Recensione – Logan


Un film di James Mangold, con Hugh Jackman, Patrick Stewart, Boyd Holbrook, Stephen Merchant, Dafne Keen, Richard E. Grant

« La natura mi ha reso un mostro, l’uomo mi ha trasformato in un’arma e Dio mi ha fatto durare troppo a lungo » James “Logan” Howlett

Dimenticatevi gli X-Men, gli effetti speciali e le scene apocalittiche dei cinecomics più potenti: “Logan”, cioè l’ultima corsa di Hugh Jackman nel ruolo iconico di Wolverine, è tutto un altro film.

Uscito un po’ così all’improvviso, senza troppo clamore o anticipazioni ossessive, questo misto di western e road-movie travestito da film di supereroi finalmente riscatta la figura del protagonista dopo due episodi “in solitaria” mediocri, per non dire proprio bruttini.

Ironicamente, il più solitario e schivo dei mutanti buoni ha sempre funzionato di più all’interno di una squadra che individualmente, come già visto nel debutto in “X-Men” del 2000, fino al più recente “Giorni di un Futuro Passato” del 2014, entrambi diretti da Bryan Singer, e a mio avviso le due pellicole in cui il personaggio è stato reso al meglio prima di questo “Logan”, perché dotato di un proprio scopo all’interno di un meccanismo narrativo.

Lasciato solo a vagare attraverso le epoche, il nostro antieroe invece si perde un po’: il primo film a lui interamente dedicato uscito nel 2009, non a caso intitolato “X-Men le Origini: Wolverine”, è stato un malcelato passo falso, perché, dopo un inizio molto promettente, la trama si arenava di colpo e il regista Gavin Hood, evidentemente a disagio in una superproduzione, dovette far ricorso ad un’indigestione di effetti speciali digitali e scene d’azione esplosive per sopperire ai buchi di sceneggiatura.

Per correre ai ripari, Marvel e 20th Century Fox abbandonarono il progetto di un film sulle origini di Magneto e si inventarono un nuovo fortunato inizio per tutta la mitologia con “X-Men: First Class” di Matthew Vaughn, divenuto poi una trilogia ambientata negli anni ’60, ’70 ed ’80 con protagonisti Michael Fassbender e James McAvoy.

Insistendo invece sulla strada in solitaria, nemmeno il sequel intitolato “The Wolverine” di James Mangold uscito nel 2013 mantiene la promessa di maggior maturità, nonostante una storia che porta il protagonista in Giappone e lo mette di fronte alla vulnerabilità, ma che in realtà alla fine è tutt’altro che memorabile.

Libero da aspettative di leader o di innamorato improbabile, Wolverine da il meglio di sé quando ha qualcuno di debole ed indifeso da proteggere in situazioni estreme, ed è proprio ciò che fa dall’inizio alla fine in questo riuscitissimo terzo atto.

Ciò che funziona in “Logan” è lo spirito di partenza, il volersi allontanare dai canoni del genere supereroistico per fare qualcosa di diverso, di cinematograficamente più classico magari, ma in ultima analisi qualcosa di epico.

Non ci sono effetti speciali ingombranti, montaggio vertiginoso ed esplosioni continue, ma nonostante ciò le scene d’azione si rincorrono con un ritmo coinvolgente senza il bisogno di ricorrere a trucchetti.

Il tono è cupo, crudo e decadente, perché apparentemente il 2029 non è una grande annata in cui vivere, se sei un mutante: con i propri simili misteriosamente decimati e quasi estinti, il vecchio Logan si guadagna da vivere come autista di limousine a cavallo tra U.S.A. e Messico (solo a me è sembrato di intravedere il muro del presidente Trump?), ma in segreto nasconde agli occhi del mondo un professor Xavier ormai decrepito e malato, soggetto a crisi epilettiche che gli fanno perdere il controllo dei poteri telepatici e generano disastri.

Ma la vita ritirata per i due superstiti si interrompe improvvisamente quando una donna in fuga trova Wolverine e gli affida una ragazzina muta dai poteri misteriosi, le due sono inseguite da una banda di sicari potenziati con arti robotici, capeggiata dal tenace Donald Pierce (col volto della star di “Narcos” Boyd Holbrook), e l’unica speranza di salvezza per la piccola Laura è di raggiungere un fantomatico luogo chiamato “Eden” al confine col Canada.

Nonostante gli elementi fantastici, molto più sfumati di quanto si creda, la storia non conserva quasi nulla del fumetto “Old Man Logan” di Mark Millar e Steve McNiven, ma richiama molto da vicino le trame dei western crepuscolari, con più di un riferimento al capolavoro di Clint Eastwood “Gli Spietati”, in cui il vecchio pistolero stanco che ha ormai sepolto il fucile sotto una vita rispettabile deve tornare in azione per un ultimo atto eroico; non è un caso infatti, perché Hugh Jackman non ha mai fatto mistero di ispirarsi al grande Clint come modello recitativo per il supereroe Marvel.

Gli accostamenti al glorioso genere cinematografico continuano con la citazione del film “Shane” (in Italia uscito come “Il Cavaliere della Valle Solitaria”), che i protagonisti guardano in televisione durante una scena e le cui battute verranno ripetute verso il finale.

Un’altra pellicola che può venire in mente guardando “Logan” è “I Figli degli Uomini”, entrambe ambientate in un futuro prossimo con elementi distopici e oppressivi, ma con individui che trovano in sé la forza di rimettersi in gioco per fare un ultimo atto giusto, per proteggere un’idea di avvenire migliore e riscattare una vita fatta di violenza e distruzione.

Anche i fumetti trovano la loro funzione all’interno del film: la giovane Laura porta con sé un albo delle avventure degli X-Men come se fosse un testo di mitologia, ma il disilluso Wolverine le bolla tutte come invenzioni e bugie, che stravolgono gli avvenimenti reali (è poco più di una trovata appena accennata, ma in realtà uno spunto meta-testuale molto interessante).

In ultima analisi, si tratta di un gran finale per il personaggio, forse per un intero modo di concepire gli “X-Men”, visto che sia Hugh Jackman che Patrick Stewart dicono addio alla saga dei mutanti, uscendo di scena più che dignitosamente.

Sembra infatti che dopo tanti alti e bassi qualitativi, con questo film l’attore, il regista e gli sceneggiatori siano stati finalmente lasciati liberi di esprimersi e di andare nella direzione che il personaggio di Wolverine si meritava dall’inizio.

Finalmente c’è la violenza e il sangue che ci aspetteremmo da un mutante irascibile armato di artigli di adamantio, che in questa pellicola finiscono spesso nel cranio dei cattivi , motivo per cui “Logan” si è guadagnato in Italia un divieto per i minori di 14 anni.

C’è una trama che per una volta non si perde per strada ma cresce, va dritta verso l’obiettivo e non concede troppe spiegazioni (cosa ha fatto il professor X di tanto grave che proprio non riesce a perdonarsi? Quali motivazioni spingono i cattivi a torturare bambini in una clinica degli orrori?).

Il nucleo della storia sono i rapporti di dipendenza che si instaurano tra i personaggi: tra Logan e il professore invecchiato e piegato dalla malattia, la più grande mente del mondo colpita da demenza, e successivamente tra Logan e la strana ragazzina in fuga.

Si tratta senza dubbio di un’ottima prova recitativa del protagonista Hugh Jackman, libero di rendere onore per l’ultima volta al ruolo che gli ha dato la fama, mettendo l’accento più sull’uomo che sull’eroe, appunto più Logan che Wolverine, interpretandolo nel modo che avrebbe sempre voluto, senza compromessi e senza guardarsi indietro.

Il mutante che troviamo all’inizio del film è vecchio, stanco, malato e alcolizzato, addirittura fatica a rigenerarsi con la velocità che gli ha permesso di scamparla tante volte, ha perso tutti gli amici e sembra che chiunque ne incroci la strada faccia una brutta fine.

E’ un’occasione di riscatto anche per il regista James Mangold dopo il mediocre precedente di “Wolverine l’Immortale”, qui la sua impostazione colta ricorda piuttosto la sua versione di “Quel Treno per Yuma”.

Ci saremmo aspettati un epilogo in sordina per il mutante armato di artigli metallici e un pessimo temperamento, invece ci troviamo di fronte ad un finale emozionante e commuovente, l’apice di un percorso eroico; non è soltanto un bel film di genere, è un bel film in assoluto.

Di certo la scia di “Logan” porterà conseguenze nel mondo dei film sui supereroi, proprio come fece il primo “X-Men” ormai diciassette anni fa, ridefinendone i canoni.

CI E’ PIACIUTO: l’approccio diverso, più indipendente, che si è voluto dare a una superproduzione del genere e che è già stato premiato dalla critica e dagli incassi del debutto in sala.

NON CI E’ PIACIUTO: forse qualche fan del fumetto d’origine resterà spiazzato e sarebbe piaciuto anche a noi sapere che fine hanno fatto gli altri personaggi che accompagnavano Wolverine nelle precedenti avventure.

SE VI E’ PIACIUTO: oltre ai primi due “X-Men” di Bryan Singer, recuperate anche l’altro cinecomic con divieto ai minori “Deadpool”, che combina la violenza assurda con un umorismo senza freni!

UNA CURIOSITA’: mentre scorrono i titoli di coda si può ascoltare la splendida “When the Man Comes Around” cantata da Johnny Cash, forse non è un caso visto che il biopic “Walk the Line”, dedicato al l’artista scomparso, era stato diretto proprio da Mangold.

E per affilare la vostra voglia di andare al cinema , vi lasciamo col trailer di “Logan”:

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