Stroncature – Dylan Dog – Il film


Locandina italiana di Dylan Dog - Il filmDylan Dog – Il film

di Kevin Munroe, con Brandon Routh, Sam Huntington, Anita Briem, Taye Diggs, Kurt Angle

È vegetariano. Non beve. Non fuma. Ha moltissime donne. È amato da milioni di lettori. L’avrete già capito: non si tratta affatto del curatore di questa rubrica.

Stiamo parlando di Dylan Dog, il personaggio creato da Tiziano Sclavi e Angelo Stano nel 1986. L’indagatore dell’incubo ha già trovato spazio sulle pagine di Discorsivo: ne abbiamo parlato in occasione del rilancio della testata sotto la guida di Roberto Recchioni, nell’esauriente articolo scritto da Luca Rasponi. Solo che questa volta, purtroppo, parleremo di Dylan Dog – Il film.

A differenza di qualunque altro capitolo di Stroncature, preparare quello che state leggendo è stato un vero dolore. Dylan Dog è un personaggio che ho sempre amato moltissimo: antieroe smunto e abbastanza gracilino, poco propenso ad usare le armi, decisamente scettico, dotato di una mente logica, spesso pronto a infrangere qualche legge pur di arrivare alla verità.

Come pensate si possa reagire nel vederlo trasformato in una montagna di muscoli con la stessa gamma di espressioni di una statua raffigurante Kristen Stuart, e addirittura in grado di affermare: «Non ci serve un piano, solo pistole più grandi» ?

Certo, stiamo parlando di media differenti: non si può sempre pensare di rendere un film identico al fumetto da cui è tratto, e spesso si rende necessario fare qualche modifica. Si può tollerare il cambio di colore dell’auto di Dylan: ci crediate o meno, per una questione di diritti non è possibile inserire un Maggiolino bianco in un film non prodotto dalla Disney. Si può sorvolare sull’ambientazione americana, attribuita ad un tentativo di contenere i costi altissimi che avrebbe comportato girare a Londra. Volendo essere generosi, si può persino chiudere un occhio sull’assenza di Groucho, sostituito da tale Marcus Adams: anche qui, la cifra richiesta dai detentori dei diritti d’immagine del baffuto comico americano era troppo alta per il budget di 20 milioni del film. Ma è proprio sull’assistente di Dylan che la pazienza dei fan comincia a scricchiolare, prima di venire demolita completamente dalla resa caratteriale e fisica dell’indagatore dell’incubo. Ma andiamo con ordine.

L’impossibilità di utilizzare l’immagine di Groucho Marx riguarda anche gli albi pubblicati sul mercato statunitense, risolta eliminando i baffi al personaggio e cambiandone il nome in Felix. Dunque, volendo, esisteva una maniera per inserire ugualmente un comprimario fedele all’originale. Anche se – va detto – la figura di Groucho non è mai stata semplice da gestire neanche per gli autori italiani. Forse la produzione del film ha trovato un po’ troppo sopra le righe avere sullo schermo un pazzoide vestito in modo bizzarro, che spara freddure a raffica ed in generale tende a sdrammatizzare ogni situazione, persino la più agghiacciante.

Molto più saggio sostituirlo con un assistente zombie che si putrefà progressivamente, perde due volte il braccio come uno Skywalker qualsiasi, non vuole mangiare vermi ed è costretto ad affrontare ridicole sedute in stile Alcolisti Anonimi per accettare la sua nuova condizione di morto vivente. Bella pensata, davvero.

Una trovata che dovrebbe garantire la linea comica del film, ma che si dimostra incapace di strappare anche solo un sorriso, riuscendo nel contempo a complicare il prosieguo della visione a quanti conoscono bene l’universo narrativo di Tiziano Sclavi. La presenza di Marcus, in sostanza, non fa altro che rendere ancora più indigesto questo atroce miscuglio di horror con i pupazzoni, già visto – in meglio – in un qualsiasi episodio di Buffy, e di narrazioni pseudo-noir in prima persona.

Il resto del film vede vampiri proprietari di night club, che vendono il proprio sangue come droga per i mortali, licantropi ben inseriti nel rutilante mondo della macelleria all’ingrosso e improbabili storie d’amore tra lupi mannari e succhiasangue, capaci di far rimpiangere Twilight. Ci sarebbero tutti gli elementi per un buon b-movie, soprattutto se alle scene appena elencate aggiungiamo il già citato zombie-training di Marcus, o il momento in cui lo vediamo stendere un avversario lanciandogli il braccio appena reciso, per poi raccoglierlo, farlo roteare e scandire trionfante uno «Zombie power, bionda» che non sarebbe venuto in mente neanche all’Ash Williams de L’armata delle tenebre.

Il problema è che Dylan Dog – Il film non sa di essere un b-movie; o, perlomeno, non si comporta come tale, arrivando spesso a prendersi inspiegabilmente sul serio, nonostante una trama piena di forzature, un travisamento totale del fumetto bonelliano ed effetti visivi innegabilmente posticci.

La realtà è che si tratta di un thriller scontato unito ad una fiacca commedia, inseriti all’interno di un horror che non fa paura, capace di regalare un solo, unico momento di puro terrore: quello in cui il regista ha dichiarato di volerne girare due sequel.

2 Comments

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  1. Luca Rasponi

    Gran bel pezzo Marco, divertente come sempre… ora che ho letto la tua stroncatura, sono ancora più contento di essermi rifiutato di vedere il film.

    Mi era bastato il trailer per capire che si tratta di un irricevibile tradimento a tutto ciò che Dylan Dog rappresenta.

    E grazie per la citazione al mio articolo! 😉

    • Marco Frongia

      Era doveroso! 🙂
      Comunque penso che sia proprio il personaggio a non essere comprensibile da un pubblico americano, o perlomeno ad un pubblico sufficientemente ampio da garantire il successo di un film su Dylan Dog. Probabilmente avrebbe funzionato meglio se fosse stata una produzione europea, in particolare inglese o spagnola: di horror psicologici di qualità ne hanno sfornato qualcuno, e spesso li ho apprezzati. Un’occasione buttata, assolutamente!

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