Lettere d’amore ai grandi film – Fight club


FIGHT CLUB, 1999. TM and Copyright (c) 20th Century Fox Film Corp. All rights reserved.

(Credits: 20th Century Fox; rielaborazione: Hdwallpaper.nu)

“Prima regola del Fight club: non parlate mai del Fight club.
Seconda regola del Fight club: non dovete parlare
mai del Fight club”

Se mi ritrovo oggi a infrangere queste due importanti regole non è del tutto colpa mia, bensì dell’epidemia del famigerato Coronavirus.

Avrei voluto parlare di una pellicola appena vista in sala ma purtroppo anche il mondo del cinema sta risentendo parecchio di questa situazione e le uscite di quasi tutti i film sono state posticipate di molto.

Al momento attuale non ci resta allora che rifugiarci in casa e razziare i nostri servizi streaming preferiti.

Può essere anche l’occasione per ripassare alcuni grandi film che abbiamo amato alla follia.

Edward Norton e il coaching di Brad Pitt in una scena di Fight Club

Edward Norton e il coaching di Brad Pitt in una scena di Fight Club (Credits: 20th Century Fox)

Nel caso di Fight club il termine follia non è inappropriato. L’ho scelto perché ha poco più di vent’anni e mostra bene come la crisi di certezze possa mettere in moto psicosi e inaspettate conseguenze.

Avrei potuto riguardarmi Contagion di Steven Soderbergh ma adesso mi ritroverei anch’io ad alimentare l’allarmismo. Quindi siate un minimo grati che non lo abbia fatto, sedetevi placidi come vacche indù e parliamo di Fight club!

Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk – un autore che ci ha in seguito abituato a visioni sempre più dark e sarcastiche – il film di David Fincher struttura e traduce in immagini il mondo sovversivo, nichilista, violento e maschilista del libro.

Edward Norton è eccezionale nel ritrarre tutte le bassezze dell’uomo medio moderno, solitario e depresso, che per ritrovare sè stesso ha bisogno dapprima di cercare le attenzioni di chi prova dolore reale – come i malati terminali dei gruppi di supporto in cui si infiltra – e poi di distruggere la sua routine di averi, lavoro e persino la sua identità

E lo fa inventando i Fight club, ovvero gruppi clandestini di uomini frustrati che, facendo a botte selvaggiamente in scantinati o ai bordi della strada, si liberano dallo stress.

Non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo né la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale. La nostra grande depressione è la nostra vita

“Non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo né la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale. La nostra grande depressione è la nostra vita” (Credits: 20th Century Fox)

La cosa poi sfuggirà di mano, creando un involontario culto della persona che sfocerà in un vero e proprio piano di distruzione su larga scala delle istituzioni economiche contemporanee.

Il percorso di autodistruzione e rinascita del personaggio di Edward Norton è accompagnato a ogni passo da Tyler Durden, interpretato da un Brad Pitt splendidamente sopra le righe, una specie di guru che tra un cazzotto e l’altro dispensa massime come “ciò che possiedi alla fine finisce per possederti”.

A complicare le cose però si inserisce una donna, la supercinica Marla Singer che ci ha fatto scoprire il talento schizzato di Helena Bonham Carter: Marla è oggetto di odio e amore da parte dei protagonisti e finisce per mettersi in mezzo a ogni loro piano.

Edward Norton è un attore sorprendente, anche se negli anni recenti si è un po’ perso per strada. Il suo periodo d’oro risale alla fine degli anni Novanta e all’inizio dei Duemila con interpretazioni sempre al limite come quella in American history X, La 25ma ora e, appunto, Fight club.

Questa immagine di Brad Pitt/Tyler Durden durante un combattimento è entrata nell'immaginario collettivo

Questa immagine di Brad Pitt/Tyler Durden durante un combattimento è entrata nell’immaginario collettivo (Credits: 20th Century Fox)

La sua bravura disturbata, per assurdo, mette in ombra la potente caratterizzazione di Brad Pitt.

Un ruolo cult – quello di Tyler Durden – che verrà poi rivalutato in seguito, alla maniera di quello de L’esercito delle 12 scimmie, e per C’era una volta a Hollywood quest’anno  è stato finalmente premiato con un meritatissimo Oscar.

Anche sul personaggio della Carter, l’unico femminile in questo universo di testosterone, diradato il fumo delle sue onnipresenti sigarette troviamo una riflessione psicologica più profonda sul ruolo della donna nella vita del maschio di fine millennio.

Visto la prima volta (specie se in età giovanissima) Fight club è una pellicola esplosiva come nitroglicerina fatta in casa e le sue frasi al vetriolo, che vengono direttamente dalle pagine di Palahniuk, ti rimangono dentro come se anche tu avessi un Tyler a suggerirti idee sovversive.

Durante le visioni successive, superato lo stupore per il colpo di scena rivelatore  (non so se ha ancora senso parlare di spoiler dopo più di 20 anni, ma se qualcuno non lo avesse ancora visto non intendo rovinargli la visione) , il nostro critico cinematografico interiore si concentra sugli aspetti psicologici e psicoanalitici della trama, di certo più sorprendenti del controverso messaggio superficiale.

Voce: "Entra nella caverna e trova il tuo animale guida.." Marla:

Voce: “Entra nella caverna e trova il tuo animale guida..” Marla:

Un po’ come I soliti sospetti , è uno di quei film che devi guardare più volte per capire davvero cosa sta avvenendo su più livelli.

Fight club è anche una delle migliori prove di storytelling di un grande regista come David Fincher – che all’epoca amavamo già per film come Seven, sempre con Brad Pitt, e The Game con Michael Douglas – e che da allora si è poi affermato come uno dei migliori cineasti e produttori dei nostri tempi.

Fight club è tecnicamente ineccepibile: il modo in cui il regista costruisce e poi sovverte le regole del racconto ha sicuramente fatto scuola.

Ripensandoci, la caustica narrazione in voice over del politico Frank Underwood nella serie House of cardsche Fincher ha prodotto almeno fino ad un certo punto – è figlia della maniera in cui la voce di Norton ci guida attraverso le efferate insensatezze di Fight club.

Quanti lo hanno fatto, da allora, di raccontarci una trama in soggettiva servendosi di continui flashback e flashforward?

Questo linguaggio cinematografico ha fatto breccia anche nell’intrattenimento tratto dai fumetti come i recenti, e alla loro maniera violenti, Deadpool e Birds of prey.

Chiaramente Fight club è anche la fonte d’ispirazione principale per la serie Tv Mr. Robot di Sam Esmail, con Rami Malek e Christian Slater, sia in termini di rivoluzione che di schizofrenia.

Qualcuno nel 1999 potrebbe essere rimasto interdetto dalla visione di un film del genere, ma il feroce ammonimento di Palahniuk, tradotto in maniera deflagrante sullo schermo da Fincher, deve dribblare eventuali moralismi. Non mi soffermerei più di tanto sulla superficialità dei pestaggi liberatori e consenzienti tra i protagonisti: nei venti anni successivi ci siamo purtroppo abituati a livelli ben più preoccupanti di violenza e manifesta stupidità.

La distruzione come via d’uscita dalla noia e dalla depressione, per piacere! E’ chiaramente uno scherzo, qualcosa da non prendere alla lettera!

C’è chi lo ha anche definito sottilmente fascista, nel senso dell’affidarsi all’uomo forte per sovvertire l’attuale ordine sociale sbagliato.

Probabilmente è una chiave di lettura altrettanto valida, anche se personalmente credo gli autori abbiano voluto indicare un messaggio più criptico e intelligente di questo: mi è sempre parso come una critica al capitalismo moderno, alla società del consumismo che spinge l’individuo a desiderare cose che non gli servono.

Rivedendolo oggi, cosa vi resta dentro di questo gran bel film?

 

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