Recensione – Ida


10782-99Ida. Un film di Pawel Pawlikowski, con Agata Kulesza, Agata Trzebuchowska, Dawid Ogrodnik, Adam Szyszkowski e Jerzy Trela.

Non ce l’ha fatta Andrzej Wajda, non ce l’ha fatta Roman PolanskiIl suo primo Premio Oscar nella categoria “Miglior film straniero” la Polonia lo deve a Pawel Pawlikowski e alla sua “Ida” che la scorsa domenica ha ulteriormente arricchito la propria, già lunga, lista di riconoscimenti ricevuti a livello nazionale, europeo e mondiale.

“Come sono finito qui? Abbiamo fatto un film in bianco e nero, sulla necessità di silenzio, di ritiro dal mondo e di contemplazione. Ed eccoci qua, in questo epicentro di rumore e attenzione del mondo.– Così il regista, con la statuetta in mano, ha iniziato il suo discorso di ringraziamento sul palco di Dolby Theatre.

how-will-european-film-awards-affect-foreign-film-oscar-raceDue donne, due caratteri, due esperienze di vita e un viaggio alla ricerca della propria identità.
Siamo nella Polonia comunista degli anni 60. Pochi giorni prima di prendere i voti religiosi, una giovane e ingenua novizia Anna (Agata Trzebuchowska), orfana cresciuta in convento, viene mandata a Varsavia per conoscere la sua unica parente rimasta in vita – zia Wanda (Agata Kulesza), una cinica donna segnata nel profondo dal dramma della propria storia. Durante questa visita Anna scopre dov’è nata, che ha origini ebree e che il suo vero nome è Ida. Vuole ritornare nel piccolo paese dove ha passato i primi mesi di vita e ritrovare il luogo dove sono stati sepolti i suoi genitori, morti durante la Seconda Guerra Mondiale. Wanda decide di accompagnarla.

“Ida” è un dramma psicologico che racconta la complessità di un incontro tra due opposti, che tentano di conoscersi a vicenda e insieme affrontano il passato per conquistare la consapevolezza delle proprie scelte nel futuro.

Pawel Pawlikowski è un perfezionista assoluto. È capace di riprendere la stessa scena decine e decine di volte pur di ottenere un’esatta concretizzazione della propria visione. E la sua visione è arte. Lo vediamo sin dai primi minuti di “Ida”.

Ciascuna inquadratura di questa opera in bianco e nero è stata pensata e curata in ogni minimo dettaglio.
Le scenografie colpiscono con la loro sobrietà. Le riprese sono statiche, insolitamente decentrate, lunghe e lente, ma non annoiano affatto. Anzi, costituiscono l’inscindibile elemento dell’intensità di questo capolavoro e hanno permesso ad “Ida” di ottenere una seconda nomination all’Oscar per la miglior fotografia.

Ugualmente fondamentali risultano gli espressivi silenzi che riempiono questo film, interrotti da pochi e indispensabili dialoghi e alcune canzoni dell’epoca.

La pellicola deve molto anche all’eccellente lavoro delle due protagoniste. Agata Kulesza è una delle migliori attrici polacche degli ultimi anni. Agata Trzebuchowska, invece, è una vera e propria scoperta. Nessuna esperienza nel campo della recitazione, è stata adocchiata da un’amica del regista mentre leggeva un libro in un caffè.

“Ida” merita assolutamente di essere vista, soprattutto dagli amanti di un cinema impegnativo. È un film del tutto particolare che ricorda che spesso le vere perle della cinematografia nascono lontane dal frastuono del Hollywood e fa venire voglia di tuffarsi alla ricerca di questi gioielli.

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