Recensioni – Synecdoche, New York


Locandina di Synecdoche, New YorkSynecdoche, New York 

di Charlie Kauffman, con Phillip Seymour Hoffman, Samantha Morton, Michelle Williams, Emily Watson, Jason Leigh

Caden Codard(Phillip Seymour Hoffmann) è un brillante regista teatrale ma la sua vita cade a pezzi. La moglie Adele lo lascia, portando con sè la figlioletta Olive , mentre Caden si scopre affetto da una misteriosa malattia, che gli causa emorragie e convulsioni. Temendo di essere in procinto di morire, il regista vuole allestire un capolavoro, un’opera d’arte tanto monumentale quanto sincera. E mentre la morte tarda a venire, Caden mette in scena la propria vita, quella dei suoi cari, quella dei suoi attori…

Charlie Kaufman è lo sceneggiatore di veri e propri gioielli del cinema contemporaneo:  Essere John Malkovich, Human Nature, Adaption (“Il Ladro di Orchidee”), Eternal Sunshine of the Spotless Mind,(“Se mi lasci ti cancello”), Confessioni di una mente pericolosa.  Synedcdoche, il suo primo lavoro come regista, riprende il gusto di Kaufman per l’introspezione esasperata, cervellotica, il lavoro frenetico della mente  che alla fine cede su se stessa. Per un riflesso paradossale, il difetto principale del film è quello del protagonista stesso: l’ossessivo scivolare nei meandri del pensiero al punto da perdere il filo del discorso.  Caden ha pensato troppo alla sua opera e ne ha perso il controllo: lo stesso si può dire di Kauffman.

Nonostante ciò Synecdoche riesce comunque ad appassionare: colpisce, confonde, sconvolge.  Il titolo è un gioco di parole tra la figura retorica della sineddoche  e la zona di Schenectady (New York )dove il film è ambientato e  da solo racchiude l’essenza del film: l’impossibilità di spiegare la vita con l’arte. Il discorso che  Synecdoche costruisce non è però solo metacinematografico: Kaufman va più a fondo e scava nelll’impossibilità di spiegare la vita stessa, con qualsiasi mezzo si tenti di rappresentarla. Come si fa d’altronde a spiegare l’esistenza avendo a disposizione solo parti di essa?

Sono vani allora, i nostri tentativi di dare un senso alla vita, di controllarla, darle un’ordine. E così mentre Codard mette in scena se stesso che mette in scena se stesso, gli attori finiscono per fare scelte imprevedibili, dentro e fuori dal set.  I ricordi si confondono con la rappresentazione, il tempo perde la sua linearità. E scelta dopo scelta, casting dopo casting, c’è chi resta, chi va, chi muore.

Phillyp Seymour Hoffmann è un Caden Codard così concreto da poterlo quasi toccare: evita i clichè che il suo personaggio racchiude, per costruire un uomo fatto tanto di ossessioni e paure quanto di carne e di ossa, per il quale dolore dell’animo è sempre anche la sofferenza del corpo. Chi ha amato l’attore americano difficilmente riuscirà a scrollarsi di dosso l’inquietudine che  questa interpretazione porta con sè, se raffrontata alla sua tragica scomparsa. Anche se il film risale al 2008,  per un gioco crudele e non voluto,  la morte di Hoffmann pare inserirsi nel quadro della tragedia umana raccontata da Kaufman.

Da vedere assolutamente.

 

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