Nomadland – Chloé Zhao e il significato di una casa


Finalmente nelle sale (ma anche su Disney+ dal 30 aprile scorso), Nomadland è uno di quei film che segna la storia del cinema. Non solo per l’esecuzione tecnica, ma soprattutto per il messaggio di denuncia sociale che porta con sé.

Dopo un anno passato nella sicurezza delle nostre case, un film del genere può destabilizzare un po’.

Nomadland è ambientato tra il 2008, con la grande crisi economica che ha colpito tutto il mondo, e il 2016. Non ha, quindi, affrontato le gravi conseguenze di una pandemia mondiale su chi non possiede una dimora fissa né tutele sanitarie e socioassistenziali.

Guardare questa pellicola su un divano lascia un sentimento ambivalente: gratitudine per il tetto sopra la nostra testa e spinta all’avventura. Desiderio di esplorare e vivere esperienze uniche (come i gusci di rondine nel fiume) ma anche la preziosità delle radici. Capiamo l’importanza di un sistema di previdenza sociale. Capiamo che si lavora per vivere e che non si può vivere solo per lavorare. Quanto vale avere un nido?

C’è spazio nel mio van per altre statuette?

Nomadland è stato candidato a sei premi Oscar, aggiudicandosene tre: miglior film e miglior regia per Chloé Zhao, che puntava anche a miglior sceneggiatura e miglior montaggio; e terza statuetta come migliore attrice protagonista per Frances McDormand.

Chloé Zhao e i meritatissimi Oscar vinti con il suo film

Chloé Zhao e i meritatissimi Oscar vinti con Nomadland (Credits: profilo ufficiale di Variety su Twitter)

Ai Golden Globes, Nomadland ha ottenuto i premi per miglior film drammatico e miglior regista. Ha trionfato con il Leone d’oro e anche ai Bafta è andato alla grande. Chloé Zhao ha lasciato il segno anche nella storia delle premiazioni, come donna e come membro di una minoranza etnica.

Il film ci regala una fotografia sconfinata come i paesaggi raccontati. Ci accompagna con lentezza solenne nella desolazione. La colonna sonora di Ludovico Einaudi lascia lo spazio all’ascolto delle sensazioni trasmesse. Non è un film che vi consiglio di guardare se non vi sentite pronti a perdere un po’ le radici, come i personaggi.

Frances McDormand da Ebbing, Missouri a Nomadland

Da Fargo (Joel Coen, 1996) a This must be the place (Paolo Sorrentino, 2011), da Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Martin McDonagh, 2017) a Nomadland: Frances McDormand è ormai nell’Olimpo delle grandi attrici della nostra generazione. Le sue doti attoriali sono crude, aspre ma forti e reali.

Forse perché, ha dichiarato, non accetta ruoli che rientrano in stereotipi e preferisce usare i personaggi che interpreta in favore della sua militanza. McDormand è una fiera attivista per i diritti sociali, a partire dalla parità di genere a cui ha dedicato un suo emozionante discorso agli Oscar.

Se in Tre manifesti a Ebbing, Missouri McDormand interpretava una madre forte e arrabbiata in divisa da idraulico e bandana, in Nomadland diventa una donna sola negli sconfinati Stati Uniti d’America, con vestiti anonimi e sciatti.

Ma la forza che i suoi personaggi trasmettono è equiparabile, così come anche la condivisione di dolore e smarrimento. Non penso sinceramente che ci sia un’altra attrice nel panorama attuale che sia in grado di interpretare un ruolo come quello di Fern.

Se volete conoscerla meglio, è stata protagonista di un episodio di Morgana, il podcast di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri sulle donne fuori dagli schemi.

Nomadland: sopravvivere nell’America del XXI secolo

Il personaggio di McDormand, Fern, vive in un van e campa di lavoretti saltuari e stagionali, perché richiedere la pensione – quella che in America si chiama social security – non le avrebbe consentito di sostenersi. La media di questa sovvenzione per un sessantenne si aggira intorno ai mille dollari al mese, ovvero circa 800 euro. Un segnale molto chiaro, in questo film, è proprio rivolto alla mancanza di tutele sociali da parte dello Stato.

Il film ha tempi di racconto molto lenti, perfetti per interiorizzare il contesto sociale che racconta, ma anche per stimolare ricerche e approfondimenti sulla situazione.

Secondo i dati del censimento del 2015, negli Stati Uniti una donna over 50 su sei vive da sola in povertà, il doppio rispetto agli uomini (2.71 milioni di donne contro 1.49 milioni di uomini). A causa del gender pay gap, che si estende anche al pensionamento, le donne ricevono 340 dollari (circa 280 dollari) in meno nella pensione per contributi inferiori e probabilità più alte di interrompere la carriera per maternità o necessità di cura per gli anziani. 

Il libro di Jessica Bruder

La storia raccontata in Nomadland non è certo finzione: si tratta di un adattamento narrativo del libro di Jessica Bruder Nomadland: surviving America in the Twenty-First Century.

In questo saggio, la giornalista statunitense racconta la sua inchiesta sul fenomeno degli americani più anziani che, dopo la Grande recessione del 2008, si sono trovati a non potersi più permettere una vita sedentaria. Gli stipendi non consentivano le spese di una casa e, comunque, il lavoro non si trova. Migliaia di persone sono costrette a spostarsi a seconda della stagione. Diventano nomadi.

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(Credits: Highwayman Films)

Al giorno d’oggi, l’autrice del saggio stima 100mila persone che vivono in Nomadland. Il realismo dell’inchiesta e delle interviste di Jessica Bruder sono magistralmente trasposti nella pellicola: gli stessi nomadi presenti nel film sono in gran parte veri nomadi, che interpretano versioni romanzate di se stessi.

Empire, Nevada: una città fantasma

Il film si sviluppa intorno ad un evento ben preciso: con la crisi del 2008, chiude la cava di gesso di Empire, Nevada.

Empire è una di quelle città “artificiali”, una “company town”, dove tutto è di proprietà della compagnia che gestisce il luogo di lavoro attorno a cui si crea il centro abitato. Ma quando la recessione colpisce la US Gypsum, proprietaria di tutto ciò che esiste in città, gli abitanti sono costretti ad andarsene. La città si svuota e lo zipcode viene “abbandonato”. Empire è una città fantasma.

Le cose cambiano solo nel 2016, quando Empire torna ad avere un zipcode e US Gypsum vende città e miniera alla Empire Mining Company. I lavoratori ritornano ad abitare Empire, ma la città resta un’ombra, contando 65 abitanti e con il centro più abitato a ore di macchina.

Nomadland, Amazon e quella scena di Capodanno

Un elemento chiave per comprendere il problema lavorativo raccontato nel film è l’appuntamento annuale intorno alle feste natalizie nel CamperForce di Amazon.

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(Credits: profilo ufficiale di Nomadland su Twitter)

Vediamo un intero campo destinato ad accogliere i camper e i van dei lavoratori di età avanzata che lavorano per l’e-commerce più potente del mondo. Ma questo impiego è stagionale, precario e, vista la loro età, con gravi rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro. La scena di Frances McDormand che festeggia Capodanno da sola, in un campeggio, con il suo cerchietto festoso, arriva come un pugno. Una tagliente ma silenziosa denuncia contro il sistema lavorativo e di welfare degli Stati Uniti, che abbandona molti cittadini a una vita di insicurezza.

Nomadland è stato girato in cinque Stati e 19 città e il cast ha viaggiato per quasi 12mila chilometri nel cuore degli Stati Uniti, secondo i tweet del canale ufficiale della produzione.

Il tatuaggio confederato e e i segnali del malessere americano

Fargo in Minnesota, Tre manifesti a Ebbing, Missouri in, appunto, Missouri, Nomadland tra il Nevada e gli Stati dell’America più occidentale. Frances McDormand interpreta magistralmente personaggi lontani dalle luci di New York e dal glamour di Los Angeles.

Fern ci porta nell’America vera che abbiamo imparato a conoscere solo attraverso avvenimenti politici. Il sistema americano non tutela queste persone e il loro malcontento si è manifestato potente dal 2016 in avanti, con l’elezione di Donald Trump.

Trump ha fatto leva proprio su queste categorie dimenticate, sulla loro rabbia e sul loro stile di vita basato su un modello capitalistico non sostenibile. Tra i nomadi incontrati nel film, molti di loro mostrano segnali dell’evoluzione politica del Paese: uno di loro mostra con orgoglio il tatuaggio della bandiera confederata.

La stessa che abbiamo incontrato nell’assalto a Capitol Hill dello scorso gennaio.

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