rappresentanza vs. rappresentazione

Cambiamenti dell’immaginario con cui ci vediamo e rappresentiamo sono sempre molto lenti e faticosi. Per fortuna, però, sono anche inesorabili.

E infatti si iniziano a intravedere narrazioni che non marginalizzano certe storie in una sola sfera del sentire umano – in questo caso, di sofferenza e perdita.

Più si riduce la scarsità di rappresentazione, più diamo spazio al nostro immaginario di ampliarsi e accogliere sempre nuove storie con sempre più sfumature.

È per questo che è fondamentale che dalla mera rappresentanza e visibilità di chi prima era messo ai margini si passi alla rappresentazione: cioè al processo narrativo del raccontare e farsi narrare le loro storie sempre in maniera differente, sempre in un modo nuovo.

Arricchendoci.

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