Christopher Nolan – La leggenda del regista sull’oceano


Qualcuno potrebbe paragonarlo a Re Mida. E a pensarci, non si andrebbe poi così lontano dalla realtà: quando aveva ancora i denti da latte e budget risibili rispetto a quelli di cui può disporre oggi, ha saputo costruire trame complicate e allo stesso tempo accattivanti (Memento, Insomnia). Poi, quando aveva 33 anni ma nessuna produzione blockbuster alle spalle, dalla Warner gli chiesero di dirigere il kolossal Troy. Lui rispose che no, che quel film poteva benissimo farlo qualcun altro (nella fattispecie Wolfgang Petersen) ma di rimando propose una sua personale interpretazione, di quel Batman che a fine secolo era stato brutalizzato da Joel Schumacher, realistica e impostata su Batman: Year One di Frank Miller. Fulminati sulla via di Damasco, i vertici della casa produttrice losangelina gli affidarono entusiasti il progetto, con il nostro che saggiamente chiese una consulenza a David Goyer, scafato tanto in tema di cinema quanto di fumetti. Dodici anni dopo siamo qui a raccontare di un genio visionario e della sua leggenda. Nel frattempo sono arrivati soggetti autonomi Inception e Interstellar, è arrivata la Fama e la Storia, è arrivata anche la consulenza per l’universo cinematografico DC perché un favore (ben pagato, si intende) a chi ti ha lanciato nel firmamento del cinema ‘un se rifiuta mai. Poi i meriti quando le cose vanno bene sono dell’uno e dell’altro, chiaro, e quelli del regista quasi quarantacinquenne sono indubbiamente molti. Anche se nel suo caso, bravura e fortuna si incrociano.

Christopher Nolan è un tweener. Di più, è il tweener dei tweener, e che questo nei suoi (capo)lavori si noti è chiaro come l’acqua che esce dal rubinetto (e se da voi non esce acqua chiara consiglierei di chiamare l’idraulico, sì sì). Lui, figlio di padre inglese e madre americana, ha saputo coltivare al meglio l’una e l’altra cultura coniugando alla profondità e alla riflessività della prima l’intrattenimento e la fantasmagoria della seconda, leggendo tutto con un’impostazione realistica che è tipica di entrambe, e ciò si vede non solo nei blockbuster dedicati al Crociato di Gotham, ma anche in quelle produzioni come The Prestige o Inception. Questa è stata la sua fortuna, il poter attingere a due visioni così distinte per ottenerne una mirabile sintesi. Non è una bestemmia affermare ciò, senza dimenticarsi tuttavia che la buona sorte produce frutto solo quando il talento è coltivato a dovere, con attenzione e pazienza. Un vecchio spot riassumeva questo concetto nella frase: “La potenza è nulla senza controllo”.  L’abilità di regia di Nolan vi rientra benissimo.

Batman: hero reborn

Christopher-Nolan-ne-realisera-pas-d-autres-Batman_portrait_w532Lo ammetto, non avevo un ottimo ricordo di Batman Begins. Anzi, rettifico: quando lo vidi (autunno 2005, se non erro) mi lasciò dentro una pessima sensazione, come di qualcosa di non centrato, di poco riuscito, di irrispettoso verso una figura che avevo ammirato fin da piccolo (“Batmaaaaaaaaan, Batmaaaaaaaaaaan” ogni tanto me la canticchio in testa ancora oggi). Avevo ancora in mente L’Uomo Pipistrello di Tim Burton e soprattutto lo Spiderman di Raimi, che – bontà mia – credevo essere il non plus ultra del genere supereroistico. I Marvel Studios e la loro qualità di immagine, storie e approfondimento psicologico del personaggio erano ancora di là da venire, all’epoca giostravamo ancora tra I Fantastici Quattro e Superman returns che ora vengono ricordati come risibili (sul primo concordo, sul secondo no).

Mi ci sono voluti ben nove anni per riprendere in mano quel film che tanto mi aveva insoddisfatto, insieme ai seguiti che dopo l’iniziale delusione non avevo minimamente preso in considerazione. Tant’è vero che nel vederli ho fatto il gambero: prima Il ritorno del Cavaliere Oscuro, poi Il Cavaliere Oscuro e infine, ormai sdoganati, la seconda chance concessa a Batman Begins. Li ho visti rispettivamente tre volte, due e una, e così facendo col tempo mi sono accorto di un fatto non marginale nascosto in bella vista, quello che gli americani chiamerebbero “un elefante in salotto”. Mi sono accorto che a quindici anni, senza conoscenza di genere superomistico, senza interessi per i fumetti, senza esperienze nerd, geek e compagnia cantante, senza tutto questo a quei famosi quindici anni avevo avuto ragione. La fortuna dei principianti possiamo chiamarla, ma avevo avuto ragione: quello che avevo visto non era un film di supereroi.

Ora, se non siete sobbalzati giù dalla sedia, vi spiego il motivo: i film di supereroi, per essere definiti tali, devono prevedere quella fantasmagoria che li distingue dai film d’azione tout court, quella che ha sì basi scientifiche ma resta comunque immaginaria (ancora…). Un esempio per esplicitare il concetto? Prendete i raggi cosmici dei Fantastici Quattro, il bagno nell’acido del Joker, l’incidente coi raggi gamma di Hulk, il sole che rende Superman… super a contatto con le sue cellule aliene. Tutte caratteristiche che sono presenti nei prodotti del genere ma che Nolan non si è sognato minimamente di mettere nei suoi lavori. Come si diceva, la sua impostazione è stata iperrealistica, persino nel modo con cui ha sfigurato Harvey Dent o negli effetti del gas di Jonathan Crane. La sensazione è che i film avrebbero avuto lo stesso impatto anche se Bruce Wayne non avesse avuto la maschera, visto che assomiglia più a un James Bond ( quello fisico e sarcastico di Daniel Craig) che a un Capitan America o un Daredevil. E lasciamo fuori le riflessioni metafilmiche e metafumettistiche sul ruolo dell’eroe e dei simboli, che ormai in maniera diversa l’una dall’altra si trovano esplicitate in qualsiasi pellicola di genere (svincolate anche grazie al lavoro di Nolan, certo).

Scritto nelle stelle

Paradossalmente, quella fantasmagoria, quella “scienza di confine” che manca ai suoi Batman il regista l’ha messa tutta nei lavori di cui è stato sceneggiatore e/o soggettista, leggi The Prestige, Inception, e quell’ Interstellar di cui ha trattato la nostra rubrica di cinema. La mia opinione su Christopher Nolan? A mio gusto, lo colloco dietro all’inarrivabile  J.J. Abrams e all’immortale Clint Eastwood, un incllatura prima di David O. Russel (con il quale condivido una evidente passione per Jennifer Lawrence, se è vero che l’ha diretta ne Il lato positivo e American Hustle tirandone fuori due autentiche perle).

Più che altro, sempre a proposito di attori – feticcio trovo interessante il modo in cui Nolan abbia formato col tempo la sua “squadra” di fedelissimi, come fosse un consumato allenatore sportivo professionista. Micheal Caine in primis, poi Christian Bale, Marion Cotillard, Cillian Murphy, Joseph Gordon – Levitt, Tom Hardy, Ken Watanabe e ora pare anche Anne Hathaway. Si può dire che ciò succeda perché questi ormai conoscono lo spirito delle sue produzioni, la filosofia di base che ne guida le opere e per questo sono in grado di volta in volta di interpretarne lo spirito a seconda dei ruoli che Nolan ha concepito. Tenendo buono il paragone sportivo, in buona sostanza riesce a dare quel quid  in più che rende le sue pellicole vere meraviglie grazie al fatto che lavora con un organico affiatato che conosce gli schemi e sa cosa fare in ogni determinato momento della prestazione. Ed è per questo che anche qualora il director decida di inserire stelle assolute (come Di Caprio o McConaughey o Matt Damon) il risultato resta sempre di altissimo cabotaggio: come insegnano tutti gli allenatori, una grande struttura permette al campione di brillare, non ne mette in ombra la bravura.

Poi sì certo, c’è la questione delle imprecisioni che ogni tanto fanno capolino, che l’occhio più esperto non ignora ma a cui non da più peso di un “va beh, tanto è una goccia nel mare”. Il punto è un altro: tutto questo papiro, scritto con tono forse fin troppo esaltato per uno che in fondo Nolan lo ha scoperto solo nel 2014, ha avuto il duplice obiettivo di tracciare una linea tra il ciclo del Cavaliere Oscuro e i film di supereroi, e di mettere l’accento su quello che è, a mio giudizio, il vero punto di forza dei suoi lungometraggi. Non tanto i significati allegorici, quanto l’attenzione all’umano che ne fuoriesce. Che si tratti di cinici esploratori della mente come in Inception o di colombiani (nel senso di Cristoforo Colombo) astronauti alla ricerca di un mondo nuovo come in Interstellar, i suoi personaggi si ammantano sempre di un’umanità autentica, non mitizzata o polarizzata. Sì, persino il film del 2014 che ai più risulta incomprensibile e che la nostra rubrica di cinema ha stroncato. Nolan, a parte un colpo d’occhio favoloso sui piani lunghi e sulle panoramiche, ha la straordinaria capacità di cogliere nitidamente l’animo umano, in tutte le sue passioni e ambiguità. Chissà come se la caverebbe con un film di supereroi…

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