La regina degli scacchi – Una favola glam di Netflix


La regina degli scacchi è il titolo scelto da Netflix Italia per promuovere una produzione originale della piattaforma streaming: The Queen’s Gambit. La trasposizione italiana del titolo purtroppo fa perdere una delle sfumature di senso centrali della titolazione originale: the queen’s gambit è il gambetto di donna, una delle più classiche aperture del gioco degli scacchi.

La bellezza del giocare il gambetto di donna è nello sfidare apertamente il proprio avversario potenzialmente sacrificando un proprio pedone. Il bianco apre al centro la propria difesa e come seconda mossa decide di sfidare il pedone nero, in posizione diametralmente opposta alla suo primo pezzo, affiancando a quest’ultimo un altro pedone. Il nero è quello che ha la facoltà di scegliere se accettare o rifiutare la sfida, andando o meno a mangiare il pedone bianco offerto sul piatto sacrificale. Accettare la sfida però porta il nero a spostare la sua difesa da centrale a laterale, lasciando scoperta la donna: la Regina.

Il gambetto di donna - o The queen's gambit, come il titolo originale di La regina degli scacchi

Il gambetto di donna – o The queen’s gambit, come il titolo originale di La regina degli scacchi (Credits: Chess)

La regina degli scacchi nasce dunque come una provocazione, una dichiarazione di intenti che sta già nel suo titolo originario. La miniserie di Netflix si compone di sette episodi che sono tratti dal libro omonimo di Walter Tevis, uscito nel 1983, in un mondo ancora polarizzato dalle tensioni della Guerra fredda.

La Guerra fredda in 64 caselle

La regina degli scacchi è nell’intento dell’autore anche una trasposizione romanzata dei grandi tornei di scacchi che hanno catalizzato nel loro gioco le tensioni di un’epoca. In particolar modo le avvincenti sfide tra grandi maestri della scacchiera che hanno riportato in quelle 64 caselle due visioni del mondo diametralmente opposte. Lo scontro tra il capitalismo statunitense e il comunismo sovietico trovava esemplare manifestazione in un gioco che vede schierate due armate.

Non per niente quello tra Boris Spassky e Bobby Fischer viene definito l’incontro del secolo e il perché ce lo aveva ben spiegato Filippo Urbini in questo articolo uscito su Discorsivo qualche annetto fa. L’avvento di Bobby Fischer sulla “scacchiera” internazionale portò, sul finire degli anni Sessanta, la fine dell’egemonia sovietica in quel campo, nel quale erano rimasti imbattuti da più di quarant’anni.

La regina degli scacchi è una visione magnetica

Us Open molto glam in La regina degli scacchi

Una scena di La regina degli scacchi (Credits: Netflix)

La regina degli scacchi ha del Bobby Fischer dentro di sé. Nel senso in cui la protagonista della serie, Beth Harmon, è un’enfant prodige della scacchiera che si ritroverà nella sua parabola a sfidare l’egemonia russa nel gioco di cui è maestra.

Beth Harmon è interpretata da una magnetica Anya Taylor-Joy (già vista in Split) che con la sua superba performance rende al personaggio una complessità affascinante, in grado di far tenere gli occhi incollati allo schermo per tutte le sette ore di visione che servono per finire la serie.

A questo magnetismo della serie contribuiscono la fotografia, la musica ed essenzialmente la perfetta ricostruzione scenica di questo period drama anni Sessanta. Il design, i costumi, il make up e le acconciature sono un esercizio di stile pari all’eleganza di The Crown, solo che qui il tutto è declinato allo sfavillante glamour di quegli anni.

Un inizio un po’ dickensiano

La storia è quella di un’orfana che nell’istituto in cui è stata confinata scopre il suo talento per il gioco degli scacchi. Il luogo della scoperta è lo scantinato del tuttofare, che nelle ore di pausa dal suo lavoro si intrattiene con una scacchiera. Il signor Shaibel sarà una figura di riferimento per l’intera esistenza della ragazza.

La regina degli scacchi scena vasca da bagno

La regina degli scacchi si allena persino nella vasca da bagno (Credits: Netflix)

Sopravvissuta a un’infanzia traumatica, Beth viene infine adottata da un’infelice coppia della piccola borghesia statunitense. Il padre adottivo ben presto sparisce dalla scena, lasciando la ragazza e la madre a intessere un rapporto di codipendenza.

Beth e Alma (Marielle Heller) si ritrovano a coesistere in un legame fatto di dipendenze da alcol, pillole e vincite dei tornei a cui la ragazza prodigio partecipa. Il loro rapporto è una via di fuga per entrambe dalle loro esistenze: madre e figlia si stringono a se stesse nelle loro solitudini per affrontare un mondo che non gira mai nella loro direzione. Prima dell’apice Beth toccherà il fondo della bottiglia. Solo allora l’ormai donna riuscirà a vincere la partita della vita.

La morale della favola di La regina degli scacchi

La regina degli scacchi è una parabola ascendente con punte che virano verso il basso prima di arrivare al vertice, punto che viene toccato solamente con il ribaltamento dell’american way of life. Qui il mito del self made man (o meglio woman) viene rielaborato in un gioco di lavoro di squadra.

L’ambientazione nel pieno della guerra fredda che porta allo scontrarsi di due visioni del mondo, nell’assetto glam della serie, si riappacifica come sfarzo di colori contrastanti che stanno bene riuniti. Beth Harmon è la storia di una self made woman ma che può uscire dalla sua solitudine e riuscire nella sua carriera solo quando è disposta a chiedere aiuto e riceverlo. La sua partecipazione al torneo internazionale a Mosca è il risultato di un lavoro di squadra non di un atto individualista.

La regina degli scacchi è un period drama particolare, che attinge dalla cronaca storica, ma non immette nella trama personaggi storici. Questo unito alla maniacale attenzione del dettaglio visivo della messa in scena rende la serie una sorta di fiaba che narra di una bambina, divenuta donna, che ha conquistato il suo mondo.

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